La sesta edizione di ON a Bologna / “Dopo, Domani”: un progetto d'arte utopica sul lavoro e l'abitare oggi

25 Marzo 2016

Mi è capitato, come forse anche ad alcuni di voi, di partecipare a bandi per incarichi di lavoro all'estero in strutture pubbliche (almeno in parte), e di scoprirmi davvero poco preparata a fornire un quadro sul mio lavoro passato che riuscisse a restituire da una lato quelle che oggi vengono dette le skills (ovvero le competenze acquisite nel corso della carriera professionale), dall'altro a mostrare come tali abilità potessero offrire un reale potenziale di sviluppo per chi avrebbe dovuto scegliermi. 

Lavoro come curatore d'arte contemporanea e so che non è tra i lavori più comuni, ma credo che buona parte della mia generazione, io ho 37 anni, si trovi a vivere questa situazione. 

Non si tratta di precariato o almeno non solo, si tratta a mio parere di visione, di proiezione, e perché no, di desiderio. Aspetti che spesso sono fuori dalla nostra portata e dalla nostra preoccupazione, per lo più rivolta alla risoluzione di un presente. Si tratta di capire che e come quel che stai facendo può diventare bagaglio fondante il tuo futuro. Di capire, e dunque prima di tutto di cercare, il punto in cui ci troviamo lungo un percorso che ha un prima e avrà un dopo, e soprattutto segue un flusso che non è indipendente dal resto del mondo né dal resto degli esseri umani e viventi in genere. 

 

D'altra parte, l'informazione, la pubblicità, i media ci mettono sempre di fronte ad una proiezione sul futuro... il futuro delle terra, delle risorse, la vita su altri pianeti, la scienza e la tecnologia, la vita virtuale, la fine della crisi... e il futuro è sempre messo in relazione al passato nel tentativo di costruire un discorso storico. 

Viviamo all'interno di una contraddizione faticosa... ci viene chiesto di proiettarci sul futuro ma senza che l'oggi fornisca gli strumenti per pensarsi domani.

Così che quando mi sono trovata di fronte al titolo DOPO, DOMANI, quello della sesta edizione di ON è stato un richiamo immediato, l'attivazione di una curiosità, di una domanda che mi ero scordata, il concentrarsi in due parole di due tempi vicini e lontani, il dopo dell'oggi ma anche di un futuro imprecisato, il domani come futuro auspicabile ma al tempo stesso immediata e circoscritta temporalità.

 

ON è un progetto avviato nel 2007 da Martina Angelotti e Anna De Manincor che investiga la sfera pubblica attraverso l'invito ad artisti internazionali a realizzare opere e azioni in relazione alla città di Bologna a stretto contatto con immaginari reali ma anche visionari e utopici (onpublic.it). Quest'anno sono stati realizzati due interventi artistici sul tema del tempo futuro, appunto, legato a quello dell'abitare e quello del lavoro: l'intervento scultoreo Monowe dell'artista torinese Ludovica Carbotta e una due giorni di discussione attorno al tema del lavoro presso la sede istituzionale di Palazzo D'Accursio del Comune, dove l'artista italo-libica Adelita Husni Bey ha organizzato quattro tavoli tematici, 4 Atti sul Lavoro, così come si possono riascoltare qui, invitando esperti a dialogare con i visitatori e con venti disoccupati appositamente reclutati tramite una chiamata pubblica (il filosofo Federico Campagna ha coordinato il tavolo “Cos'è il lavoro? Il lavoro come ideologia”; il sociologo Federico Chicchi quello dedicato a “Chi lavora? Automazione e lavoro”; Cristina Morini, che si occupa della condizione lavorativa delle donne, ha guidato la discussione “Dove si lavora? Lavoro domestico e coworking”; infine Federico Martelloni, professore associato in diritto del lavoro all'Università di Bologna, quella su “Quale tutela del lavoro? Lavoro e diritto”). 

 

Entrambi proiettati verso una dimensione utopica, i due progetti sono in realtà un invito a porci domande sul presente.

Quest'ultimo, in particolare, che è ancora in corso nella sua fase di post-produzione ovvero nella rielaborazione dei dati raccolti, ha ben poco di artistico in termini formali condensando invece la sua essenza metaforica nel processo che mette in atto. Un processo cognitivo, di attivazione di pensiero, verso se stessi ma anche verso gli altri, di visioni sulla società locale e globale. Durante le due giornate dei 4 Atti (la prima live, la seconda in differita audio e video) il pubblico era invitato a compilare un questionario per “visualizzare un futuro prossimo del lavoro”, andandosi a cercare nel 2040, andando a cercare nel proprio immaginario la propria condizione tra più di vent'anni, un tempo lungo ma poi non così lontano. “Il questionario è composto da due parti – si legge sulla copertina –, una riguardante il presente e una seconda, più estesa, che chiede di situarsi nel futuro.”

 

Tali questionari, ad oggi qualche centinaio, sono stati raccolti per essere rielaborati in chiave statistica e messi a disposizione di tutti online (su onpublic.it e altri portali, come su testate giornalistiche nazionali su cui usciranno non appena sarà terminata la fase di rielaborazione) per darci un quadro delle condizioni future del nostro lavoro. Un quadro improbabile, ovviamente, che però forse ci porta altrove. Domande come Quanto è importante la carriera nella tua vita del 2040? oppure Nel 2040 quanto si differenzia il tempo del lavoro dal tempo del non lavoro nella tua giornata?, o ancora: Esiste (nel 2040) il Ministero del Lavoro? Quali altri tipi di sostegno oltre al lavoro ti permettono di sopravvivere nel 2040?, non si distanziano tanto da quelle delle application internazionali di cui dicevo all'inizio, non ovviamente nei contenuti, quanto nell'approccio che richiedono. Entrambi i questionari sono un invito spietato e talvolta crudele a interrogarci sulla nostra condizione. Altroché futuro! Sì certo, possiamo divertirci a rispondere alla domanda su “come manifesti nel 2040 la tua insoddisfazione verso la tua condizione di lavoro” con “compio atti terroristici” o “divento un eroe” o “mi suicido”, ma subito ci viene da pensare: e oggi? È poi così diverso? Riesco a manifestare questa insoddisfazione o subisco il mio lavoro senza interrogarmi per niente? O ancora, quando ti viene chiesto se il tempo del lavoro nel 2040 si differenzierà da quello del non lavoro, qual è il desiderio e quale l'attesa?

 

Nel compilarlo mi sono sentita un po' sola. Cosa avranno scritto gli altri – mi sono chiesta? Come la intendono loro, qui accanto a me? Quelli che lavorano con me e quelli che hanno scelto tutt'altro? Mi sono venute in mente le parole di Zygmunt Bauman quando parla della contraddizione della condizione attuale individualistica dove il singolo, privato ormai della comunità, si trova però a dover risolvere problemi causati e concernenti la società intera. Pur non essendo stata presente, immagino che i 4 tavoli, così come li ho ascoltati, oltre che un'occasione di approfondimento tecnico e teorico su temi di cui i lavoratori conoscono spesso solo l'aspetto pratico, siano stati prima di tutto un atto sociale, un'occasione quanto meno di condivisione di questioni che riguardano la collettività.

 

È vero, tendiamo a vivere sempre più isolati, chiusi nelle necessità di risolvere ognuno il proprio quotidiano, ed è anche vero che questo grado di individualismo è l'ovvia conseguenza di uno stato di urgenza in cui ci siamo trovati negli ultimi anni, ma è anche vero che ci piace stare nel nostro piccolo sistema di relazioni (o non relazioni), felicemente ignari di ciò che ci circonda, o anche chiuderci dentro un mondo all'avanguardia nella nuova tecnologia, al riparo da ogni sforzo collettivo. Un duplice lato della stessa medaglia, così come ce la presenta anche Ludovica Carbotta in Monowe, di cui si può ascoltare una traccia audio qui. Una voce suadente ci invita a partecipare alla selezione (ancora una volta!) per l'unico posto a disposizione per la città di Monowe mentre sostiamo di fronte a due sculture aliene, spiazzanti, certamente e volontariamente prive dell'eleganza che contraddistingue invece l'area della Manifattura delle Arti in cui si ergono e a cui Bologna ha affidato buona parte della sua identità negli ultimi dieci anni (un piacevole sobborghetto interamente ricostruito col tipico mattone rosso, con tanto di giardinetto e ciottolato medievale). Strutture abbozzate, senza chiara funzionalità, disegni di pazzi architetti o ignari bambini, che hanno origine dalla giuntura di tubi innocenti e vengono infine ricoperti da un'intelaiatura di plastica bianca. Si tratta apparentemente di elementi primordiali di una città del futuro, ma l'invito in realtà è per oggi... si può partecipare fin da subito e chissà – mi son chiesta – se qualcuno ha davvero richiesto la cittadinanza di Monowe? C'è posto per una sola persona a Monowe, ci dice la voce... e finalmente lì il fortunato abitante prescelto potrà starsene da solo, nel lusso di tutte le comodità che la città offre. Sembra ironia o fantascienza, ma quanti di noi non lo vorrebbero? Non è forse quello che la maggior parte di noi fa o tenta di fare nella propria vita, viverla autonomamente, al riparo dagli altri, senza mai retrocedere di un passo?

 

Dopo, Domani, è una riflessione sul futuro che a me pare prima di tutto un invito a guardare all'oggi, a stare nel presente, a riconoscere come viviamo, a interrogarci su come lavoriamo. È questa d'altra parte la natura prima dell'arte contemporanea, non la sua bellezza formale, come molti reclamano, bensì la sua capacità di farci dialogare col presente, di portarci oltre un tempo passato che procede per proclami ma non lascia spazio al dialogo, e di porci di fronte a un futuro di questioni pregnanti del mondo come di ognuno, di attivare una consapevolezza individuale e uno sguardo critico soggettivo nell'ottica però di una vita che è, evidentemente, non mono, ma plurima. Ciò che è bello a mio parere, oltre che molto significativo, non è la forma estetica ma il modo, la modalità in cui ciò avviene dentro l'istituzione, laddove l'arte sta riconquistando spazi di discussione mancanti in altri settori.

 

www.onpublic.it

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