Il pianeta delle scimmie

20 Settembre 2022

Quando a metà dell’Ottocento Charles Darwin ha iniziato a divulgare il concetto di evoluzione, nella testa della maggioranza dei suoi contemporanei si è acceso un allarme rosso, che conteneva la parola opposta: “involuzione”. La strada delle speranze progressiste è lastricata di catastrofici timori che riguardano la possibilità di ruzzolare all’indietro. Se alcuni pensavano che l’essere umano potesse evolvere fino a diventare un essere superiore, in molti temevano che imboccando la stessa identica strada, ma in senso inverso, sarebbe tornato a essere una scimmia. 

La scimmia e il superuomo sono una coppia di fatto da secoli. Con tutto il rispetto per le scimmie, che sono sicura rinuncerebbero volentieri all’idea di accompagnarsi a un bullo con un cervello da gallina. E anche delle galline, che un giorno si stuferanno di essere chiamate in causa per descrivere le miserie dell’umanità, ingiungendoci di non nominarle più invano. A proposito di miserie, mi piacerebbe rimanere nell’ambito delle metafore animali usate impropriamente come insulti, soffermandomi su una in particolare: quella di orango tango. Chi di noi ha dimenticato uno dei momenti più bassi della storia recente della nostra repubblica? Quando un esponente della Lega chiamò una ministra orango, come fossimo in uno degli stati americani del sud prima dell’abolizione della schiavitù. Ne seguì un processo, la cui condanna è stata di recente annullata e che non ha impedito al suddetto signore di continuare a inanellare le più alte cariche dello stato. 

Ecco, io non ho dimenticato. E penso che quest’episodio ormai caduto più o meno nell'oblio riassuma molto bene i rischi dell’involuzione a cui stiamo assistendo da diversi decenni a questa parte. Decenni, non anni: vale a dire un arco cronologico in cui gli smottamenti politici hanno avuto tutto il tempo di allargare e consolidare quelle fratture del minimo sindacale di senso civico che all’inizio sembravano delle fessurine. Finché, fessurina dopo fessurina, adesso basta un niente perché davanti a noi si apra una voragine, lasciandoci increduli rispetto alla catena di eventi che ci hanno condotti fino a quel punto. Come è accaduto in America con la clamorosa decisione della Corte Suprema relativamente alla questione dell’aborto. La voragine è immensa, trascina con sé non soltanto le donne e la loro faticosissima strada di autodeterminazione ma tutti quanti, e a noi non resta che ripensare alle povere scimmie di Darwin. 

Il ritorno al potere dell’estrema destra, che come uno spettro attraversa ormai da tempo l’Europa e il mondo intero, pare stia per ricevere la sua definitiva acclamazione in Italia. A un secolo esatto dalla marcia su Roma che ha segnato l’avvento del fascismo. Io appartengo a una generazione, nata negli anni Settanta, che ha visto il partito di Almirante vegetare con percentuali irrisorie, le quali già scandalizzavano. Vedere i suoi eredi predisporsi a raccogliere milioni di voti con sondaggi stratosferici, non può che farci orrore. Corsi e ricorsi della storia, si dirà. Evoluzioni e involuzioni. Ho fatto anche in tempo a ricevere nella cassetta della posta il libretto in cui Berlusconi pubblicizzava la propria vita, insieme a un giornalino della Lega che esibiva in prima pagina la caricatura di una lesbica laida e cicciona con una falce e martello tatuati sul braccio. Li ho conservati, per futura memoria. Anche se quel futuro si è già in gran parte realizzato, avendoci Berlusconi governati per un lunghissimo numero di anni insieme alla Lega, adesso ci aspetta un passo ancora più avanti. 

Logico, dopo tutto quanto è successo, ma non meno pauroso. Soprattutto se pensiamo che tra pochi giorni potremmo essere chiamati ad affrontarne le concrete conseguenze. Tra le quali, una di quelle che fa più spavento è l’involuzione sul piano dei diritti, che abbiamo già visto rapidamente attuata in paesi europei governati dagli amici e modelli di questa destra dalla pancia antidemocratica e autoritaria. La lesbica con la falce e martello di trent’anni fa, che voleva rozzamente ma molto precisamente denunciare il binomio tra un certo progressismo di sinistra e le questioni di genere, è un’antenata, una progenitrice: sta dall’altro capo di un filo che se tirato porta dritto al disprezzo che questa destra apertamente dichiara verso quello che adesso viene chiamato woke, gender, politicamente corretto, fluidità. Ogni epoca ha le sue parole. Le sue mode anche, perché no. Ma l’odio e l’ignoranza restano intatti. 

Di fronte al montare di quell’odio e di quell’ignoranza, che reclamano il potere in modo sempre più roboante, gli argini non sono molti. E sono di carattere necessariamente immaginario. Non nel senso che rigettino la realtà, ma al contrario in quello che devono aggrapparsi ben saldamente dentro alle nostre teste. Per mantenere una presa che sia sufficientemente robusta da contrastare la nuda e cruda realtà involutiva che probabilmente ci aspetta. Una realtà che rischia di sfuggirci da tutte le parti, se non costruiremo in tempo delle forti barriere nel nostro immaginario collettivo, trascinandoci via con sé come uno tsunami. 

Perciò propongo di tenere un registro comune di principi di base, da tenere a portata di mano, nel caso dovessimo scivolare in tempi ancora più bui, e che comincio ad abbozzare qui sotto: 

1. Scherzavo: è la scusa da bar più in voga negli ultimi anni. L’ha usata quello dell’orango tango e mille volte Silvio quando voleva imbellettare qualche castroneria di livello superiore. Non ritrattare, non negare o pentirsi dell’enormità della castroneria stessa. Ma aggiungere allo schiaffo il dileggio: non hai capito la battuta perché sei un grigio intellettuale, un morto in piedi senza ironia. Non dicevo sul serio. Il che spinge tutto il linguaggio in blocco verso uno stato di sospensione del suo funzionamento. Perché la cosa è stata detta, è uscita fuori e vive ormai tra noi, senza essere mai rinnegata. Semplicemente si dice che appartiene a una terra di mezzo, mondana e leggera, dove può essere vera e insieme falsa. E dove il falso facilmente passa per vero. Siccome il termine “serio” copre una zona noiosa e poco frequentata, in quanto priva di divertimento, sradicare il linguaggio da questa zona non vuol dire forse pretendere di aver liberato la parola, dicendo qualcosa che in fondo piace a tutti? O se non piace, piacerà dopo averla detta in pubblico, s’insinuerà e resterà laddove prima faceva vergogna. Principio numero uno che ne consegue: massima diffidenza verso l’uso pervertito di questa finta ironia da quattro soldi, che ci inganna peggio di quanto non faccia un imbonitore di strada, sdoganando dietro la maschera dello scherzo un vecchio mondo di oltraggi e violenza.

2. Dormivo: tenere gli occhi aperti, rimanere ben svegli è una metafora dello spirito critico che possiamo dire risalga alla notte di tempi. Possiamo dire risalga addirittura alle caverne e alla sopravvivenza della specie, che deve procacciarsi il cibo, un riparo, riprodursi, ma soprattutto vegliare contro le aggressioni dei predatori: perché quando dormiamo, tutti siamo più fragili, attaccabili, inermi. Il sonno ci è necessario, ma ci pone anche in uno stato di profonda debolezza, nella misura in cui non siamo più coscienti e quindi tutto può accaderci. Mentre siamo incoscienti il mondo intorno va avanti senza di noi e può prendere decisioni, in nostra assenza, che ci potranno essere ferali: attaccarci, danneggiarci, levarci la libertà, i diritti elementari.

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Non a caso, come si sa, il sonno è considerato da sempre come l’esperienza dell’essere umano più vicina alla morte. Come tutto questo, che ripeto è radicato nell’abc della specie, al pari del fatto che bisogna bere, mangiare e fare sesso, possa essere stato rovesciato in un ordine di idee contro-fattuali, è un mistero di ciò che chiamiamo la credenza collettiva. “Woke” vuol dire essere svegli, stare all’erta, fare attenzione affinché l’ingiustizia non prenda totalmente il sopravvento in un mondo che già ne trabocca. Come questo slogan della difesa dei diritti civili americani possa essere diventata una parolaccia, un’oscenità da combattere e avvilire in ogni minima occasione, è un clamoroso effetto di rovesciamento della realtà da parte della macchina della propaganda politica. L’estrema destra italiana lo prende di rimbalzo, al terzo o quarto grado del suo percorso cronologico e geografico, senza neanche capire bene di cosa stia parlando, e semplicemente lo ripete a pappagallo. Principio numero due che ne consegue: massima diffidenza verso chi ci chiede di dormire. Di votare, dare loro il potere che gli spetta e quindi addormentarci, augurandoci la buona notte.

3. Fratelli e famiglia: la famiglia del libretto di Berlusconi era uno spot pubblicitario piuttosto elementare. Tutti amici, tutti felici intorno al ricco patriarca che distribuisce magnanimamente soldi a pioggia, garantendo pace e serenità a figli, mogli, ex mogli, amanti. Queste ultime erano escluse dal quadretto, ma non si faticava molto a immaginarsele, senza che lo perturbassero. La donna politica che prima di tutto dichiara, anzi urla al pubblico dei suoi fedeli di essere una madre è già un’altra cosa. Qualcosa dal sapore più arcaico: non che tra il benevolo Patriarca e la grande Madre sul palco non ci siano connessioni profonde. Anzi, potremmo dire che l’una non può esistere senza l’altro. L’una stava già dietro l’altro, solo che adesso si è spostata in primo piano e esige che i riflettori siano puntati su di lei, autodefinendosi come una macchina da guerra riproduttiva. Ma l’immagine del patriarca emanava un gusto mondano della ricchezza, che in fondo di religione, patria e famiglia se ne sbatteva completamente, pur di guadagnare e copulare ovunque potesse; mentre l’immagine della donna-madre emana quella di un tradizionalismo contadino e agricolo, in cui la riproduzione viene messa al centro della definizione del corpo femminile e per sineddoche del corpo stesso del popolo. Entrambe le due figure poggiano la forza simbolica del loro potere sull’idea sempre in auge dello sfruttamento sessuale dei corpi delle donne. Tornano a normalizzare e attualizzare quest’idea secolare, che decenni di occhi aperti femministi avevano tentato di mandare in soffitta. Principio numero tre che ne consegue: massima diffidenza verso il richiamo ai legami di sangue per instaurare un indissolubile vincolo ideologico tra capo e popolo. Rileggersi i libri dello storico Alberto Mario Banti, che spiegano molto bene come la martellante evocazione dei legami parentali, di famiglia e fratellanza, su cui si fondava la retorica patriottica del Risorgimento, poi ripresa negli stessi termini dal fascismo, diffondeva in ogni cellula del paese, in ogni suo angolo, libro e pensiero un brutale immaginario dello stupro e della violenza di genere.

4. Donne al potere: le donne di destra sembrano avere un paradossale vantaggio nell’affermarsi in politica rispetto a quelle di sinistra. E così siamo finiti a discutere di una nuova, possibile premier italiana post-fascista, che sarebbe la prima donna nella nostra storia ad accedere a quel ruolo. Questo mette in scacco molti dei ragionamenti femministi sulla necessità dell’ascesa delle donne ai posti di potere, spingendoci a chiederci se quando a salire al potere si tratta di una donna di destra, o addirittura di estrema destra, questi ragionamenti valgano meno. O addirittura non valgano più nulla. Io credo che dovremo adattarci a convivere con tale contraddizione: quei ragionamenti valgono ugualmente. Perché l’opinione pubblica deve abituarsi a vedere le donne in determinate posizioni. Che siano stupide, incapaci, dittatrici, invasate estremiste con idee populiste e sovraniste raccapriccianti, da questo punto di vista non ci interessa. Quanti uomini al comando ci siamo sorbiti, nel corso dei secoli, che erano totalmente scemi, pazzi, ladri o assetati di sangue? Anche loro hanno contribuito a farci credere che solo la parte maschile del genere umano fosse adatta a gestire il potere, nonostante stesse commettendo odiosi crimini contro l’umanità. O forse proprio per quello. Per rovesciare questa credenza, avremo dunque bisogno di attraversare il periglioso pelago del populismo che pesca dappertutto, senza scrupoli neppure di genere, pur di portare gli animi a bollore. Si poggia indifferentemente sulla canottiera dell’uomo forte come sulla retorica della madre passionaria. Ci toccherà vedere la maschera femminile, o perfino quella verniciata di un femminismo da operetta, ergersi a un esercizio dell’autorità che non condividiamo e che anzi combattiamo. Quindi nessuno di noi sarà felice se la prima donna a diventare presidente del consiglio italiano dovesse essere una fervida rappresentante dell’estrema destra. Come potremmo esserlo? Neanche fosse un crudele scherzo del destino. Ma è una prova del fuoco: il fuoco brucerà, farà male. Soprattutto se con quella maschera femminile sul volto, la politica dovesse farci regredire sul piano dei diritti conquistati dalle donne in tempi biblici e con fatiche erculee. Però prima o poi ci dovremo passare. Tenendoci stretto il principio numero quattro: massima diffidenza verso le agitatrici del popolo, che si spacciano per pioniere di un mondo nuovo, mentre incarnano l’ammuffito fantasma maschilista della donna con le palle. 

5. Me ne frego: veniamo alla questione del politicamente corretto. Vexata quaestio. Per questo cercherò di liquidarla rapidamente: dal celodurismo della Lega al vaffanculo di Grillo, fino ai cori misogini, razzisti e omofobi degli stadi, vibra nel popolo italiano un’antica passione per il “me ne frego”. Declinata nei più svariati modi: tra i quali possiamo annoverare la proverbiale furbizia che se ne infischia delle leggi, trovando il modo di fregare tutti quanti; l’annosa battaglia contro la molle effemminatezza dei costumi, che degenera la razza; il ribellismo anti-borghese del primo fascismo. Forte di questo bel pedigree, la destra è riuscita in pochi anni a fare del politicamente corretto un frigido e goffo spauracchio. Anzi peggio: ha potuto ridicolizzarlo come un’ipocrisia mielosa e nociva, che si confonde con un buonismo di bassa lega. Ma chi li ha sostenuti in questa grandiosa opera di abolizione di ogni freno linguistico e mentale al me ne frego? Gli intellettuali di sinistra, soprattutto maschi, che hanno cominciato a fare l’occhiolino al presunto nemico, schernendo e denunciando il politicamente corretto come fosse un bavaglio a tutte le fesserie da antico regime che avevano ancora voglia di proclamare in piena libertà. Grazie, davvero. Ci ricorderemo di voi quando le sabbie mobili del me ne frego ci sommergeranno. Di voi e del principio numero cinque: massima diffidenza verso chi ci dice che non si può più dire nulla.

6. La grande sostituzione: o per dirlo altrimenti, la grande baggianata. Si fatica a crederlo, ma circola, esiste, viene enunciata. La teoria della grande sostituzione ha conquistato negli ultimi tempi un pubblico sempre più ampio, pronto ad abbracciarla ciecamente. I capi dell’estrema destra italiana, che si predispongono all’assalto alla diligenza delle vicinissime elezioni, la evocano a ogni piè sospinto come se fosse una verità scientificamente accertata dai loro mentori, tipo Steve Bannon o Éric Zemmour: stiamo per essere completamente sostituiti dagli stranieri, dagli arabi o da chi per loro, in una cospirazione globale perfettamente pianificata per prendere il nostro posto. Avete presente quando, in uno di quei vecchi film, una valigia piena di soldi viene sostituita con una riempita di carta straccia? Oppure quando, in qualche salace novella, la bella e giovane moglie di un mercante o gentiluomo viene rimpiazzata di nascosto da un’orrida vecchiaccia? Ecco, la teoria della grande sostituzione gioca con questi trucchetti da spettacolo di strada. Ma ha antenati illustri: ci fa tornare indietro fino ai giorni gloriosi del nostro caro Darwin. Quando le sue teorie sulla discendenza scimmiesca della nostra specie seminarono il terrore che le scimmie, se davvero erano tanto simili a noi, potessero infine sostituirci. King Kong non viene forse da lì? Mentre ruba le avvenenti e ingenue donne bionde agli uomini bianchi a cui spettano di diritto. Sostituendosi a loro sull’Empire State Building, prima di essere abbattuto. Gli schemi elementari dei racconti umani non sono molti: tendono a ripetersi. Soprattutto quando si radicano in qualche paura sociale ancestrale. Teniamo a mente, perciò, il principio numero sei: massima diffidenza verso l’eterno gioco dei tre bicchieri. Quello in cui ti chiedono di indovinare dove sia la moneta e la moneta intanto è scomparsa, sostituita dal frustrante disinganno del vuoto. C’è sempre qualche ciarlatano dietro.

 

7. Il pianeta delle scimmie: l’immaginario è uno strano pianeta, in cui le scimmie possono prendere il posto degli esseri umani e il torpore della coscienza arrivare a cancellare ogni cosa. Un pianeta che si può sognare diverso, ma in cui molte vecchie idee continuano a restare abbarbicate in parti così profonde di noi da non riuscire più a vederle. Soprattutto non facciamo il grave errore di crederlo staccato dalla fattualità concreta di ciò che realmente accade. Perché se disertiamo quel pianeta, se lo lasciamo sprofondare nel letargo o nell’indifferenza collettivi, rischiamo di svegliarci all’improvviso dentro un futuro ancora più feroce e dispotico, svuotato di quei minimi principi di convivenza che dovremmo sforzarci di ripetere come un mantra tra di noi, affinché non vengano inghiottiti nel sonno.

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