J. K. Stefansson, La tua assenza è tenebra

19 Gennaio 2023

Il romanzo di Jon Kalman Stefansson, La tua assenza è tenebra (traduzione di Silvia Cosimini, Iperborea, 2022) apre squarci di conoscenza su una letteratura nazionale, quella dell'Islanda, poco frequentata: siamo abituati a una letteratura del Nord Europa che predilige temi cupi, come nel cinema o nel teatro di quei paesi dove la solitudine, il senso di colpa, il dolore sono sempre inquadrati in un disegno collettivo, perché a nessuno è consentito sfuggirvi. È il conflitto tra tenebre e luce, che c'è nei film dello svedese Ingmar Bergman (1918-2007), o del finlandese Aki Kaurismaki (1957), nei drammi del norvegese Henrik Ibsen (1828-1906) e che si ritrova in questo romanzo di Stefansson. Anche Borges (1899-1986), si interessò alla letteratura nordica, fin dal 1953, quando si mise in testa di decifrare le "rune": il grande argentino era affascinato dai simboli – ideografici e pittografici raffiguranti un qualche principio o potere cosmologico – riassunti nelle rune, che funzionavano come lettere dell'antico alfabeto germanico, ma essendo molto di più che semplici lettere e racchiudendo in loro stesse rappresentazioni e significati filosofici e magici.

Si può comporre un romanzo nello stesso modo in cui si incide una runa, "elevare il caos della semplicità costretta in un simbolo, fino a farla esplodere in un solido massiccio di forma romanzesca"? si chiedeva Borges e una risposta avrebbe potuto trovarla in questo libro di Stefansson: un labirinto di Escher, o una scatola cinese, un romanzo dall'architettura semplice ma che complica la lettura per i diversi orientamenti dei personaggi, che si muovono su piani temporali sfasati e confondono lo sguardo.

La tua assenza è tenebra è un western pastorale, dove la natura fa da sfondo a esseri umani che fanno quello che hanno sempre fatto: intrecciare relazioni con i loro simili. Siamo nei Fiordi islandesi, un uomo si ritrova in una chiesa di campagna, non sa chi sia né come sia arrivato fin lì. Una lapide lo colpisce nel piccolo cimitero: "La tua assenza è tenebra". Con la tecnica cinematografica del flashback, che consente di rendere irregolare e discontinuo il tempo, inizia il suo cammino verso i ricordi, gli incontri che creano scambi, gli scambi che creano legami, i legami che richiamano alla mente immagini perdute. Stefansson getta sul tavolo tessere di un mosaico da assemblare, per ricostruire una narrazione non cronologica, impetuosa.

All'inizio i colori islandesi che descrivono paesaggi e occhi dei personaggi – blu freddo, verde, grigio, blu glaciale, azzurro – ci conducono nella solitudine raggelata che circola nelle 598 pagine, scandite da una playlist della morte, diligentemente scaricata alla fine: da Bob Dylan a Kanye West. È la campagna islandese, lunghe distanze tra una casa e l'altra, tra i recinti pastorali pluricellulari dove le pecore vengono ammassate da cow boy del "nord del mondo", nello stesso tempo sospeso e nell'isolamento che abbiamo ammirato nella bianca Telluride (Colorado) di The Hateful Eight (2015) di Quentin Tarantino; l'Islanda dove "l'orologio che segna il tempo si è fermato", la lancetta non si muove, la lancetta magra, quella scarnificata che "ha rinunciato a spostarsi, sta lì appesa esausta, inanimata, come in attesa, e non misura più niente. Se non la propria morte".

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Nel sogno del prologo al Posto delle fragole (1957) di Bergman, c'è un orologio senza lancette e la bara che cade dal carro funebre si scoperchia: il protagonista si avvicina e vede se stesso all'interno, che lo afferra e cerca di tirarlo giù. Anche in questo romanzo la morte è sempre presente: "è solo un altro nome per l'oblio", il controcanto necessario a dipanare il senso della vita, se c'è. E il sesso: sono svariate le descrizioni di atti sessuali, erezioni, sperma disperso sulle copertine dei libri. Eros e Thanatos sono il tranello che la selezione della specie ha escogitato per lo sviluppo evolutivo.

Stefansson li fa dialogare per tutto il libro, una riflessione in slow motion su questo tragico scacco inflitto al genere umano. Le mandrie di pecore e Internet, il Covid, i cavalli e i border collie festosi, le chiesette e le lapidi piantate nel terreno, i nidi delle starne e la ghiacciaia abbandonata, il legname trasportato dalle mareggiate della Siberia; Stefansson vuole affascinarci con la cultura, la musica e la natura islandesi ma si inchina, a volte con velata ironia, alla letteratura internazionale: davanti al caso Dreyfuss difeso da Emile Zola, davanti a John Stuart Mill de La servitù delle donne, davanti a Dante, perfino a Susan Sontag, e a Kierkegaard.

"Chi è Kierkegaard, aveva chiesto Eirikur. Halldòr: un filosofo danese che scriveva lettere a Dio, e riceveva perfino delle risposte. Tuo zio sa tutto di lui. Su Soren Kierkegaard. Kierkegaard significa cimitero". La tecnologia, i social, il femminismo fanno da contrappunto al medio evo, al sistema gotico di segni reiterato nell'ossessione per la morte e dal canone delle saghe, a cui Stefansson attinge, come hanno sempre fatto tutti gli autori islandesi: delle cinque generazioni che ci presenta in questo libro, fanno parte Aldìs, che ha lasciato Reykjavik per condividere la vita con l'uomo di cui si è innamorata, Eirikur che torna dalla sua famiglia dopo aver molto viaggiato perché chi non ritrova le proprie radici e fugge dal passato "non ha più nessun posto dove andare", Asi, con la sua fame di sesso, Soley, Pétur, Runa e una miriade di altri personaggi in contemplazione dei processi – il sole, la pioggia, la nascita, la morte – che la natura governa: tutti descritti in un movimento incessante – che in questo romanzo ipnotico allude all'immobilità – per cercare di influenzarli, ma finendo per subirli, come è sempre stato e sempre sarà. "Svegliati tempo!" dice Soley dando un colpetto col bastone all'orologio islandese, che riprende a ticchettare: "e il mondo torna a invecchiare".

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