I maestri della destra

21 Giugno 2011

“Ma come, davvero esistono ancora la destra e la sinistra? Non era stato tutto archiviato, passato in giudicato, chiuso e sepolto?”. La voce di Massimo Cacciari tradisce uno stupore genuino. Sembra passato un secolo da quando, ed era soltanto una decina d’anni fa, i suoi interventi ai convegni della “nuova destra” accendevano discussioni furibonde tra gli intellettuali di sinistra. Eppure è bastato che Garzanti riproponesse a quattordici anni di distanza un testo come Cultura di destra dello scomparso germanista Furio Jesi per suscitare una reazione furibonda tra gli esponenti italiani di quell’area un tempo definita appunto “nuova destra”. Si tratta di una bieca “operazione commerciale”, tuona dalle colonne dell’Italia settimanale Gianfranco de Turris, un tentativo dei “residui dell’intellighenzia marxista di mettere ancora alla sbarra gli antichi nemici” e di “far compiere alla cultura italiana un balzo indietro di tre lustri, ricreando un clima di caccia alle streghe”. Insomma, una vera e propria demonizzazione, attuata “nonostante crolli e controcrolli” e malgrado “l’abbattimento di più d’uno steccato”: “dagli al razzista, all’antisemita, all’evoliano”.

 

Furio Jesi, di cui l’editore Morcelliana ha appena proposto L’accusa del sangue. Mitologie dell’antisemitismo, era tra i più fini e apprezzati studiosi di mitologia, un germanista sofisticato, profondo conoscitore di Thomas Mann e Rainer Maria Rilke, attento ai filoni tedeschi della “rivoluzione conservatrice” presenti nella cultura di Weimar. Cultura di destra contiene pagine illuminanti sulla “religione della morte” che impregnò di sé la cultura europea che poi sarebbe confluita nel nazismo, sui riti e i simboli della tradizione, dell’esoterismo, del misticismo politico su cui aveva soffermato l’attenzione uno studioso come Delio Cantimori. E cita ampiamente e senza “demonizzazioni” uno studioso delle religioni come Mircea Eliade considerato sino a non molto tempo fa, per colpa del suo coinvolgimento col nazismo, un tabù nella cultura di sinistra. “E pensare che Jesi, visto come un ultrasinistro dalla destra, veniva accusato da parte della sinistra di coltivare ambiguamente i temi tenebrosi della mitologia che tanta parte hanno avuto nella cultura di destra del Novecento”, dice Gianandrea Piccioli, il direttore editoriale della Garzanti che ha sollecitato la nuova uscita del libro di Jesi.

 

E allora, perché una reazione così furibonda da parte del settimanale diretto da Marcello Veneziani? Tutto nasce da un capitolo del libro in cui viene affrontato il tema Julius Evola, pensatore venerato nella destra, sostenitore di una teoria del “razzismo spirituale” descritto così da Jesi: “un razzista così sporco che ripugna toccarlo con le dita”. Nel capitolo dedicato a Evola lo studioso Jesi si trasforma in un violento polemista. L’evolismo diventa un concentrato di “farneticazioni”, “trivialità”, “rimasticature”, “parossismi” destinati a “lettori di bocca buona”. Con una conclusione, di grande impatto nell’Italia degli Anni Settanta sconvolta e incupita dall’offensiva del terrorismo rosso e nero: “Queste farneticazioni” hanno “una parte non trascurabile nelle attività terroristiche degli ultimi anni”. Da qui l’accusa formulata da chi in passato ha subito il fascino inquietante dell’evolismo che Jesi abbia voluto ridurre la “cultura di destra” a puro fenomeno criminale.

 

“Indubbiamente Cultura di destra è uno dei testi meno significativi di Jesi”, è l’opinione di Cacciari, “di un intellettuale finissimo che ben conosceva l’irriducibilità della grande ‘cultura di  destra’ aristocratica, conservatrice e antimoderna del Novecento a canoni biecamente razzistici. Il fatto è che in quegli anni anche Jesi, assieme a tanta parte della cultura di sinistra, divenne prigioniero dell’assillo del ‘pericolo di destra’, dell’incanto di un presunto ritorno del fascismo. Un assillo che ha provocato veri e propri disastri”. E tuttavia Cacciari non condivide affatto la reazione di de Turris, “tipica di un ceto intellettuale che non sa far altro che portare indietro l’orologio. Perché mai la ‘nuova destra’ deve risentirsi più di tanto? Evola è un autore stratificato che non merita di essere demonizzato. Però i suoi libri infami li ha scritti. E allora, vogliono fare gli orfani a vita di Evola?”. Piccioli, per parte sua, contesta che la Garzanti abbia compiuto una scelta volgarmente “commerciale”. “Attuale però sì”, aggiunge, “prima di tutto perché non é vero che le differenze siano tutte scomparse e poi perché in un’Europa sconvolta dai fantasmi del “sangue e suolo”, lo studio delle mitologie razziste avviato da Jesi conserva ancora una grande importanza”. Un libro vaccino, insomma. Anche a costo di riaprire una vecchia ferita.

[Articolo apparso su “La stampa”, 11 febbraio 1993].

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