I tre pianeti di Claudia Durastanti

19 Marzo 2024

Miss come donna non sposata e miss come mancanza.

A voler goffamente interpretare il titolo di questo libro potremmo pensare a un’Italia di donne non sposate e a qualcosa che ha a che fare con l’assenza e l’abbandono.

Protagonista indiscussa, più che l’Italia, è la Val d’Agri, area a sud-ovest della Basilicata. Terra di giacimenti petroliferi, di folklore e magia popolare. Terra d’origine dell’autrice, nata a Brooklyn da genitori italiani.

Il romanzo Missitalia (edito da La nave di Teseo) di Claudia Durastanti, è un’opera brillante e complessa, connotata da uno stile magistralmente adattato ai tre mondi, contemporaneamente realistici e distopici, cui la scrittrice ci introduce.

Il primo mondo è una Lucania dell’‘800 agitata dai moti rivoluzionari e dal brigantaggio, la cui protagonista, Amalia Spada, si occupa di dare rifugio a ribelli, emarginati e fanciulle temporaneamente “abbandonate” dai genitori. Potremmo definirla la madre putativa delle sue giovani ospiti e della comunità che sembra ruotarle attorno. Non a caso tutti la chiamano Madre.

In questo ritaglio di storia (che vera storia non è) che ci riporta al realismo magico di Márquez ed alle tele di Casorati, appare, come un presagio funesto, la prima fabbrica. Anzi, la Fabbrica, rigorosamente maiuscola.

L’industrializzazione determinerà la fine di quel mondo, l’amputazione di una sgangherata e apparente libertà fatta di erbe, oggetti esoterici, inaudita violenza e qualche accenno di tenerezza. 

Dal rapporto che intercorre tra i personaggi e l’indecifrabile Amalia Spada, alla Fabbrica che cambierà definitivamente le sorti del paese, sembra che l’attaccamento, che si tramuta poi rapidamente in alienazione, faccia parte del destino dell’uomo.

Le uniche che sembrano affrancarsi da questa sorte sono le quattro giovani figliocce di Amalia. Elisabetta, Mena, Rosa Spina e Amanda (che ha perso una mano in Fabbrica) fuggono dalla madre adottiva e rifuggono l’impegno politico, manifestando grande antipatia per le tanto acclamate eroine risorgimentali.

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“Nei boschi, Elisabetta, Amanda, Mena e Rosa si liberano dal vernacolo balbettante e fatuo degli adulti e si rovesciano in una serie a episodi fatta a colori”.

Vagheranno per molto tempo, selvagge. Si fonderanno a tratti con la natura ostile e benevola che le circonda, sembreranno ninfe, belle e maligne.

Finché non decideranno di torturare il soldato Giacomo Testa, così, quasi per un innato sadismo. 

Oltre alla Madre, alla Fabbrica e alla militanza, si ribelleranno, senza un motivo apparente, anche a qualsiasi morale.

Con acume e intelligenza la Durastanti attua un’operazione interessante, originale in tempi in cui – fortunatamente – la violenza di genere è al centro del dibattito politico, cinematografico e letterario. Non pone le sue eroine nel ruolo delle vittime, come donne che subiscono violenza e che portano il lettore al compatimento. Le libera, in una cronaca anarchica e violenta, che vede le quattro ragazze capaci di commettere atti sanguinari, in una ribellione narrativa in cui i personaggi disattendono il loro ruolo. 

Il secondo pianeta in cui ci catapulta la Durastanti è quello di Ada, antropologa romana, che negli anni posteriori alla Seconda Guerra Mondiale, si unisce ad una spedizione etnografica (l’autrice fa riferimento a quella di Ernesto De Martino negli anni ’50 del ‘900) per studiare il folklore della Val d’Agri con l’intento di perorare la causa del popolo meridionale e valorizzarne la cultura sotterranea e magica. In Basilicata sono stati scoperti giacimenti petroliferi, le trivelle scavano un territorio ricco di una storia idealizzata da chi la racconta.

Ada si innamora di uomini con cui non avrà mai una storia d’amore, si lega alla sua mentore, patisce i suoi genitori, abortisce dopo un rapporto occasionale.

Ancora una volta l’autrice ci spiazza con la sua visione originale dei legami poiché a una prima lettura potremmo pensare che siano i rapporti di “adozione” e non di sangue ad essere completamente liberi, slegati da sensi di colpa e dinamiche di potere, mentre invece anche il rapporto di chi si è scelto spesso rappresenta una gabbia, un'asfissiante relazione di controllo.

Emerge dai rapporti che intercorrono tra Ada e i personaggi che accompagnano la sua vita, ma anche dalla scelta delle quattro ragazze della storia precedente che si liberano solo abbandonando il rifugio di Madre, simbolo della maternità elettiva per eccellenza.

Amalia Spada insegna la libertà, si fa da parte quando Rosa Spina si impunta per assistere una cavalla ferita che lei avrebbe “finito” rapidamente con un colpo alla testa, lasciandola fare, permettendole di scontrarsi da sola con la realtà.

“Le darebbe involontariamente le istruzioni per attaccarsi ma non quelle per uscire dall’abbraccio, e Madre sa che questo è l’unico atto d’amore possibile, stringere qualcuno e contemporaneamente sussurrargli come sparire nell’ombra”.

Eppure nemmeno una matrigna mitologica che insegna il non attaccamento alle sue figlie adottive basta a emancipare l’essere umano dall’angoscia dei rapporti. L’inferno continuano ad essere gli altri o forse la narrazione soggettiva che facciamo delle cose. Occorre uno strappo, una fine, essere in grado di accettarla.

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Opera di Sabrina Ratté, OBJETS-MONDE, 2022.

Il terzo pianeta è una Val d’Agri stazione spaziale. Da qui gli esseri umani si imbarcano per arrivare sulla Luna, ormai colonizzata dai terrestri. La scrittura barocca della Lucania epica, rigogliosa ed esoterica fa spazio allo stile secco e asciutto di un cratere lunare.

A, l’ultima protagonista, vive sulla Luna, nella stazione gemella speculare a quella situata in Basilicata. Il suo lavoro è quello di stoccare il contenuto delle capsule temporali rinvenute in vari punti della terra, in altre parole di tutelare la memoria collettiva di un pianeta che sembra ormai inospitale. A ha l’attitudine antropologica degli studiosi dell’operazione De Martino ovvero quella di storpiare per attribuire significato.

In uno scenario fantascientifico, emerge il suo rapporto con i ricordi; soggettivi, modificati e interpretabili. Ma anche il suo rapporto con la storia che esiste tramite i racconti e che nonostante appartenga al passato è resa dinamica dalla sua continua reinterpretazione.

“Cleopatra era credibile solo se aveva un mitra in mano, un extraterrestre era reale solo se indossava una veste di broccato medioevale. […] A era in grado di leggere un romanzo storico ambientato a fine Ottocento solo se c’erano parole come “neon” o “mitragliatrice” nel testo, elementi traghettati da un altro tempo, che rendevano quella storia viva”.

Non è un romanzo semplice quello della Durastanti che spiazza il lettore ad ogni passaggio. Si intrecciano una moltitudine di temi dando vita a una trama fitta che a tratti sfida l’attenzione chi legge. Si parla di donne e di una terra devastata dalla guerra, poi dall’industrializzazione e infine perforata dalle trivelle. Si parla di mito e di storia, di rapporti umani, di maternità e abbandoni. La storia e le storie di questi personaggi sono segnate da qualcosa che muore e qualcosa che nasce, la fine di una storia e della storia è l’occasione per farne nascere un’altra.

In questa frenetica concatenazione la maternità raccontata dalla Durastanti è una forza generatrice che non connota la donna, ma definisce la storia stessa. 

Non è importante se sia accaduta, se sia stata raccontata, idealizzata o imbruttita. Illuminati dal racconto scorgiamo nelle tenebre dell’assurdità dell’uomo una Val d’Agri magica ed intrisa di mito, poi una terra che è oggetto di studio e osservazione, infine una stazione spaziale che catapulta l’umanità in un nuovo mondo animato dalle storpiature del ricordo.

In una lettera che Rosa Spina invia al proprietario della Fabbrica è come se il passato parlasse al presente consapevole della strumentalizzazione a cui sarà sottoposto dai posteri, ma anche conscio di quanto sarà idealizzato.

“Avete stabilito da gran signori che potremo fare parte della storia solo attraverso il passato. Per sederci alla vostra tavola, dovremo diventare dei simboli e farvi delle magie […] venite a prendere i nostri vuoti, riempiteli con le vostre fantasie. Dipingeteci, saremo i vostri selvaggi. Colonizzateci, depredateci, amateci” 

Nessuno di questi personaggi fa la storia, la storia si auto genera attraverso personaggi che si pongono come genitori di se stessi grazie ai propri sbagli ai propri ricordi, ad un’apparente coscienza quasi profetica, alle proprie inutili e illusorie battaglie, al non voler combattere.

Alla fine però le quattro ninfe fanno esplodere la Fabbrica e scoprono il petrolio.

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Marilena Renda | Claudia Durastanti / La straniera

In copertina, opera di Sabrina Ratté, OBJETS-MONDE, 2022.

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