Giorgio Manganelli / La favola pitagorica

3 Maggio 2011

Pur essendo annoverabile in una longeva tradizione novecentesca di viaggi d’autore in Italia, l'odeporica di Giorgio Manganelli sembrerebbe appartenere piuttosto a quel genere letterario che lo stesso autore, altrove, si era premurato di precisare con la sua consueta diligenza di onomaturgo: la geocritica, ovvero il “trattare un luogo alla stessa maniera con cui trattiamo sostanzialmente un libro”. Sulla scorta di questa definizione, i suoi scritti di viaggio in Italia (raccolti da Andrea Cortellessa ne La favola pitagorica) possono così diventare note e trascrizioni di una sorta di di-vagare mentale. Manganelli può interrogarsi diffusamente sull’esistenza di Ascoli Piceno, ovvero discettare sull’Abruzzo tracciandone una cartografia eccentrica; nonché raffigurarsi Piacenza come un luogo esotico quasi quanto Singapore, o ancora osservare le vestigia della Magna Grecia come fossero epifanie misteriosamente familiari.

 

Come in Spagna mi ispanizzo, e in Germania vagheggio di farmi goethiano, così a Firenze sperimento una trasformazione, una insidia, una seduzione che non saprei descrivere in altro modo: divento, o vorrei diventare Italiano. Ma non sono già, nel bene e nel male, un italiano? Eh, c'è modo e modo. L'italiano che emerge in me a Firenze è uno dei modi dell'altrove; come dire che Firenze è estero, ed anzi che a Firenze scopro come l'Italia intera possa essere estero. Firenze è estero perché, qui, l'Italia è estero. È un luogo da raggiungere, un luogo lontano. È fuori.

Qual è la malia, l'incantamento specifico di Firenze? Per chi, come me, ha avuto un destino libresco, Firenze è il luogo, il solo in Italia, in cui la letteratura italiana è indigena, è del luogo, come Palazzo Vecchio. A Firenze cammino immerso nella letteratura italiana, ed è una letteratura domestica, quotidiana. Passo per via de' fossi e rammento che qui vive un personaggio della novella del Lasca, uno dei più straordinari novellatori del Cinquecento; quella torre mozza è la casa di Corso Donati, il protagonista della Cronica di Dino Compagni. E non dirò che in Santa Maria Novella si sono incontrati i dieci narratori del Decameron? Ma non è color locale, non è folklore; a Firenze divento Italiano, ma un italiano un po' arcaico, un umile, dimesso, mimetico e velleitario frequentatore dei classici.

 

Edizione di riferimento: Giorgio Manganelli, La favola pitagorica. Luoghi italiani, a c. di A. Cortellessa, Adelphi, Milano 2005.

 

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