Franco Vaccari. Col tempo

25 Marzo 2014

Scattare una fotografia. Fissare un'immagine nel tempo. Gesti sempre più a portata di mano e ripetuti. Sempre più effimeri. Che la rivoluzione degli smartphone abbia cambiato il modo di narrarci e di guardare il mondo è un dato acquisito. Da Instagram a Facebook a Twitter pubblichiamo, condividiamo, ci raccontiamo. Tutto con estrema immediatezza. Le settimane di attesa prima di vedere le foto delle vacanze, o le affollate serate in famiglia dove ci si riuniva per le diapositive della zia tornata (un mese prima!) dal viaggio in Messico sono ricordi più che sfocati nella memoria.

 

Allora cosa resta della distanza tra scatto e immagine? Come incide sulla costruzione della memoria personale e collettiva? In quali termini è opportuno parlarne? Il rapporto tra fotografia e tempo è da sempre uno dei nodi del lavoro di Franco Vaccari, che intitola la sua personale da Base a Firenze fino al 20 marzo: Col Tempo.

 



Dall'immagine al codice una linea diretta corre dall'infanzia a oggi, nelle tre opere esposte in mostra. La fotografia vintage che ritrae Vaccari bambino con la madre, in un'ambientazione modificata da lui stesso vent'anni fa, cancellando i volti delle altre persone ritratte; l'autoritratto in QR code, mosaico di informazioni digitali leggibile solo attraverso tablet o smartphone; la terza versione del Bar Code – Code Bar, una serie di tavolini da bar, illuminati da piccole abat-jour su cui si possono leggere i libri dell'artista. Il primo rilievo che si percepisce è lo slittamento funzionale del luogo, che diventa uno spazio di lettura e condivisione praticabile in termini attivi. Vaccari non resiste all'idea di coinvolgere lo spettatore. Di fatto però l'artista non parla di sé e del mondo? Delle nuove forme di comunicare e costruire immagini?

 



Come nelle prime Esposizioni in tempo reale il crinale su cui insiste l'artista è il luogo immediatamente successivo dove si verifica il feed-back sensoriale. La risposta al suo intervento. Celebre quello della Biennale di Venezia nel 1972, quando con una macchina per foto tessera Vaccari invitava i visitatori a ritrarsi per poi esporre la loro immagine sulla parete. Centinaia di persone raccontarono il loro passaggio attraverso uno scatto, come un selfie ante litteram. Approfittando della tecnica istantanea della Photomatic e della visibilità del luogo, Vaccari includeva le condizioni di autoscatto, immediatezza condivisione.

 

 

Dal processo chimico e materiale a quello digitale ed effimero, come si trasforma allora il rapporto tra spettatore, mezzo tecnologico e fotografia? Oggi Vaccari ci mette davanti dei codici e ci invita ancora a scattare. Questa volta però non sulla nostra immagine (siamo già noi ad occuparcene abbastanza), ma su quella criptata che l'artista ha dato di sé. Intraducibile dall'occhio umano, dobbiamo fare ricorso a quello meccanico. Inquadrare. Scattare. Leggere. Il ritratto in realtà non è iconico, ma testuale: “Ho 76 anni e sono ancora qui a fare mostre. Perdonatemi. Franco Vaccari. BASE progetti per l'arte, Firenze 17 gennaio 2014.”

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