Un libro di Maria Rosa Cutrufelli / Maria Giudice, prima di Goliarda

12 Marzo 2022

Uno degli aspetti più belli nell’essere appassionati di Goliarda Sapienza è che Goliarda Sapienza pare non finire mai. Se pensiamo alle sorti della sua produzione letteraria, siamo state incoraggiate da questo ultimo decennio in cui ogni anno o due è uscita in libreria una ristampa o un nuovo titolo, con conseguenti articoli e approfondimenti che ci hanno fatto sentire costante la sua presenza attraverso la parola scritta. A voler poi rovistare e perlustrare il web pure la sua presenza fisica e la sua voce sono un aspetto che consola della sua dipartita e aiuta a conoscerla di più. Le trasposizioni teatrali di alcune sue opere e della sua vita si sono susseguite in molte città, aumentando lo stupore e gli incroci attraverso i suoi scritti. Col tempo, difatti, realizziamo che Goliarda non finisce con Goliarda – dunque con le sue parole pubblicate e quelle che stanno ora riposte in un archivio provenienti dal noto baule lasciato alla sua morte – non si esaurisce con lei ma procede inesorabilmente e meravigliosamente attraverso altre e altri. Chi l’ha conosciuta e frequentata, chi la studia, chi la legge e non smetterebbe mai. Perché è un’autrice che attraversa, passa, le persone che in qualche modo sono state in contatto con lei e in loro resta per intrecciare altre storie, altre vite.

 

E, in questo percorso, accadono cose straordinarie, come l’appena uscito per Giulio Perrone Editore Maria Giudice di Maria Rosa Cutrufelli, che in qualche modo porta con sé la presenza di Goliarda, la sua scrittura, avendola conosciuta, frequentata, essendole stata amica. È un libro che racconta Maria Giudice attraverso una indagine che parte da una assenza: l’assenza di una cara amica e di tutto il suo mondo. È Goliarda che manca a Maria Rosa, e mancano i loro incontri del gruppo di scrittura – con, tra le altre, Clara Sereni, Adele Cambria, Elena Gianini Belotti – le loro parole e i loro racconti con cui commentavano il mondo e con cui condividevano che cosa stessero scrivendo o meditando di scrivere.

 

E parte da qui Cutrufelli, da un’indagine sia personale sia storica su Giudice che implica il ricordo della figura della madre attraverso le parole della figlia ma anche una ricerca di testi e fonti che testimonino questa donna nelle vicende politiche e sociali del nostro Paese. La storia narra di una donna che tra fine Ottocento e inizio Novecento sceglie la propria vicenda presente e futura, segna i binari del proprio destino, e di molte di noi, senza mai venire a patti con il pensiero comune, con gli agi e con le fatiche.

 

 

Una donna che a 42 anni nel 1924 mette al mondo la sua decima figlia, Goliarda, senza un matrimonio, e che nel frattempo non ha mai smesso un attimo di battagliare per le sue idee politiche, di esporsi nella lotta socialista, di difendere le donne, gli operai, i braccianti, gli ultimi senza voce, di incitare le donne e lottare per loro stesse, per la loro istruzione, per il loro salario.

 

Maestra, giornalista, sindacalista, dirigente socialista ha viaggiato, in quegli anni, in lungo e in largo il Paese, conoscendo l’esilio e più volte il carcere: in molte città i documenti delle prefetture hanno parlato di lei. La sua vita in Sicilia dopo i 40 anni è stata sempre una vita di lotte, per i senza voce e contro il fascismo fino al suo trasferimento a Roma, a seguito di Goliarda vincitrice di una borsa di studio all’Accademia nazionale d’arte drammatica: qui una esistenza difficile nella guerra e nella povertà ma sempre impegnata a scrivere e a lottare con le parole per la pace per la libertà.


Con questo libro la figura di siffatta donna non è più fatta solamente di carta, ma attraversa una resurrezione: per chi nell’immaginare Maria Giudice non può far altro che vedere ciò che Goliarda ha fatto vedere con la poesia A mia madre, scritta poco dopo la sepoltura e citata a inizio libro, ora, grazie a Cutrufelli, Giudice ha un corpo, una tridimensionalità, uno spazio fisico privato e pubblico in cui è meraviglioso vederla muoversi. Non è più unicamente la donna decisa ed energica ritratta in alcuni documenti, la cui volontà supera ogni fatica e barriera, ma è infine una donna umana e perfino fragile, con le sue incoerenze rispetto al suo ruolo, le sue passioni e le molte fatiche.


Cutrufelli ci regala con questo libro molti ritratti, a partire da una tavola imbandita con la televisione di sottofondo che manda in onda la Guerra del Golfo e alcune donne attorno al tavolo: è il gruppo di scrittura che si riunisce una o due volte al mese, che si sta interrogando sulla guerra e sullo scrivere. Sentiamo il rumore dei bicchieri, la luce sopra il tavolo che illumina una pasta o un gâteau, il caffè sul fuoco, e sentiamo i loro commenti, i loro pensieri, anche quelli di Goliarda forse rivolti a un grande romanzo che avrebbe dovuto narrare la storia di sua madre e di suo padre. Di questo grande progetto, di cui l’autrice ci dice il titolo, Amore sotto il fascismo, non c’è (ancora) traccia, ma sedimenta il germe della ricostruzione, del ridare voce e corpo e storia a una donna che ha fatto la storia dell’Italia e la storia delle donne.


Quel germe riaffiora dopo trent’anni con questo libro di Cutrufelli, e riemerge raccontando Maria Giudice prima di Goliarda Sapienza, e non l’opposto come di consueto, dandole così lo spazio e il tempo di muoversi nei decenni, per farsi conoscere nelle sue azioni, nelle sue amicizie, nei suoi pensieri. Rimane nel cuore la figura di una ragazza forte e decisa, intransigente, che si trova spaesata e sola in Svizzera in esilio per non fare la gravidanza in un carcere italiano, così partorisce la prima figlia da esule, per dare davvero la luce alla sua creatura. Ed emerge la riconoscenza privata e pubblica a Maria Giudice, per quello che sono state le sue scelte e la sua vita, per quello che ha intessuto nell’esistenza di sua figlia, per quello che nella scrittura ha attraversato molte autrici. E una certa commozione.

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