Oggetti d'infanzia | Topolino

11 Maggio 2013

La Donna Bassa attende i due bicchieri in piedi davanti al bancone e mentre il barman si ostina ad agitare lo shaker con una corporeità maldestra, volta la testa a sinistra. Da quel lato c’è un quadro piccolo e netto, e nella cornice bruna si è accomodato un tavolino, una sedia, sopra la sedia le spalle, la nuca bianca, l’attesa, la timidezza della madre della Donna Bassa. Allora per schiaffeggiare il torpore della malinconia, bisogna rincorrere la luce che viene da destra, dalle merci che urlano nelle trasparenze dei negozi oltre la vetrina del bar del centro, e la donna lo sa, e quindi gira il volto a destra chiudendo gli occhi, ma torna al quadro di sinistra perché è lì che aspetta il vero e la donna ha imparato che la verità è più rotonda, più secca e più intensa della luce.

 

Il cappotto lungo e i tacchi alti della Donna Bassa trasportano i due bicchieri colmi e il piatto di stuzzichini sino alle mani tremanti della madre, mani che afferrano prima un tovagliolino di carta, quindi con netta decisione una pizzetta, un’altra, e si fermano perché forse hanno troppo osato, e ritornano a intrecciarsi sotto l’incertezza della voce che esorta colei cui ora spetta il compito di nutrire a servirsi, a mangiare. La donna nega, invita, offre, poi chiede alla madre riguardo il libro e il Topolino prestati il giorno prima; l’anziana se la prende con i caratteri minuti del libro ma ha terminato il giornaletto, è divertente dice, e mastica. La voce della Donna Bassa annullerebbe il silenzio che le attornia con una sigaretta ma è vietato, allora s’arrochisce e si stringe di durezza inattesa quando interroga nuovamente l’anziana, ricordi la storia del buco, sul Topolino che non mi volevi comprare. Quel quieto blu intenso – fu anche tempesta, anni anni prima – dell’iride innocente si sorprende, indaga per un attimo il marrone dell’altra, non ricorda nulla, non dipana la nebbia, s’abbassa ancora sulle focaccine.

 

Le pigne di Topolino riemergevano dalla cantina a primavera inoltrata. La Bambina Bassa che a quel tempo abitava la Donna Bassa le amava, amava quel loro odore di buio zuccherino, assaporava solo alla vista dei sacchetti polverosi i molti, liquidi e felici pomeriggi estivi che avrebbe trascorso in compagnia dei topi e dei paperi. Le estati di fuori della bambina erano un luogo stentato, di palazzoni grevi e caldi nella grande città che si svuotavano mentre la bella stagione si inoltrava nel proprio eccelso splendore, uno splendore che accecava la bambina e la arricchiva insieme, perché nudo di automobili e amici il fuori, il suo dentro si sarebbe riempito di tempo. Il tempo portava con sé il batticuore della carta, il mistero delle storie, l’immersione nel racconto, un dono grandissimo dunque, il dono della vita: quei piumati erano amici reali e se la Bambina Bassa fosse stata buona prima o poi li avrebbe raggiunti perché – a quel tempo ne era certa – il Paradiso esisteva e si trovava a Paperopoli.

 

Ogni settimana il papà della Bambina Bassa aumentava la raccolta con un nuovo fumetto ma quel particolare numero di Topolino conteneva una storia magica, divisa in due puntate. Nella prima Paperino, chiuso nel deposito di zio Paperone per lucidare monete, distruggeva un prezioso vaso Ming e disperato scopriva un buco nella parete, lo attraversava, ritrovandosi nel lontano Oriente. Al solito, doveva affrontare personaggi odiosi e la sua sfortuna, ma non si scoraggiava: forse avrebbe potuto rinvenire un vaso identico a quello frantumato e placare così l’ira dell’avarastro; lo si sarebbe capito nella seconda puntata. La Bambina Bassa sperava ardentemente insieme al papero: avrebbe trovato il vaso? Sarebbe riuscito a tornare dai nipotini? Chi si occupava di Qui, Quo e Qua durante il lungo viaggio dello zio? Al suo ritorno, forse finalmente ricco, avrebbe potuto liberarsi dal giogo di Paperone? Doveva assolutamente leggere la seconda puntata. Ma la mamma della bambina si oppose.

 

Da sotto vide il disappunto chiuso nelle labbra, la testa che fronteggiava il marito, il gesticolare dello smalto rosa, udì parole ghiacciate, di soldi finiti, di piccole viziate, di lettura e conoscenza cose da ricchi, un lusso per i poveri come noi, meglio evitare le illusioni sul nascere. Un cupo furore abbracciò la Bambina Bassa, ingrossandole la voce, le lacrime, lo sgomento. La crudeltà dell’impossibile la spinse a correre via, a rinchiudersi nel ripostiglio da dove mai, mai più sarebbe uscita, perché esistere senza conoscere la fine della storia – di tutte le storie – era insensato.

 

Alla sera i suoni morbidi di suo padre la pregarono di aprire: nelle mani scure offriva la sua comprensione e la seconda puntata di Paperino e il vaso rosso dei Ming.

 

La Donna Bassa insiste un po’, non ricordi più? Scuote la testa l’altra, solo alla prima adesso tocca di far la guardia alla memoria.

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