Non c'è luogo se non c'è esperienza / Media e luoghi

1 Novembre 2017

Shaun Moores è conosciuto in Italia grazie al suo importante studio di qualche anno fa Il consumo dei media (Il Mulino), che ha avuto il merito di presentare nel nostro paese un dettagliato quadro delle attività di ricerca di tipo etnografico e dei dibattiti culturali sorti intorno al Media Group del Centre for Contemporary Cultural Studies di Birmingham, articolando una linea riflessiva in aperta opposizione rispetto agli studi quantitativi di matrice statunitense, che per decenni avevano rappresentato il punto di riferimento nella sociologia della comunicazione. Moores, in modo sistematico e originale, si è fatto traduttore di una “svolta etnografica” che ha avuto il merito di condurre lo studio dei media, e in particolare della televisione, sui dettagli della fruizione e dei prodotti culturali, integrando da un lato l’approccio semiotico ai testi – facendo riferimento in particolare ai lavori di Roland Barthes – e dall’altro riprendendo in maniera piuttosto fedele le metodologie delle discipline antropologiche, che in quegli anni stavano vivendo una svolta epistemologica, sintetizzata dal celebre lavoro di James Clifford e George Marcus, Scrivere le culture (Meltemi). 

 

Il nuovo volume di Moores Media, luoghi e mobilità (FrancoAngeli) è la prosecuzione di questa ricerca, una sua evoluzione naturale che indaga la triangolazione tra ambienti, esperienza e mobilità alla luce dei cambiamenti tecnologici e culturali avvenuti negli ultimi anni. Un frame importante e mai abbandonato dai media studies, che l’autore inglese aveva alimentato in passato, dedicandosi alla nascita della radiofonia e alla sua diffusione nei contesti domestici e, successivamente, riproponendo una analoga ricerca sulla televisione satellitare e i suoi usi negli ambienti familiari. L’originalità dell’ultimo lavoro di Moores consiste nell’evocare con precisione le principali teorie sul rapporto tra media, luoghi e mobilità facendo dialogare i testi in maniera produttiva e ottenendo il prezioso risultato di sviluppare un mosaico coerente, attraverso il quale spiegare i funzionamenti della vita quotidiana. Nel suo lavoro, la teoria, per quanto importante, scaturisce sempre dalla necessità di comprendere le esperienze degli utenti; essa non riduce mai il proprio oggetto di analisi a puro pretesto, ogni concetto è strettamente legato alla dimensione esperienziale. Pertanto, le ricerche qualitative condotte da Moores e le altre evocate nel libro divengono un imprescindibile punto di osservazione sul quotidiano, un luogo privilegiato da cui comprendere il presente. 

 

 

L’esempio più efficace di questa specifica modalità di studio è rappresentato dall’uso delle ricerche di geografia fenomenologica che a partire dagli anni Settanta hanno indagato il concetto di luogo. Secondo Moores, esse arricchiscono il dibattito mediologico, introducendo un’idea di luogo che supera quella di localizzazione – anche quella di localizzazione multipla proposta dal sociologo Paddy Scannell, uno dei principali riferimenti teorici dell’autore – proponendo, al contrario, una definizione performativa. Secondo Moores, i concetti di spazio e di luogo non sono sovrapponibili, quest’ultimo è inteso «come esito dell’esperire» (p. 56), una definizione che consente di espandere il confine della sua portata teoretica fino a comprendere i prodotti culturali e i media, vale a dire estendendo agli oggetti ordinari, alle pratiche e ai gesti con cui si stabiliscono delle relazioni lo statuto di luoghi, di territori in cui avviene l’esperienza. Il luogo di cui parla Moores nel libro è quindi antropologico, esso rinvia costantemente alla socialità e alle relazioni, quindi a una presenza umana colma di impulsi vitali. Il luogo è allo stesso tempo chiuso o poroso, statico o mobile, fisico o mediatico, ma per essere tale ha bisogno dell’esperienza umana, dell’abitare. Questo modo di intendere il luogo comporta due implicazioni: da una parte spinge i media studies a intendere «gli usi dei media anche come attività costitutive di luoghi all’interno di una gamma di altre attività di questo tipo nella vita quotidiana» (p. 76). Inoltre, diviene significativo per l’analisi sociale anche lo studio della mobilità: la transitorietà delle pratiche ordinarie e la loro caducità non sono intese dallo studioso inglese come il sintomo di una perdita di valore dei luoghi, ma di un loro consolidamento nel vissuto esperienziale degli utenti.

 

La mobilità quotidiana, quella per raggiungere il luogo di lavoro o per scoprire una metropoli attraverso una passeggiata in bicicletta, contribuisce a costituire i luoghi da un punto di vista emotivo e sentimentale, attraverso prassi che sembrano divenire per l’utente una “seconda natura”. Moores prefigura quindi un modo di intendere la mobilità differente da come le scienze sociali sono state abituate a pensarla: una mobilità fondatrice al posto di una mobilità come abbandono e disimpegno. A differenza dei geografi e degli antropologi con cui nel testo stabilisce un proficuo dialogo, Moores annovera all’interno delle pratiche “significative” anche gli usi dei media (la lettura di un giornale, l’ascolto della radio nell’automobile, ecc.) che prevedono un percorso di esplorazione e conoscenza della tecnologia e dei suoi prodotti, che conducono a un alto livello di familiarità, facendo così affiorare la dimensione abitativa dei media. 

 

È proprio da questo confronto serrato con altre discipline che Moores sviluppa l’idea conclusiva del suo lavoro: la proposta di un approccio non media-centrico ai media studies (p. 153). Una prospettiva coerente con le premesse della sua ricerca, che non deve essere derubricata come un tentativo di accantonare i media studies, al contrario essa spiega la volontà di decentrare il proprio punto di osservazione per accogliere altri modi di vedere e di studiare, esattamente come l’autore inglese fece nei primi anni Novanta, destrutturando la prospettiva dei cultural studies e abbandonando le velleità della semplice misurazione, in favore di un approccio etnografico alla televisione. Egli, infatti, spiega brillantemente che «riconoscere le proprietà distintive dei media è essenziale, poiché i media differiscono dagli altri oggetti materiali della vita quotidiana, nonché l’uno dall’altro, e tuttavia sono proprio le relazioni tra gli usi dei media e una serie di pratiche che li accompagnano a dover essere indagate» (p. 161). Insomma, grazie alla centralità del tema trattato, alla precisione analitica e alla sistematicità della riflessione, questo libro si appresta a essere un nuovo classico dei media studies

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