Un libro pubblicato in Cile ne svela l'omicidio / Salvador Allende fu assassinato

22 Marzo 2016

Salvador Allende fu assassinato. Non si trattò di suicidio, come la Giunta militare di Pinochet tentò di accreditare con accanimento, per alleggerire le proprie responsabilità, e per incrinare l'immagine di un uomo che aveva lottato sino all'ultimo contro i golpisti traditori. 

L'undici settembre 1973, come la storia ricorda, forze militari guidate dal generale Pinochet, e sostenute dalla CIA, si sollevarono contro il governo cileno di Unidad Popular, democraticamente eletto: con forze soverchianti, oltre ad impadronirsi dei gangli vitali del paese, circondarono ed attaccarono il palazzo presidenziale della Moneda, bombardandolo con l'aviazione e con tiro di carri armati, sino all'assalto finale. Il Presidente, Salvador Allende, medico socialista, insieme alla sua guardia personale, si difese strenuamente, sino a che i militari fecero irruzione nella Moneda. 

A quel punto, la versione ufficiale dei golpisti parla di Allende che si isola in una stanza, si siede su un divano, e con il mitragliatore AK-47 poggiato verticalmente sul pavimento, si suicida sparandosi un colpo al mento. Ora, un libro pubblicato in Cile, contiene una accurata ricostruzione storica e testimoniale dei fatti, e soprattutto una nuova perizia medico-legale, che dimostrano come Allende sia stato assassinato. 

 

Il medico, Luis Ravanal Zepeda, ha ricevuto nell'ottobre 2014 al congresso mondiale medico forense di Seul il massimo premio per la sua indagine sulle cause della morte di Allende (che ha per titolo: “Uno o due proiettili?”). 

La verità sul caso si può raggiungere unendo alla originaria autopsia del 1973, che pur effettuata sotto il controllo dei militari golpisti rivela molti elementi preziosi e sottovalutati, gli esami chimici effettuati sui resti del cranio di Allende nel 2011. I resti del Presidente sono andati in buona parte perduti a causa di una sconsiderata riesumazione avvenuta nel 1990, in cui, oltre all'approssimazione del procedimento, si è associata una deliberata distruzione di materiali, gettati via senza misericordia, come testimoniato da giornalisti presenti. Tre operai che lavorarono alla riesumazione, testimoniarono in giudizio nel 2011 di aver gettato nell'immondizia abiti e ossa del Presidente.

 

Gli esami chimici del 2011 mostrano sull'osso frontale, in corrispondenza dell'orbita destra, una abbondante presenza di piombo, bario e antimonio, in quantità adeguata a dimostrare l'ingresso di un proiettile sparato a breve distanza.

Dall'autopsia del 1973 risulta, nella parte alta posteriore del cranio di Allende, l'orifizio di uscita di un proiettile, tipico di un proiettile di piccolo calibro: orifizio arrotondato, con smussatura esterna, di 2 o 3 centimetri di diametro. Esso non ha nulla a che vedere con il danno prodotto dal proiettile dell'AK-47, arma da guerra con effetti devastanti, il cui proiettile, entrato dal mento, provoca l'esplosione del cranio nella regione fronto parietale temporale sinistra. Già nell'autopsia del 1973 dunque è contenuta la base della verità: emerge dal referto che sono stati sparati due proiettili diversi, di natura e capacità distruttive completamente diverse. Ora, però, un attento esame dimostra che il primo sparo fu alla fronte, vicino all'orbita destra, di un proiettile di piccolo calibro che fuoruscì dalla parte posteriore del cranio. In un secondo momento, probabilmente per dimostrare il suicidio, fu effettuato il secondo sparo, alla gola, con l'arma da guerra e un proiettile ben più devastante. La successione degli spari in questo ordine è dimostrata dalla natura stessa del cranio: il foro di uscita arrotondato con smussatura esterna può avvenire solo in un cranio ancora integro e solido che oppone una resistenza: l'eventuale sparo antecedente del secondo proiettile, che causa l'esplosione della scatola cranica, renderebbe impossibile la formazione di un foro di uscita di tale natura, possibile solo prima dell'esplosione del cranio dovuta al proiettile da guerra. La quantità di polveri collegate allo sparo alla fronte è diciotto volte superiore rispetto alle polveri rinvenute nella zona inferiore del mento.

 

 

A questo punto interviene l'indagine storica, e le recenti testimonianze di parenti e amici dei golpisti, a mostrare come si svolsero i fatti nell'assedio della Moneda.

Il generale Palacios guidava 80 militari all'assalto, che si introdussero nel palazzo per la porta di Morandé, e salirono le scale fino ai piani superiori dove si difendevano Allende e gli uomini della sicurezza. In un costante conflitto a fuoco, il generale e alcuni soldati si trovarono al secondo piano, quasi a contatto con il Presidente, che si trovava nel salone Rosso con i suoi uomini. Palacios gridò di arrendersi, e Allende rispose gridando: sono il Presidente del Cile, se ti credi tanto valoroso vieni a prendermi! Ci fu uno scambio di colpi che ferì alla mano destra Palacios. Mentre il generale è assistito da Manuel Fernandez Larios, che gli benda la mano, i suoi militari avanzano nel salone sparando e colpendo i resistenti. Sotto i colpi cade un uomo in abiti civili, con un elmetto militare e una maschera antigas (il palazzo era sotto il bombardamento aereo ed erano stati sparati lacrimogeni). Quando i militari si avvicinano per verificare chi sia morto o ferito, notano al polso dell'uomo un orologio di valore; gli tolgono l'elmetto e la maschera e scoprono che si tratta di Allende: a questo punto, il generale Palacios, estrae la sua pistola d'ordinanza e spara a bruciapelo alla testa del Presidente. In seguito, il corpo viene trasportato nel salone Independencia, dove si realizzerà la messinscena del suicidio, con il colpo di AK-47 al mento.

 

La testimonianza sui fatti così come si sono svolti è stata resa ufficialmente dal figlio di un amico fraterno del generale Palacios, che aveva ricevuto il racconto dal generale stesso. Julio Araya Toro, figlio di Jorge Araya, ha inviato nel 2011 al ministro cileno Mario Carroza la propria testimonianza.

Essa coincide con quella rilasciata in un'intervista del 18 agosto 2014 dal nipote del generale Palacios, Dagoberto Palacios: egli conferma esplicitamente che lo zio Javier raccontava in famiglia di aver sparato il colpo di grazia ad Allende.

Dunque nella famiglia di Palacios e dei suoi amici più cari si conosceva da sempre la verità sulla fine del Presidente e sulla diretta responsabilità del generale. 

Anche Gabriel Garcìa Marquez, in un articolo del 1974, aveva indicato Palacios come l'esecutore di Allende, anche se molti dettagli della scena da lui descritta erano errati.

La verità dei fatti sta dunque riemergendo alla superficie nonostante il muro di gomma opposto dalla Giunta militare e dai principali media cileni, nelle mani dell'oligarchia e strettamente connessi con le forze golpiste. Esempio evidente è dato dal gruppo El Mercurio, il cui proprietario dell'epoca, Agustìn Edwards, secondo carte desecretate della stessa CIA, aveva effettuato un'intensa attività di lobby negli Stati Uniti, incontrandosi con il capo della CIA Helms, per promuovere il colpo di stato militare in Cile.

 

Il Presidente Allende fu colpito allo stomaco e al torace da colpi di mitra, e ricevette il colpo di grazia alla testa dal generale Palacios. Poi fu trasportato in un altro salone dove venne effettuata la messinscena del suicidio. 

Esiste una foto scampata alla distruzione di materiali dell'epoca, in cui Allende giace disteso, diritto, su un divano, con le gambe stese, il volto devastato e un fucile poggiato sul ventre: una posizione totalmente incompatibile con il suicidio descritto dai militari: la disconnessione neurologica seguente a una distruzione massiva dell'encefalo avrebbe dato luogo a movimenti agonici e riflessi totalmente differenti; inoltre il colpo alla gola avrebbe causato una vasta irrorazione di sangue sul torace, mentre gli abiti appaiono perfettamente puliti; il sangue cade invece dalla testa e dalla fronte sul divano. Ciò dimostra che al momento dello sparo alla gola il Presidente era già deceduto, e che in ogni caso si trovava in una posizione differente. 

Inoltre, dall'autopsia originaria risultano a livello polmonare "piccole emorragie per aspirazione sanguigna": ciò è possibile riscontrarlo solo in caso di sopravvivenza, e non in caso di morte repentina, come nel caso del presunto suicidio; il mantenimento in attività delle funzioni polmonari respiratorie ha permesso l'aspirazione di sangue all'interno dei polmoni, che non sarebbe stata possibile in caso di morte repentina da sparo unico, con esplosione della scatola cranica. Ciò è compatibile invece con l'ipotesi di ferite precedenti e di uno sparo successivo con arma di piccolo calibro alla testa. 

 

Esistono anche palesi contraddizioni sul tipo di arma usata, che in una versione, accompagnata da un disegno, sarebbe un AK-47 a manico retraibile, mentre in seguito fu esibito e mostrato alla stampa un AK-47 con manico in legno non rimovibile.Dall'autopsia del 1973 emerge inoltre, pur se la descrizione è superficiale e generica, che gli indumenti intimi del Presidente erano "profusamente impregnati di sangue", probabile esito delle ferite conseguite nel conflitto a fuoco con gli assalitori. Sempre dall'autopsia del 1973 emerge che non furono trovate tracce di polvere da sparo sulla mano destra, così come sul dorso della mano sinistra, che avrebbe dovuto essere investito dalla polvere al momento del presunto sparo suicida, nella posizione descritta per reggere l'arma.

Nonostante gli sforzi del regime militare e delle forze egemoniche del paese, che hanno sempre temuto Allende, quasi più dopo la morte che da vivo, il falso della versione ufficiale appare sempre più maldestro e confutato dagli esami tecnici e dalle testimonianze dei familiari degli stessi golpisti.

Ora, sarebbe necessaria una pronuncia giudiziale definitiva che rovesciasse la versione pilotata dai militari subito dopo il golpe, ma l'equilibrio dei poteri in Cile è ancora sbilanciato a favore di forze economico-politico-mediatiche reazionarie che resistono a una chiara emersione della verità.

 

Luis Ravanal Zepeda / Francisco Marin Castro, Allende:"Yo no me rendiré", Ceibo Ediciones

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