Milano, Italia: l'assedio (illegale) al Monumentale

3 Luglio 2015

Se fossi il ministro per i Beni culturali chiederei ai Baustelle di poter usare una loro canzone per far capire a cosa servono, davvero, «il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione» (art. 9 Cost.). Quella canzone è Monumentale, un invito a varcare la soglia nel Cimitero Monumentale di Milano per sottrarsi alla dittatura totalitaria di un presente effimero: «Quindi lascia perdere i programmi /coi talenti, i palinsesti, /per piacere non andare a navigare sulla rete, /stringi forte chi ti vuole bene / tra le tombe del monumentale, /trovi Dio, trovi Montale, ed un’opaca infinità. /Quindi lascia perdere i salotti /coi talenti e le baldracche, /vieni all’ombra dei cipressi /dona amore, al pomeriggio /a chi sospende la sua vita /tra le urne amiche del monumentale, / di realtà e d’irreale, vieni a fartene un’idea».

 

Ma se oggi qualche milanese, o qualche italiano, memore della propria umanità accettasse l'invito dei Baustelle e andasse al Monumentale: ebbene, sprofonderebbe nel gorgo contrario, quello di una speculazione edilizia che – incurante del buon senso e perfino della legge – si mangia la città e il suo futuro.

La storia è questa. Esattamente di fronte all'ingresso di quel polmone di libertà che è il Monumentale, si apre ora un immenso cantiere (31.000 metri quadri). Qui sorgeva un edificio storico dell'Enel, che è stato (assurdamente e irresponsabilmente) abbattuto per costruire un albergo di nove piani privo di ogni qualità architettonica, accompagnato da un parcheggio interrato capace di contenere 250 auto.

 

Nel dicembre 2011 Marco Belpoliti scrisse al sindaco Giuliano Pisapia invitandolo a «rendersi conto direttamente dello sfregio edilizio che viene inferto a una zona centrale della città, a solo venti minuti a piedi da Piazza del Duomo. Guardando il tutto viene da chiedersi come sia possibile nell’anno 2012 erigere edifici di tal fatta che negano qualsiasi bellezza e riducono lo spazio urbano a una sorta di non-luogo spaesante e ben presto degradato».

Ma Pisapia preferì non rendersene conto. Per rendere edificabile un terreno che non lo era, per aumentare le cubature, per allentare i vincoli che proteggono il Monumentale, la giunta di Letizia Moratti aveva dichiarato che il progetto era di interesse strategico per la città. Una mistificazione evidente, visto che questa speculazione giovava solo a chi la faceva, danneggiando anzi la città in modo assolutamente evidente: una mistificazione che l'Amministrazione Pisapia avrebbe potuto (anzi dovuto) smontare. Ma non lo fece. E allora è stato un gruppo di cittadini (bene ricordarne i nomi: Marco Belpoliti, Gianni Biondillo, Marco Biraghi, Paola Lenarduzzi, Roberto Marone, Luca Molinari, Alberto Saibene) a caricarsi sulle spalle il bene comune, ricorrendo alla giustizia amministrativa. Nello scorso marzo, il Consiglio di Stato ha dato ragione a questi cittadini, e torto alle amministrazioni Moratti e Pisapia: il progetto non era strategico, e dunque la procedura eccezionale era illegittima.

 

Hanno vinto i buoni, una volta tanto. Già: ma in questo strano Paese, avere ragione non basta. La procedura è stata dichiarata illegittima, e dunque tutto dovrebbe fermarsi: ma proprio in questi giorni le gru hanno iniziato a costruire. Come è possibile? Cosa devono fare i cittadini, allora? Sdraiarsi nel cantiere? Incatenarsi alle gru? Darsi fuoco come i monaci tibetani?

 

Winston Churchill disse che «gli uomini danno forma agli edifici, e poi quegli edifici danno la loro forma agli uomini». La nostra democrazia malata partorisce edifici mostruosi, che a loro volta (s)formano non-cittadini, in un circolo vizioso senza fine. Rompere questo circolo vuol dire non solo difendere il Monumentale, ma difendere il futuro possibile della nostra democrazia. Nessuna Repubblica tutelerà il paesaggio e il patrimonio della nazione, se la nazione non tutelerà l'esistenza stessa della Repubblica.

 

Per questo la partita del Monumentale non riguarda solo i milanesi, ma è una grande questione nazionale.

 

Questo articolo è già apparso su Repubblica on line.

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