Speciale

I miei passi immobili

10 Agosto 2011

I miei passi accadono. Sono simultaneamente mossi e immobili, quindi sospesi. Sono di una dolcezza ineffabile, cercano da una vita di non fare rumore, cadendo – scanditi – lievi come neve – per non dare fastidio disturbando l’andare delle cose.  Il mio camminare ha una dolcezza ineffabile, talmente delicata da essere impercettibile. Il mio camminare trattiene l’accidentalità del vivere di tutti e di ciascuno, sospendendo i suoi passi in immagini di sogno: sogni ad occhi aperti, rêverie, simultaneamente motore del mio costante precedere per tentativi. Il mio camminare è un costante accadere a me stessa. In questo evento che io sono – cosi come chiunque altro è – irrompono – in quanto anch’esse eventi – immagini, alle quali poi trovo parole per metterle su carta. Questa scrittura per immagini, le immagini stesse a cui do voce, è poesia nel mio cammino, del mio cammino, sul mio cammino. So camminare nell’immobilità così: poeticamente facendo rilucere ciò che si cristallizza, in un gioco di luce della mente e del mondo che amorosamente e silenziosamente contemplo per poterlo descrivere, incantata e sedotta dalle immagini che lo costituiscono, le stesse che nella mente mia velocemente si alternano e si contaminano. Scrivere poesie, scrivere immagini non serve a nulla. Ma per far ciò occorre guardare e amare ciò che si guarda e da cui, contemporaneamente, si è guardati. Occorre, come accade camminando (credo) amare ciò che sfugge, cogliendolo nell’attimo del suo svanire, e trattenendo l’accadere,  farsi imprimere, come una lastra sensibile, la leggera fugacità delle cose care, che si prenderanno a cuore, nel momento in cui torneranno a farci compagnia – quando penseremo di averle dimenticate – nella solitudine dello stare al mondo, scoprendo l’essere salvati dall’unico amore possibile: l’amore per ciò che fugge.

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