Gipi. unastoria

16 Aprile 2014

Una storia: quella di Silvano Landi, scrittore in crisi coniugale, d’identità e d’ispirazione che soffre senza un motivo preciso ma si appassiona alla “storia bellissima” del bisnonno Mauro, ricostruita attraverso le lettere spedite alla famiglia dal fronte della prima guerra mondiale.

 

 

 


L’altra storia: quella di Mauro, giovane soldato, sprofondato nel buio e nell’attesa delle trincee nel 1918, che è tenuto in vita dall’amore per la moglie e il figlio e dal ricordo intenso dell’albero del bosco vicino a casa, dove, abbracciati al sole, potevano guardare liberamente il cielo.

 


Una storia nascosta, quasi marginale e dimenticata, di una figlia che assiste disarmata alle difficoltà di un padre cinquantenne, finito in una clinica perché capace di entrare in relazione più con un passato lontano e incomprensibile che con lei. Una figlia che si allontana con rabbia dalla sofferenza di un abbandono e che rivendica il diritto di stare nel presente e di guardare a ciò che esiste.

 

 

 

Tre uomini che non comunicano tra loro. Tre generazioni che vivono l’abisso assoluto di ciò che si prova nel cadere, nella grandezza degli eventi o nell’intimità delle relazioni, ma che guardano in direzioni diverse e si aggrappano a forze opposte nel sentire.


E poi c’è la storia.  
La storia della guerra: “un’idea” di qualcuno, “un sogno” dietro cui sempre corrono gli uomini fino a morire sotto i colpi delle mitraglie.

 

 


La storia della forma del viso dell’uomo che accompagna il frontespizio. Un viso che in principio “doveva essere stato completamente liscio. Non v’erano fosse o conche sulla pelle” ma che poi l’acqua delle lacrime ha scavato e modellato nel dolore.

 


La storia degli alberi che costellano tutto li libro: l’albero solo e imponente che si allarga in copertina, gli alberi martoriati del fronte, quelli secchi che disegna ossessivamente Silvano, l’albero caro e rigoglioso della casa di Mauro. Gli alberi longevi che vedono le cose cambiare e invecchiare, rimanere uguali e fermarsi fino a distruggersi.

 


E infine la storia che stiamo leggendo, unastoria, firmata in chiusura “Gipi 1963-2013” come una sintesi o un passaggio. 
Un fumetto che lega tutte le storie, che colora di fluidi acquerelli il passato e lascia scarno e rigido il presente tra il bianco e nero di una penna. Ma senza una conclusione ugualmente appagante per tutte le storie. Chi torna a casa trova le stesse cose che aveva lasciato, semplicemente “un giorno come gli altri”. 
Non c’è una risposta unica che può rendere libero e leggero un lettore.  
La letteratura può solo dare “risposte complesse”, come è scritto nella prima enigmatica tavola del fumetto, in cui trovare con coraggio la luce dei propri desideri. 

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