Lo sforzo di Resistere

3 Luglio 2013

Mai titolo fu più azzeccato: Rezistance, ovvero Resistenza.
Così Ali Kazma ha intitolato l'installazione video al Padiglione Turco che è stato invitato a rappresentare quest'anno alla Biennale di Venezia. A un giorno dall'inaugurazione ufficiale, il 31 maggio scorso, a Istanbul scatta la rivolta o, meglio, la resistenza, perchè di questo si tratta, non di un attacco, ma di una difesa, di un atto di resistenza, appunto, alla violazione di diritti umani, diritti d'espressione, libertà di parola, democrazia.

 

 

Anche se oggi questi termini risuonano come lettere vuote e sarebbe necessario rivederne il significato nell'ambito di una trasformazione non solo geo-politica ma soprattutto socio-culturale in atto (...e non solo in Turchia), gli oltre due milioni e mezzo di persone che sono scese in piazza Taksim come ad Ankara, e in altre città turche, si battono per questo: per far fronte a scelte cui non partecipano ma che li riguardano, per resistere all'abuso di potere, per resistere alla messa in disparte, all'esclusione, per resistere all'arroganza e all'ignoranza di capi di governo, di lavoro, religiosi (dopo Erdogam c'è una lista infinita a partire proprio dall'Italia di questi giorni...) che dietro false democrazie, con strategie di controllo prima di tutto culturale, mettono a tacere parti cospicue di popolazione acquisendo consensi attraverso clientarismi, censura e mala informazione per dirigere i loro sforzi verso l'autoritarismo e l'autocelebrazione.
L'uomo non è più chiamato a battersi per affermare le proprie idee e creazioni, ma a resistere, a parare colpi. Le battaglie che siamo chiamati a combattere non sono per conquistare nuovi traguardi, bensì per resistere agli attacchi e alle prese di posizione che arrivano improvvisi dall'alto...grazie alla rapidità di azioni che solo chi governa ha il potere di adottare. 

 


Non so se Kazma potesse prevedere questi eventi ma, forse, se è dal '70 che in Turchia la gente non scende in piazza a manifestare, una ragione c'è. E va oltre il fatto in sé del Gezi Park: Non si tratta solo degli alberi del parco...si tratta della politica di Erdogam in Siria. Si tratta dei provvedimenti contro l'alcool. Si tratta dei divieto al bacio pubblico. Si tratta di come stanno trasformando Istanbul in un intero cantiere...- commenta Fulya Erdem, tra i curatori della prossima Biennale di Istanbul. E non è un caso che il tema della prossima Biennale di Istanbul sia incentrato sul diritto allo “spazio” pubblico e alle forme d'espressione (e dopo gli ultimi eventi che hanno reso protagonista anche l'Istituzione Biennale per atti di censura, siamo tutti in attesa di vedere se verrà smentita l'accusa di strumentalizzazione dell'arte ai fini di un processo di gentrificazione che più che con l'arte ha a che fare con il mercato immobiliare)...laddove in città come Istanbul (ma anche come Bologna, giusto per citare una realtà che conosco...come di molte altre) la strategia capitalista sta dominando i processi di trasformazione urbana e sociale.
Si tratta dunque di resistere, sembra dirci Kazma (partito da Venezia per scendere in piazza Taksim assieme agli altri). Ma come? Con quali strumenti?

 



Kazma ci presenta un campionario di casi, una raccolta quasi scientifica, un'enciclopedia, per restare in tema con la Biennale veneziana, di pratiche di gestione, alterazione, controllo del corpo, inteso come entità fisica e sociale.
Il corpo: ultimo baluardo dell'atto di resistenza.



D'altra parte la storia dell'arte è la prima ad insegnarci come il corpo possa diventare tela, campo d'azione e sperimentazione, oggetto di traduzione e trasformazione. Ma Kazma non parla di questo. Quel che gli interessa è l'atto di creazione, che è sì atto di resistenza (quello di cui parla Deleuze), ma è prima di tutto corpo che resiste (quello di cui parla Foucault) sfidando i limiti della sua stessa esistenza. Non è più corpo testato, svelato, alterato, non è più corpo mortale, è corpo in bilico tra la vita e la morte, in atto di resistenza.   

Al padiglione turco Ali Kazma presenta una pluralità di progetti video, 19, messi in dialogo tra loro in un'installazione a 5 canali che non ripete mai se stessa. Ogni video ha una durata diversa, dunque sui cinque schermi le immagini sono sempre diverse e la rotazione moltiplica centri e tensioni, è in costante divenire, apre infinite possibilità pur riuscendo a presentarne una alla volta, proprio com'è il mondo...(AK).

 

 

Li ho chiamati progetti perchè l'artista, per ognuno di essi, svolge una vera e propria ricerca, spostandosi in varie città del mondo nel corso di un anno intero, alla ricerca di situazioni specifiche in cui calarsi e su cui lavorare a stretto contatto con quelli che poi diventano i suoi protagonisti: si va dal laboratorio di un tatuatore in Giappone, a quello di uno scarificatore a Londra, da un centro universitario di neurorobotica in Germania, all'aquario di Istanbul, a una prigione della Sakarya, regione turca, e così via...

 

Negli ultimi dieci anni il lavoro di Kazma si è sempre spinto alla ricerca di ciò che non è visibile all'interno dei processi di produzione con cui l'uomo si cimenta a dar forma alle cose che mette al mondo. Nei numerosi video del ciclo Obstruction, iniziato nel 2005 a partire dall'esperienza del lavoro “Today” in cui l'artista per oltre un mese aveva realizzato ogni giorno un ritratto video delle micro attività che costellano l'area Tunel-Karakoy a Istanbul diventando egli stesso in un ingranaggio del sistema produttivo, lo sguardo dell'artista è quasi ossessionato dal mostrare quei processi studiati, calcolati e agiti al dettaglio, che sottendono alla realizzazione di un prodotto, sia esso un orologio, un paio di jeans, carne da tavola, un soprammobile, finanche un intervento artistico.
I suoi video in HD spiano donne e uomini al lavoro per svelare come ogni giorno gesti e pratiche si affinano per dare consistenza al prodotto finale. Si potrebbe quasi vederli come inni a quel sapere che viene dalla pratica quotidiana del lavoro.

 



Qui, in questo nuovo ciclo, Rezistance, l'artista si sposta dal prodotto al produttore, dall'oggetto al soggetto. Non è più soltanto l'atto produttivo ma l'atto creativo, quello che spinge l'uomo ad adattarsi, a reinventarsi, a mettersi in relazione al contesto affermando prima di tutto se stesso e le sue capacità (Emilio Garroni, nel suo Creatività lo spiega molto bene).

Ricordo di essermi sorpresa recentemente di fronte a discorsi inaspettatamente simili uditi da una parrucchiera, da un disegnatore di ingranaggi e da un giornalista di un magazine di bellezza. Tutti  e tre mi raccontavano che mai come ora, in quello che ormai ci siamo rassegnati a definire come periodo di crisi, le loro attività stanno andando in controtendenza, alla grande. Uno di loro commentava “Se la gente inizia a rinunciare all'acquisto, non rinuncia però a se stesso, e quando rimane poco le persone sanno che devono contare solo se stesse. Per questo la cura di sé diventa fondamentale, la propria immagine, la propria bellezza, la propria preservazione nello stato più adatto alla società, quello operativo, mai decadente, il restyling, il make up a tutti i costi...”
...“cercate di far finta di essere voi stessi” dice il fotografo prima di scattare una foto di gruppo ad una festa romana nel film di Sorrentino La grande bellezza...

 



Queste parole mi sono tornate in mente di fronte ad Anti-Aging, in cui Kazma ci mostra i più avanzati interventi di dermatologia cosmetica praticati all'interno del Private Sculpture Polyclinic di Istanbul; o ad Eye, girato nella clinica del Dott. Kazim Devranoglu, oftalmologo da 25 anni, esperto di chirurgia della cornea; o, ancora, di fronte a Knee o a Robot, dove ci vengono mostrate le tecnologia al servizio della ricostruzione di ginocchia robotiche e di inimmaginabili corpi bionici. Per non parlare di Cryonics, in cui passo passo scopriamo come nella fondazione privata Alcor Life Extension in Arizona stanno lavorando da oltre quarant'anni alla scienza crionica, ovvero alla preservazione del corpo umano tramite congelamento.



Mi domando fino a dove si sta spingendo il desiderio o forse l'insana necessità di controllare ogni cosa, anche la morte? La paura di soccombere al corso naturale degli eventi, di non riuscire a preservare e a determinare l'andamento di ogni cosa che ci circonda?



Mi pare un ricorso al diritto all'autodeterminazione ad ogni costo, al self, al non sentirsi dipendenti da nient'altro che da stessi.
In tal senso leggo un gruppo di altri video che l'artista presenta in chiave leggermente differente sempre all'interno della stessa installazione, quelli in cui il corpo è al lavoro su se stesso. Il corpo individuale ma anche quello sociale. Qui si palesa la doppia forma di questi corpi che se da un lato vengono sdoganati, liberati, scarcerati, dall'altro vengono repressi, costretti, incarcerati.

 

Nel video Kinbaku una donna giapponese è appesa a testa in giù intrappolata nelle corde allacciate da un kinbakushi; mentre poco distante riconosciamo Isabella Rossellini nelle sale di ripresa della sua serie televisiva Mammas in cui in ogni puntata si traveste da un animale diverso impersonando le attitudini animali all'istinto materno. Di fronte, in Tattoo, è all'opera un maestro tatuatore, accanto ad un amanuense che nel video Calligraphy traccia lentamente caratteri arabi della tradizione islamica su una carta preziosa.



Ogni titolo non lascia spazio ad interpretazione, sintetizzato nella pura descrizione del gesto cui ci troviamo davanti. L'artista stesso gira ogni film da solo, senza troup, cercando di diventare un fantasma, dice, e adattando le riprese a ciò che accade, istante per istante.
Quello che ossessivamente rincorre è il gesto, che si perpetua, tenace, alla ricerca della precisione, della perfezione. In una sua intervista, Kazma contrappone un altro punto di vista a quello più comune che non si sofferma sull'unicità della vita: “...se partiamo da una posizione che non dà la vita per scontata, allora ci si apre la possibilità di isolare i gesti. Rallentando il tempo ogni azione può venire alla luce e mostrarsi. Ogni azione, libera dal rumore degli altri gesti, diventa portatrice di una precisa intenzione.”

 

Viene in mente la storica frase di Aby Warburg “Il Dio sta nei dettagli”: scordiamoci del tutto e concentriamoci sul particolare. Ogni protagonista, nei video di Kazma, non è solo colui che rappresenta una pratica, bensì è anche un'individualità che, tra tante, si dedica a quell'atto. Nel catalogo l'artista traccia una biografia di ognuno e della sua esperienza professionale. Ognuno di loro rappresenta quella specifica possibilità di essere e relazionarsi al mondo, pur essendo, al tempo stesso, portatore di un sapere che riguarda una pluralità. Ognuno è singolare e plurale (usando le parole di Jean-Luc Nancy) e la relazione tra l'essere singolare e l'essere plurale avviene nell'atto della pratica stessa attraverso il corpo.

 

Tre video esplorano degli ambienti: un acquario, una scuola, una prigione (Aquarium, School, Prison).
Qui il corpo è quello sociale, disciplinato, condotto, e gli ambienti sono la sua condizione di relazione con gli altri, con altri corpi. Liberato o incarcerato il corpo è sempre sotto questo sforzo continuo di relazione con altri corpi.
Dunque, per tornare da dove siamo partiti, il senso della resistenza non è forse questo necessario esistere in relazione? Questa necessaria affermazione e preservazione del sé rispetto all'altro?

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