Vincenzo Monti / Dopo la battaglia di Marengo

19 Luglio 2011

La cattiva retorica è stata una delle cause dell’insofferenza di molti italiani verso la nozione stessa di patria. Questa poesia di Vincenzo Monti ne è forse il paradigma esemplare; a suo disdoro la conclamata scarsa propensione dell’autore, in anni di sommovimenti politici e militari, alla coerenza e al coraggio civile (attitudine invero molto italiana) e la scelta sciagurata del metro: quelle quartine di ottonari, quei versi tronchi alternati risuonano come una cantilena e più che infondere amor patrio sembrano anticipare le gesta del Signor Bonaventura (i meno giovani se ne ricorderanno...).

Va detto tuttavia che Monti, dopo la temporanea riconquista ad opera degli austriaci della Lombardia, era stato costretto a riparare a Parigi, come molti intellettuali italiani legati alla Repubblica Cisalpina. La lirica è nota anche con il titolo Per la liberazione d’Italia, sebbene per molte generazioni di scolari sia stata, semplicemente, “la Bella Italia del Monti”.

 

 

Bella Italia, amate sponde,

pur vi torno a riveder!

Trema in petto, e si confonde

l'alma oppressa dal piacer.

 

Tua bellezza, che di pianti

fonte amara ognor ti fu,

di stranieri e crudi amanti

t’avea posta in servitù.

 

Ma bugiarda e mal sicura

la speranza fia de’ re.

Il giardino di natura

no, pei barbari non è.

 

Bonaparte al tuo periglio

dal mar libico volò,

vide il pianto del tuo ciglio,

e il suo fulmine impugnò.

 

Tremâr l’Alpi, e stupefatte

suoni umani replicâr,

e l’eterne nevi intatte

d’armi e armati fiammeggiâr.

 

Del baleno al par veloce

scese il forte, e non s’udì:

ché men ratto il vol, la voce

della Fama lo seguì.

 

D’ostil sangue i vasti campi

di Marengo intiepidîr,

e de’ bronzi ai tuoni ai lampi

l’onde attonite fuggîr.

 

Di Marengo la pianura

al nemico tomba diè.

Il giardino di natura,

no, pei barbari non è.

 

Bella Italia, amate sponde,

pur vi torno a riveder!

Trema in petto, e si confonde

L’alma oppressa dal piacer.

 

Volgi l’onda al mar spedita,

o de’ fiumi algoso re;

dinne all’Adria che finita

la gran lite ancor non è;

 

di’ che l’asta il franco Marte

ancor fissa al suol non ha;

di’ che dove è Bonaparte

sta vittoria e libertà.

 

Libertà, principio e fonte

del coraggio e dell’onor,

che il piè in terra, in ciel la fronte,

sei del mondo il primo amor;

 

questo lauro al crin circonda:

virtù patria lo nutrì,

e Desaix la sacra fronda

del suo sangue colorì.

 

Su quel lauro in chiome sparte

pianse Francia, e palpitò.

Non lo pianse Bonaparte,

ma invidiollo e sospirò.

 

Ombra illustre, ti conforti

Quell’invidia, e quel sospir:

visse assai chi ‘l duol de’ forti

meritò nel suo morir.

 

Ve’ sull’Alpi doloroso

della patria il santo amor,

alle membra dar riposo

che fur velo al tuo gran cor.

 

L’ali il Tempo riverenti

al tuo piede abbasserà;

fremeran procelle e venti,

e la tomba tua starà.

 

Per la cozia orrenda valle

usa i nembi a calpestar,

torva l’ombra d’Anniballe

verrà teco a ragionar:

 

chiederà di quell’ardito,

che secondo l’Alpe aprì.

Tu gli mostra il varco a dito,

e rispondi al fier così:

 

- Di prontezza e di coraggio

te quel grande superò:

Afro, cedi al suo paraggio;

tu scendesti, ed ei volò.

 

Tu dell’itale contrade

abborrito destruttor:

ei le torna in libertade,

e ne porta seco il cor.

 

Di civili eterne risse

tu a Cartago rea cagion:

ei placolle, e le sconfisse

col sorriso e col perdon.

 

Che più chiedi? Tu ruina,

ei salvezza al patrio suol.

Afro, cedi e il ciglio inchina;

muore ogni astro in faccia al sol.

 

Edizione di riferimento: Vincenzo Monti, Opere, a cura di M. Valgimigli e C. Muscetta, Ricciardi, Milano – Napoli, 1953.

 

 

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