Jared Diamond. Da te solo a tutto il mondo

10 Giugno 2015

Nei primi decenni del XV secolo un’imponente flotta cinese, soprannominata Flotta del Tesoro, venne inviata a esplorare gli oceani. Perlustrò l’Asia sud-orientale e meridionale e arrivò fino alle coste orientali dell’Africa; non era lontana da quello che a noi è noto come Capo di Buona Speranza. Se le esplorazioni fossero proseguite, i cinesi sarebbero facilmente giunti in Europa; forse – chissà – anche sulla sponda opposta dell’Atlantico: la storia del mondo sarebbe stata completamente diversa. Senonché l’imperatore decise di porre fine al progetto. Sessant’anni dopo Cristoforo Colombo, con le sue tre misere caravelle, sbarcò in un’isola che battezzò Hispaniola, e oggi nelle Americhe quasi un miliardo di persone parlano lingue europee. Perché mai le cose sono andate in questo modo? È stato solo un caso, o da questa vicenda possiamo cavare qualcosa di più sul funzionamento delle società umane?

 

Sarebbe sbagliato attribuire la mancata espansione transoceanica della Cina al capriccio dispotico di un esponente della dinastia Ming. In verità quelle spedizioni erano molto costose, ed è verosimile che alla corte imperiale si fronteggiassero un partito favorevole a proseguirle e uno contrario. A un certo punto il secondo partito prevalse. Ma – qui sta il nocciolo della questione – una volta persuaso l’imperatore che non valeva la pena di proseguire le esplorazioni, tutto quel capitolo era destinato a chiudersi, perché non esisteva un’alternativa a cui appellarsi: la Cina era una grande realtà unitaria, dall’imperatore dipendeva ogni cosa. Anche Colombo incontrò opposizioni al suo progetto, e numerose, a partire dal 1483, quando dovette incassare il rifiuto del re del Portogallo. Gli occorsero quasi dieci anni per ottenere il sostegno (e i finanziamenti) necessari. Molti? Pochi? Non importa: l’Europa, politicamente suddivisa in una pluralità di stati fra loro in competizione, offriva numerose possibilità a chi presentasse un’iniziativa promettente, per quanto azzardata fosse. Ecco la ragione – o almeno, una delle ragioni – perché è stata l’Europa, e non la Cina, a colonizzare il mondo.

 

Jared Diamond

 

Da sempre – o meglio dal famoso Armi, acciaio e malattie del 1997 (tradotto in italiano l’anno dopo) – il fascino dei libri di Jared Diamond consiste nel fatto di porre questioni di grande portata e di lungo periodo: questioni cruciali nella sostanza ma che alla maggior parte di noi sfuggono, non tanto per difetto di informazione, quanto per ristrettezza di prospettiva. La realtà umana è fatta di tante cose: ci sono le istituzioni, la tecnologia, la storia, le tradizioni; ma ci sono anche i dati geografici e climatici, ci sono gli equilibri (o squilibri) ecologici, c’è un’eredità genetica, c’è la nostra storia evolutiva. Quello che Diamond ci insegna è che per comprendere la realtà presente, e ancor più per prendere decisioni per il futuro, occorre mobilitare una pluralità di competenze, attingere a molti diversi rami del sapere, cercare di trovare situazioni comparabili – per quanto audaci – e confrontarli con spregiudicatezza.  La sua storia personale, da questo punto di vista, è eloquente. Biologo di formazione, Diamond ha cominciato la sua carriera di ricercatore sul campo studiando le specie di uccelli della Nuova Guinea; ma l’impatto con una realtà (storica, culturale, linguistica, oltre che ambientale) così diversa da quella dell’Occidente ha suscitato in lui interessi transdisciplinari che lo hanno portato a occuparsi del funzionamento delle società umane; e grazie alla sua felicità di scrittura è diventato uno dei più fortunati divulgatori scientifici degli ultimi anni. Il punto d’arrivo della sua carriera accademica è stato il Dipartimento di Geografia dell’Università di California, Los Angeles (UCLA).

 

Nel 2014 un ateneo di Roma, la Luiss (Libera Università Internazionale di Scienze Sociali «Guido Carli») l’ha invitato per qualche mese a Roma. Il frutto del suo soggiorno in Italia è un volume dal titolo Da te solo a tutto il mondo. Un ornitologo osserva le società umane (Einaudi 2015) che, per una volta, non è una traduzione dall’inglese ma è stato pubblicato direttamente in italiano. Lo compongono sette capitoli – sette lezioni – che affrontano problemi assai disparati. Perché ci sono paesi ricchi e paesi poveri? Quali sono i condizionamenti ambientali, e quale il ruolo delle istituzioni umane nella ricchezza e nella povertà delle nazioni? Quali sono le peculiarità della storia cinese rispetto a quella occidentale? Come dobbiamo valutare i rischi che ci minacciano?

 

Il lettore fedele di Jared Diamond difficilmente troverà argomenti che già non conosce. Ma mentre alcuni suoi libri recenti – come Il mondo fino a ieri (2013), recensito su Doppiozero da Telmo Pievani – potevano apparire un po’ troppo folti e farraginosi, questo è un volume agile, godibile, spigliato, e nello stesso tempo, come sempre, ricco di spunti di riflessione. Ad esempio, la nostra inclinazione a nutrire grande timore verso pericoli statisticamente trascurabili, come gli atti di terrorismo, di contro alla diffusa sottovalutazione di eventi banali ma caratterizzati da un tasso di probabilità molto più alto, proprio perché ripetuti di continuo nella vita quotidiana. È questo uno degli aspetti per i quali potremmo trarre insegnamento dalle società tradizionali. Diamond cita un episodio che risale all’epoca del suo primo viaggio in Nuova Guinea. I nativi seguono con rigore la norma di non accamparsi mai sotto un albero morto, perché potrebbe cadere. Questo scrupolo appariva pressoché paranoico al giovane viaggiatore americano che pernottava per la prima volta in mezzo a una foresta pluviale, ma era quanto mai ragionevole per chi in quella foresta viveva. Seguendo lo stesso principio (che Diamond battezza «paranoia controllata») vale la pena di prestare grande attenzione a certi gesti quotidiani e domestici, come fare la doccia. Chi di noi ha paura di cadere facendo la doccia? Quante probabilità ci saranno mai di cadere nella doccia, e farsi male davvero? Una su mille? Perbacco: basta fare due conti per trarne le conseguenze.

 

Particolarmente interessanti sono le riflessioni in merito al ruolo delle istituzioni nella prosperità delle nazioni. Quali sono, in linea generalissima, i principi del buon governo? Diamond elenca una dozzina di grandi fattori economico-giuridici, quali l’assenza di corruzione, il rispetto della legalità, la tutela della proprietà, il rispetto dei contratti, il basso numero di omicidi, il controllo dell’inflazione, il libero scambio, la valorizzazione del capitale umano (cioè il livello dell’istruzione). Questi fattori possono spiegare le differenze di sviluppo fra stati contigui, geograficamente simili (Corea del Nord e del Sud, Germania Est e Germania Ovest, Santo Domingo e Haiti). In altri casi, però, la spiegazione deve risalire a cause più remote. Le istituzioni complesse necessitano di molto tempo per funzionare, cioè per sedimentarsi nella mentalità collettiva. La storia e l’archeologia dimostrano che le istituzioni complesse sono sorte per effetto della nascita dell’agricoltura e sono legate all’esistenza di società sedentarie densamente popolate. Ora, lo sviluppo dell’agricoltura è avvenuto in maniera molto diseguale nelle diverse aree del pianeta; e i risultati di uno sviluppo di migliaia di anni non si colmano in breve tempo, né possono essere surrogati dagli aiuti internazionali. Ad esempio, «l’Olanda conosce l’agricoltura da 7500 anni, la scrittura da 2000 e da cinque secoli ha un governo indipendente di tipo statale, mentre lo Zambia conosce l’agricoltura solo da 2000 anni, la scrittura da appena 130 e un governo indipendente da 40 anni».

 

In quest’epoca di commemorazioni del centenario della Grande Guerra è difficile non rivolgere il pensiero agli sconquassi provocati dallo smembramento dell’Impero ottomano, dalla colonizzazione prima e dalla decolonizzazione poi, con il risvolto della fallimentare strategia di esportazione della democrazia perseguita da varie amministrazioni americane; del resto, un tema di enorme attualità è il caos in cui sono precipitati i territori della nostra ex-colonia libica. Ma le questioni sollevate da Diamond hanno a che vedere anche con la difficoltà di fornire sostegno allo sviluppo di paesi che hanno una storia molto diversa dalla nostra: in passato, com’è (o dovrebbe essere) noto, è successo perfino che l’invio di aiuti in forma di derrate alimentari abbia avuto come effetto principale quello di mandare in rovina i produttori agricoli locali. Insomma, non possiamo che rallegrarci del fatto che Diamond sia stato invitato in un’università come la Luiss. Una delle tante cose di cui abbiamo bisogno per sperare di avere un futuro è di poter contare su una classe dirigente attrezzata non solo in fatto di economia e diritto, ma anche di scienze sociali, di comunicazione interculturale, di etologia e di ecologia, e disposta ad apprendere dalle riflessioni sul comportamento umano condotte da biologi o primatologi. Un’altra, non meno cruciale, è di avere un’opinione pubblica informata e consapevole, che non si limiti a emozionarsi alle notizie del giorno. Per quanto clamorose o spaventose esse siano.

 

 

 

Il libro: Jared Diamond, Da te solo a tutto il mondo. Un ornitologo osserva le società umane (Einaudi, Torino 2015, pp. 128, € 13).

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