Valerio Magrelli. Geologia di un padre

31 Luglio 2013

È bello leggere Geologia di un padre innanzi tutto perché la prosa di Magrelli, già ben condensatasi in La vicevita (Laterza 2009) e Addio al calcio (Einaudi 2010), vi trova un nuovo livello di grazia ed esattezza. È poi bello leggerlo perché è un libro insidioso, pieno di trabocchetti, fin dal primo impatto: quella copertina, con un gigante d’impronta classica che divora degli uomini, accostata a un simile titolo, fa pensare subito a Saturno che si mangia i figli; a uno sguardo più attento – e, nel mio caso, posteriore alla lettura del romanzo (perché, sebbene organizzato per punti, o frammenti, più un’appendice in versi, di ciò certamente si tratta) – si noterà che si tratta invece di un Polifemo nell’atto di mangiare i compagni di Ulisse: un Polifemo disegnato da Giacinto Magrelli, ingegnere e (scopriamo) valido disegnatore, nonché padre di Valerio: il padre intorno a cui ruota il libro.

 

 

Geologia di un padre è poi insidioso perché – pur essendo un romanzo in cui si tratteggia con estremo dettaglio la figura di un uomo attraverso lo sguardo e il ricordo del proprio figlio – non è un romanzo sulla figura del padre: Geologia di un padre è un romanzo sulla morte. La dichiarazione programmatica arriva già nelle prime pagine, con l’evocazione non solo dei morti, ma dei due volte morti: i resti, quelle cose, ormai neanche più cadaveri, che rimangono dopo la permanenza decennale del corpo nello zinco, povere parti che finiscono in ulteriori cassettine (quando non, come chiedeva (l’evocato da Magrelli) Gottfried Benn, in un barattolo di Nescafè):

 

Io mi fidavo, guardavo dall’altra parte, mentre lenta e solenne transitava la serie dei reperti. Ho visto soltanto qualcosa di brunito, forme indistinte, nient’altro, neanche un profilo vagamente noto. Passavano dietro di me, e io li intravedevo, ciarpame, cumuli, un lavorato umano. Poi, al termine della sfilata, ho capito. Quando il camion con le bare dissestate è andato via, lasciando a terra una pila di cassette luccicanti, ho capito cos’erano le rese. Le rese sono i morti torrefatti, i morti torrefatti e neri, trasformati in caffè. Saremo tutti cotti nello zinco, per diventare tutti polvere di caffè.

 

Ma lo stesso Geologia di un padre sembra suggerire che Geologia di un padre è un libro sulla morte perché un libro sul padre lo è sempre, ineludibilmente: cos’è il padre, pensavo mentre leggevo, se non il pre-noi, l’antenato più recente, il predecessore, se non addirittura il prototipo? Ed è giunto poi il punto III dell’Appendice, il penultimo, non a caso, a confermare la mia idea:

 

Vecchiaia – inizia il Grande Mimetismo, 
divento sempre piú simile a mio padre. 
Giacinto, ti raggiungo!
disco che mi colpisce per farmi uguale a te. 
Volto, gesti, inflessioni, andatura:
torno all’originale,
semplice applicazione di un programma.

 

Morto lui, tocca a noi (essere padri, certo, ma soprattutto morire): egli sottende e incarna, per sé, la morte (la mamma no, la mamma è un’altra cosa, e ben lo sa Magrelli che ha l’accortezza di dedicarle il punto 72, “E mamma?”).

 

Per questo è grave e sacrilego e imbarazzante superarlo – come fa o realizza di aver fatto, ahilui, il giovane Magrelli, nei punti, o frammenti, o capitoli, 67 e 74.

 

 

Il padre inoltre, da buon reperto antropologico, paleontologico (la classificazione paleoantropologica di Giacinto, ci informa il punto 48, è pofantropo, uomo di Pofi), geologico, incarna un’era – o almeno, per i più brevi tempi di noi umani, un’epoca (e belli sono i tratti di una certa qual tenerezza borghese dell’epoca di Giacinto, oggi perduta, come quel viaggio a Treviso, a una fabbrica di caldaie, dove costui porta Valerio perché “il biglietto è pagato”). Di più: se accettiamo la tesi magrelliana di un Alzheimer, e in generale di qualunque distacco prodromo della morte, come stato vaticinante e chissà forse addirittura psichedelico, il padre-predecessore è anche colui che una volta scomparso, o prossimo alla scomparsa, la sua e la nostra epoca può guardare da fuori, e da tale prospettiva, rispetto alla finalmente ben visibile immensità del prima e del dopo, dire che la vita è solo “cose varie eccetera” (punto 42).

 

Geologia di un padre è infine insidioso perché, dopo la copertina col Saturno-Polifemo, e prima del transfert padre-morte, si presenta con una serie di disegni, schizzi di edifici e torri, a firma, di nuovo, Giacinto Magrelli, e tu, da quando li vedi per la prima volta, e via via durante la lettura del libro, ti chiedi perché ci siano, che vezzo possa essere, per quale ragione un libro di tale esattezza si voglia concedere quello che sembra solo un omaggio – e solo quando chiudi il volume, capisci: sono graffiti, i segni residui che provano l’avvenuta esistenza del pofantropo.
 

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