Speciale

Tavoli | Vedovamazzei

15 Luglio 2013

Quando sono arrivato lì e gli ho detto “scrivania” mi hanno risposto “eh, mica facciamo i notai!”. Ah no? No... abbiamo 3 tavoli.
Al centro dello stanzone: uno per le bozze, uno per le cose su cui si lavora davvero, e uno per quello che è finito ma “guardiamolo ancora un po’”. (Gli artisti, quelli bravi, fanno sempre così: decantano le cose per mesi, prima di farle uscire.)

 

Chiaro che questo non è un modo di procedere, o una organizzazione del lavoro, è una cosa diversa: è come pensi. Andando avanti, o indietro, lasciando decantare, provando, buttando, disfacendo. E soprattutto quel loro modo di pensare che finisce nelle cose che fanno, che è un modo di pensare in cui il prima e il dopo delle cose non è mai scontato, e il sotto, spesso, finisce sopra.
In fondo sono gli unici Totò dell’arte contemporanea, e non potrebbero fare diversamente.
Alla fine, quando sono arrivato, su quel primo tavolo, c’era tutto e il contrario di tutto: pennelli, un martello, squadre, una bottiglia di vino, un ferro da stiro, un pezzo di cemento.

 

Se ci fossi passato un mese prima, o dopo, conoscendoli, avrei potuto trovarci cartine di sigarette, marmo, numeri di telefono, fiori, biscotti, radiografie, gomitoli, una pornodiva, o chissà cosa.
E non è solo una questione di “fare l’artista”, e quindi avere a che fare con tutto, è più una questione di quello che ABO definiva “l’inciampo alle nostre quotidianità”. E Stella e Simeone sono quello: prima ancora che essere artisti, sono lo stupore, e lo sguardo sbilenco delle cose, la frase che non ti aspetti, l’epifania sorridente, il disordine, e il carpiato del pensiero.

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