Speciale

Malpagato derubato deriso disgregato e ti amo Mariù

28 Maggio 2012

Alla borgata, il quartiere in cui sono nato, un sacco di bambini rispondevano: il calciatore.

- Cosa vuoi fare da grande?

- Il calciatore.

Ci è riuscito solo Enzo, per un breve periodo e collezionando una quantità incredibile di autogoal. Adesso fa il posteggiatore abusivo a Roma. L’ho incontrato qualche mese fa, mentre mi accingevo a sostenere l’ennesimo sfortunato colloquio di lavoro. Ci siamo guardati negli occhi a lungo, poi abbiamo fatto finta di non conoscerci. Avrei voluto chiedergli l’autografo. Era l’unico calciatore che avessi mai conosciuto, ma ho pensato che non fosse il caso.

Nel mio quartiere, comunque, non c’erano soltanto i calciatori, c’erano anche i bambini più fortunati, quelli che guardavano beati loro tantissima televisione e rispondevano: il meganoide o, in alternativa, il giocatore di golf.

- Cosa vuoi fare da grande?

- Il giocatore di golf. SPA-GHEEEEEE-TTI!

Ce l’ha fatta solo uno di noi. No, non a fare il giocatore di golf, quello era chiaramente impossibile. Intendevo dire che è riuscito a diventare meganoide. Merito dell’eroina. L’ha amata a tal punto che lei ha esaudito i suoi desideri. Adesso somiglia a Don Zaucker, il primo dei meganoidi, quello che sembra Frankenstein ed emette soltanto suoni atoni. A differenza di Don Zaucker, però, il mio amico non ha al fianco nessuna comandante Koros, capace di interpretare le sue parole e comunicare con lui. Poveraccio.

A parte il calciatore, il giocatore di golf e il meganoide, nel mio quartiere non c’era spazio per nessun altro mestiere. Nessun bambino aveva la velleità di diventare astronauta, o avvocato, o medico, o ingegnere, come ho scoperto più tardi che succedeva negli altri quartieri. Probabilmente perché nessuno riteneva realmente possibile che un bambino come noi diventasse astronauta, avvocato, medico o ingegnere. Eravamo bambini, ma non eravamo illusi. Quando lo chiedevano a me, dal momento che non volevo fare né il calciatore, né il giocatore di golf, né tanto meno il meganoide, io rispondevo semplicemente: niente.

- Cosa vuoi fare da grande?

- Niente.

Ero fiero di questa risposta. Mio fratello, però, era più bravo.

- Cosa vuoi fare da grande?

- Suca.

La sua era una risposta splendida, ma la mia si è rivelata molto più profetica.

Ho trentadue anni, lavoro all’università da otto, e come ogni anno, una volta scaduto l’ennesimo contrattino di ricerca, si è spalancato il nulla.

 

Ogni giorno inizia e finisce con me che penso: Devo trovare un lavoro - Devo trovare un lavoro - Devo trovare un lavoro, all’infinito.

Accedo al mio conto bancoposta, stampo a video l’estratto conto, faccio un rapido conto di quando ancora posso resistere e penso: Devo trovare un lavoro - Devo trovare un lavoro - Devo trovare un lavoro...

Compilo curriculum che invio ovunque nel mondo qualcuno cerchi lavoratori e nel frattempo, penso: Devo trovare un lavoro - Devo trovare un lavoro - Devo trovare un lavoro...

Lascio messaggi anonimi (scritti con la mia scrittura più minuscola e diabolica) dentro la cassetta delle lettere del mio amministratore di condominio descrivendo nel dettaglio cosa gli succederà se prova anche solo a toccare nuovamente le bici in cortile, e senza volerlo continuo a pensare: Devo trovare un lavoro - Devo trovare un lavoro - Devo trovare un lavoro...

Persino quando litigo con la mia ragazza, per via delle frustrazioni che tutti e due accumuliamo stando a casa e ripetendoci: Devo trovare un lavoro - Devo trovare un lavoro - Devo trovare un lavoro, e mi ritrovo a dire cose che non vorrei dire e pensare, nel frattempo: Devo trovare un lavoro - Devo trovare un lavoro - Devo trovare un lavoro....

Anche ora, che sto scrivendo questo pezzo, in realtà non faccio altro che lasciare correre le mie dita sulla tastiera, mentre ripeto mentalmente, come un mantra: Devo trovare un lavoro - Devo trovare un lavoro - Devo trovare un lavoro...

 

Non sono bravo come gli altri, io.

Loro, nell’attesa tra un lavoro precario e un altro, coltivano degli hobby. Io no.

Gli hobby li aiutano a non impazzire.

Ci sono quelli che si sono dati alla fotografia e passano le loro giornate a fotografare mani e piedi: i propri, quelli dei loro partner, quelli degli sconosciuti. I più bravi fotografano anche volti e cortei. In bianco e nero e a colori.

Ci sono quelli che corrono e vanno in bici. Quando corrono sono vestiti da sportivi, quando vanno in bici sono vestiti in borghese, per il resto non cambia granché: sudano, ansimano e bestemmiano sottovoce. Sono simpatici. Certo: a prima vista sembrano folli, isterici e perversi, ma sotto sotto, se impari a conoscerli, scopri che sono simpatici.

Poi ci sono quelli che col tempo diventano pazzi fondamentalisti. Abbracciano una fede, qualsiasi fede, e la fanno diventare la loro unica ancora di salvezza. Dio, Fabio Volo, il Catania, Calvino, Buddha, gli scout, ogni cosa fa brodo, purché dia un senso alla loro vita. Camminano per strada, sorridendo e rispondendo: Bene, ogni volta che qualcuno domanda loro: Come stai?, poi tornano a casa, si guardano allo specchio e scoppiano in singhiozzi.

Ci sono anche i giocatori seriali: Playstation, WII, xBox, TexasHold’m, scopone, briscola in cinque. Passano le loro giornate a sfidare avversari inesistenti e a riprendere con lo smartphone i culi delle loro ragazze mentre ballano sulle note di JustDance.

Poi ci sono i cuori solitari. È facile riconoscerli: non sono mai in giro. Escono di rado e parlano ancora meno, eppure amano. Facebook, Twitter, LastFM, Skype, Pinterest sono il loro territorio. Lì dentro, loro, regnano incontrastati. Regnano e amano. Amano continuamente. Amano senza stancarsi mai.

E infine ci sono quelli che non hanno un lavoro, ma al contrario di tutti gli altri, se ne fottono.
Sono rari, ma ci sono.

Mica sono come me, che passo la vita a dirmi: Devo trovare un lavoro - Devo trovare un lavoro - Devo trovare un lavoro e a scrivere post per doppiozero.

 

Ieri ho provato a chiedere a mio fratello se per caso conoscesse qualche battuta simpatica da inserire dentro un breve testo che parlasse di disoccupazione. Lui mi ha guardato con i suoi grandi occhi scuri e impenetrabili, mi ha stretto il braccio sinistro con la mano destra per attirare la mia attenzione verso quel che stava per dire e mi ha risposto: Suca.

Poi è tornato a occuparsi del suo caffè.

Ci sta una vita a berlo. Se lo gode.

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