Massimo Miro. La faglia

9 Ottobre 2012

La faglia (Il Maestrale, p. 144, euro 16) di Massimo Miro è un romanzo che nasce da un interrogativo e un’illusione: sarebbe stato possibile salvare Aldo Moro? Purtroppo no. E con lui nemmeno il destino di un paese.

È questa la lucida conclusione a cui approda Goffredo Mezzasalma, detto Gomez, protagonista e voce narrante del libro, un adolescente che negli anni Settanta vive in un’immaginaria periferia a Torino – molto simile alla Berlino di Christiane F. – con un gruppo di amici: Jumbo, Sgummo, Novi e Ligure, che si dividono fra risse e piccoli furti.

 

Gomez è l’unico sopravvissuto. Ora si è trasferito a Milano, è sposato, benestante, ma questa apparente felicità viene turbata dall’irrompere di una telefonata, come nei film dell’orrore. Trent’anni prima Gomez e gli altri – i “Grandiosi” – credono che l’uomo recluso a casa della ragazza di Jumbo sia Aldo Moro e decidono di compiere un gesto clamoroso: liberarlo da quella prigione e dare una sterzata al corso delle loro vite.

Ma tutto va storto. L’unica via di fuga si perde nel degrado e nell’ordinaria miseria del quartiere in cui sono cresciuti: qui non vi è alcun romanzo di formazione, nessun cambiamento.

 

Ciò che invece resta è il cronotopo della faglia: il crepaccio insidioso che attraversa una strada alla periferia di Torino e l’intervallo temporale che separa due momenti cruciali nella vita del protagonista: il giorno del 1978 in cui Jumbo viene quasi ammazzato, e quello di trentadue anni dopo quando Gomez compie il viaggio di ritorno, per rivedere l’amico risvegliatosi dal coma, in nome di un legame indissolubile, capace come i miti di sopravvivere alla guerra e alla morte.

 

La scrittura di Massimo Miro è agile e descrive con un tono velato di tristezza l’illusione di potersi salvare, anche se tutto si risolve in un equivoco ingenuo e feroce:

 

  

“– Io so dove tengono nascosto questo qua, – disse facendo saltellare la stecca sulla stella a cinque punte delle Brigate Rosse.

– Ragazzi, si passa alla storia –”.  

 

L’essenza del libro sta in queste poche righe che riescono a strappare un sorriso, a rendere sopportabile la consapevolezza che certi gesti si possono compiere solo in una precisa stagione della vita, quando si poteva avere “tutto il tempo del mondo” e “la felicità non era ancora una parola vuota”.

 

L’ultima pagina consegna al lettore l’immagine surreale di Gomez, che lancia un urlo in sella a un vecchio Garelli “elaborato fino all’ultimo nervo d’acciaio”, reliquia meccanica di un tempo e un luogo che non gli appartengono più.

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