Kaki King. Glow

19 Novembre 2013

A raccontare la sua storia sembra di parlare di una qualunque ragazza americana con il pallino per la musica. Sembra di tracciare le linee di un personaggio di uno dei più classici film sul sogno americano, ma non quello di una volta, quello di oggi, quello che sopravvive anche alla crisi perché in America si può.

 

Katherine Elizabeth King, in arte Kaki King, comincia a prendere lezioni di chitarra a 4 anni, passa alla batteria per poi tornare alla chitarra. Studia a New York e per mantenersi inizia a suonare in strada e nelle metropolitane, naturalmente lavora come cameriera in un pub, o meglio, lavora in uno dei locali dove si esibiscono molti artisti interessanti e proprio qui riesce ad attirare l’attenzione di una casa discografica, la Knitting Factory, e da lì il gioco è fatto: 10 anni fa pubblicava il suo primo album Everybody Loves You.

 

 

Raccontata così però manca un pezzo, manca la parte fondamentale: manca la magia che Kaki King riesce a creare quando suona una delle sue chitarre.
Compositrice, chitarrista, ogni tanto cantante, ma soprattutto artista visionaria. Ecco chi è Kaki King, non è solo la ragazza che suonava in metropolitana al posto giusto al momento giusto. Qualche settimana fa era in Italia, ed è passata anche da Milano al Teatro Martinitt per presentare il suo ultimo disco Glow che compie un anno di vita.

 

Concerto intimo, tra amici, tra gente con la voglia di passare una serata con ottima musica live e lasciare fuori, anche solo per qualche ora, i rumori e tutto il resto. Una platea eterogenea, fatta di molti giovani, piccoli gruppetti e una prevalenza di coppie, cosa che ha regalato alla serata un’aria vagamente romantica e anche un po’ malinconica. Sentirla suonare dal vivo è come sbirciare nello studio di un pittore, sedersi al tavolo in un caffè con un poeta, è come chiacchierare con un esploratore che ha viaggiato per il mondo e ti racconta le meraviglie che ha visto e vissuto. Basta lasciarsi guidare dalle sue note e dai pochi interventi parlati che ritmano tutta la serata che si srotola come una storia, un racconto e ogni canzone ne è un pezzo fondamentale, indipendente nella sua particolarità, ma legata alle altre come gli elementi di una stessa orchestra.

 

 

Kaki dice che ama viaggiare, lasciarsi scoprire dalle città e farsi ispirare: poco prima di iniziare il concerto racconta che appena arrivata a Milano si è trovata a camminare in una zona poco conosciuta e si è lasciata guidare dal caso e che chissà… potrebbe nascerne una canzone… “You should help me find out a title”!

 

Con l’umorismo e l’espressività che caratterizza gli americani, anche Kaki presenta in modo leggero ogni nuovo brano, racconta aneddoti sia su quelli nuovi che su qualche pezzo più conosciuto (come Jessica originariamente scritto per una ex-fidanzata, ma che oggi la fa riflettere su quanto sia irrisorio un nome anche se lo si carica di simboli, visto che un’altra Jessica è diventata sua moglie) e poi elogia l’aeroporto di Palermo chiedendosi se i palermitani ogni tanto non ci passino le loro serate.
Naturale e semplice lei, complessa e difficile la sua musica. Ha toni orientali che inseguono note che portano verso l’Irlanda, ti trascina verso il blues, e poi il folk e il rock, ma ogni genere vive e convive insieme agli altri, una nota dopo l’altra.

 

La musica di Kaki King è estremamente suggestiva ed ispirante, varia in continuazione da un brano all’altro e così anche nell’ultimo disco: si passa dalla potenza di Great Round Burn al sapore celtico di “King Pizel” dedicata alla sorella e al marito fino alla malinconia e alla speranza di Cargo Cult. Il suo modo unico di scrivere musica e di suonare, di giocare con le corde come fosse un ragno che tesse la sua tela, la rende rara e sempre fedele a se stessa, non a caso Rolling Stone l’ha definita “un genere a se stessa”.

 

 

E anche questo disco si conferma come una nuova evoluzione, unica, esuberante, nella quale lo stile percussivo che caratterizza la sua musica è il protagonista. “Questo è un disco pensato per la chitarra, è una persona che suona la chitarra” ha affermato lei stessa, “qualunque aggiunta abbiamo fatto, il carattere fondamentale di questo disco rimane una persona che suona una chitarra. Ecco chi sono.”

 

Non bastano le canzoni in scaletta al pubblico milanese: Kaki King esce dalle quinte per ben due volte invitata dagli applausi della platea che decide poi di coinvolgere per scegliere gli ultimissimi pezzi prima di ringraziare, salutare e lasciare il palcoscenico.

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