Speciale

Ti scrivo. Ti ho cercato tra le vie

20 Dicembre 2015

Caro Pier Paolo,

 

ciao, ti saluto come saluterei un amico, in fondo ormai io e te lo siamo diventati e spero proprio lo resteremo per tutta la vita. Il nostro primo incontro è stato abbastanza brusco. Non ci siamo presi subito troppo bene. Quelle Ceneri di Gramsci non riuscivo a capirle. Perché dedicare una raccolta di poesie ad un politico? Perché Gramsci? Perché raccontare la vita contadina, povera, oppure i pianti di una scavatrice? Raccontare l’Italia come un’opera d’arte, perché?


Non riuscivo. Poi una persona speciale, una professoressa che tutt’ora amo, mi ha consigliato di vedere un dvd che riassumeva la tua storia, letteraria e personale. E così ho sentito per la prima volta la tua voce. La tua voce friulana, fragilissima come cristallo ma che dentro fa sentire il vortice della passione e la potenza del tuono dell’ideologia. La tua voce mi ha tenuto spesso compagnia. Da lì in poi è scoccata la scintilla e sei diventato sempre più parte di me, tanto che i libri e i film e YouTube non bastavano più. Avevo bisogno di incontrarti.


Quante volte allora ho cercato il tuo spettro per Bologna, la tua ma anche mia città. Quante volte mi sono seduto sotto il Portico della Morte sognando la tua ombra rovistare tra i libri di Nanni, alla disperata ricerca di un Macbeth in saldo. Un giorno proprio mi sono seduto anch’io a leggere i versi di Shakespeare su quei gradini.


Perché forse credi che in via Nosadella non abbia sperato di intuire, di capire, che cielo si aprisse dalle finestre di casa vostra? Anche se la commozione quasi come di fronte al sacro che sempre mi rapisce entrando in via Borgonuovo, quando hai ancora un piede su Strada Maggiore e gli occhi sono fissi a quel muro dove solo una targa ti ricorda? Perché io è il tuo corpo che continuamente vorrei incontrare. Le tua giacca in pelle. O un tuo maglione. Riuscire a capire che aria respiravi.
È per questo motivo che una mattina di primavera, prima di laurearmi, ho cercato con scrupolo ingegneristico e urbanistico, la mattonella precisa di una tua foto – forse la più famosa – dove sei in posa con due tuoi amici e dai le spalle alle Torri, proprio sotto Palazzo Re Enzo. I tuoi passi erano ancora lì davanti. Il tuo sguardo di ragazzo sorridente che puntava lungo via Ugo Bassi. Cosa fissavi? Cosa potevi guardare mentre ti rubavano quell’attimo di vita universitaria?


Già, l’Università. Sapessi quanto ti ho cercato in via Zamboni. Davanti al Comunale. Accovacciato in piazza Verdi. Dentro le aule di Lettere, nascosto dietro ogni colonna, in fila per entrare in biblioteca. E io che ogni volta che facevo lezione in aula Calcaterra, mi chiedevo se lì dentro tu ci avessi mai messo piede. Difficile. Come in Santa Cristina, sulle orme di Longhi. Negli affreschi che ornano le sale del convento, ti sei mai lasciato andare a un sospiro di estasi? Magari è lì che hai sognato la scena di Giotto nella Cappella degli Scrovegni. Magari, lo penso spesso, è nelle vie e nelle strade che percorro inconsapevole che tu ti sei fermato e hai lasciato qualche traccia più ricca di te, qualcosa che ancora oggi si può respirare.


Perché è nell’aria che io posso solo ritrovarti, ormai. Nell’aria che circonda i Prati di Caprara, dove correvi e giocavi a pallone con la maglia rossoblu. E allora chissà che anche allo Stadio dove anch’io vado qualcosa non sia rimasto di te? Nel gioco del pallone ci vedevi del buono e del bello. Perché eri un ragazzo come me, come noi. Come spero di diventare un uomo come te, libero, perfettamente libero, autentico e umanissimo. Perché la tua dolcezza è una grazia, da diffondere, da distribuire a larghe mani nei giorni di tristezza. Nei giorni in cui contempli la solitudine, che può anche essere disperata, ma rimane umana. Perché tu questo in me ogni giorno compi: un piccolo miracolo di umanità, regalandomi quegli occhi – protetti dai tuoi occhiali neri – vivi e vispi necessari per accorgersi della ricca umanità della quale siamo circondati.


Grazie amico mio: perché ovunque tu sia io so che ci sei e che sei con me. Anche mentre scrivo una poesia. Ma io non cercavo un poeta, volevo un amico per la vita, e trovarti è stato una delle sorprese più generose che potessi augurarmi.

Abbi cura di insegnare la libertà al paradiso.

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