Speciale

Campioni # 15. Maria Grazia Calandrone

5 Gennaio 2016

le spirali delle due ammoniti sul tuo petto

ripetono la forma delle galassie gemelle

PGC 9074 e PGC 9071

della costellazione del Triangolo

 

una (la 9074, di tipo Sa) mostra una sporgenza luminosa, l’intenzione di un’alba, ma porta i bracci

     avvolti strettamente intorno al proprio nucleo

 

l’altra, la galassia che si srotola più a Nord nel nero siderale (la 9071, di tipo Sb), ha allargato le

     braccia da un discreto numero di anni-luce.

il buio dell’universo è sottoposto a magnetismi incommensurabili. altrimenti, è cieco.

questa forma di abbraccio

disabitata, questa custode con le ali aperte nel silenzio profondo, reca un dolore alla spalla destra. È

     un oggetto celeste dai tendini infiammati, a Nord-Est del tuo cielo

 

le due galassie sono scientificamente inseparabili. cito, da un articolo di Eleonora Ferroni, in

    Notiziario dell’Istituto Nazionale di AstroFisica: “sono abbastanza vicine da sentire l’una la

    gravità dell’altra, ma non ci sono disturbi gravitazionali visibili”

 

entrambe hanno prodotto “giovani e calde stelle retrostanti”, mentre “formazioni stellari più antiche

    e fredde” pulsano, gialle del giallo bestiale della savana, accanto al loro nucleo

e un corteo di stelle ormai lontane le circonda, come una corona di detriti

 

le due astrali Signore delle porte accanto hanno lasciato scie di sangue e dolcezza, scorie di amori

    ormai assorbite dal rombo dei venti galattici. ma la forza di gravità di ciascuna nei confronti     

    dell’altra le porterà a confondersi in un unico grande fenomeno, in un abbraccio pieno.

l’articolo chiude infatti così: “tra qualche centinaio di milioni di anni le due strutture si fonderanno,

    perché l’attrazione gravitazionale che già le vincola avrà definitivamente attirato le due ormai

    inseparabili gemelle”.

 

sacre stelle pazienti. oggetti che non forzate

la curvatura spaziotemporale, limpide forze che state

nell’intervallo naturale

che sulla terra viene detto rispetto.

le stelle hanno la calma delle stelle.

 

questa forma cretacica fossile ha un disegno terrestre: le sue spirali, formate da rigoni d’inchiostro

    organico, riproducono la rotazione delle due galassie. cose forse avvenute nello stesso momento

    in terra e in cielo. 180 milioni di anni fa. cose delle quali siamo il futuro. o l’utopia.

questa insiemistica fantascientifica, lo stadio fossile-astrale della materia, è il mio dono per te.

 

in attesa di formare l’insieme al quale sono destinate, le due vicine svolgono un’intensa attività

    interiore, che porta entrambe a uno sprigionamento di energie attive, utili alla creazione di

    pianeti. esse sono due splendide officine, due fervidi laboratori di stelle. esse irradiano luce.

 

l’osservatorio on-line del telescopio spaziale Hubble della NASA-ESA, che le ha individuate, ha

    pubblicato la notizia il 24.6.2013 (di quel pomeriggio, ricordo un allegrissimo braccio di ferro al

    bar, sotto una parete di grappoli di glicine. non ha vinto nessuno. le nostre forze sono strutture

    equivalenti e complesse)

 

la suggestiva scoperta ha subito rimbalzato sui siti astronomici internazionali, nei primi giorni del

    luglio 2013. di quei giorni ricordo un dialogo sull’ironia della natura: scoprivamo che gli alveoli

    polmonari e il meconio si formano nel medesimo stadio evolutivo del feto umano: pneuma e feci.

    come sempre. l’umano.

 

poi, ricordo la musica di un amore immortale sulla rovina di Massenzio: “e si ’na stella canta pe’

    ammore rimmane ’n cielo mill’anne e nun more”. poi, ricordo un sorriso, così profondo da

    perdonare i morti, invincibile come la forza gravitazionale che sulla terra viene detta destino. E

    poi ricordo un suono di campane, semplice come il caldo della tua bocca

 

che dura qui, ben oltre la mia vita 

 

16.11.14

 

 

La canzone alla quale si fa riferimento è Fatmah, eseguita il 3.7.13 dagli Almamegretta durante il Festival delle Letterature a Massenzio.

 

 

 

da Ead., Serie fossile (Milano, Crocetti, gennaio 2015, pp. 138,  € 14), pp. 130-2

 

 

 

Nella produzione in versi di Maria Grazia Calandrone, Serie fossile segue La vita chiara, raccolta del 2011 che, evidenziando la necessità per la parola di porgersi come corpus mundi, si chiudeva sulla trasfigurazione estatica e sulla perdita: «Siamo già resti, Aurore – e sorridiamo. // Più di questo io non avrei potuto / con questo provvisorio delicato / corpo che si scuoteva in tutta la lunghezza per il mycobacterium, / una spora spugnosa / di dolore / che pronuncio con grazia / e contrappunto di nascosto a crome / di sangue. Quanta / castità laica da mantenere – quanta / astinenza, sorella!» (Alla sua ultima musa, in La vita chiara, Transeuropa, Massa 2011, p. 93, vv. 50-60).

 

Già la parola in La vita chiara brillava di una luce oscura, per cui il corpo della scrittura pareva seguire traiettorie oscillanti. Dal buio alla luce, appunto, dal santo al bestiale, senza gerarchie rintracciabili, in cui l’Io che prendeva parola, lo faceva dal corpus di una materialità sempre sull’orlo dell’esondazione: «La creatura è lo specchio nella cui unica cornice il mondo morale si propone agli occhi del Barocco. Uno specchio concavo, che può riflettere solo deformando», diceva Benjamin nel 1928 (Il dramma barocco tedesco, Einaudi, Torino 1999, p. 66) e così la scrittura di Calandrone sembra comportarsi. Esplicitandosi continuamente in un processo metamorfico, nell’esuberanza e nell’esperimento laboratoriale, quasi alchemico.

 

La volontà manipolatoria della materia verbale, in Serie fossile, è esibita già nei molti titoli introdotti da una “cifra”, da un simbolo con funzione classificatoria e seguito da una “nomenclatura”. L’artificio tassonomico (alla Linneo, per inciso, anche se la nomenclatura binomiale fu inventata almeno un secolo prima delle classificazioni del naturalista svedese, quindi agli inizi del Seicento) è il segno più evidente tra i molti di una raccolta che, anche sul piano strutturale, non lesina di scomporsi artatamente in un duplice frazionamento – corredato di micro-sezioni interne – con obiettivi speculari. Da un lato, nella prima parte, Serie fossile per l’appunto, si assiste all’anabasi del corpo attraverso le capacità “prospettiche”, fino a giungere, nell’altra, Per metà fuoco per metà abbandono (con esplicito riferimento all’Anedda di Notti di pace occidentale), al rischiaramento «dalla fibra più segreta» (p. 128) del codice, che si slarga oltre la prospettiva individua e nel tono più meditativo.

 

Nel passaggio oscillatorio dal micro al macro non si perde la necessità “nomenclatoria”, né la plasticità senza termine, ciclica. Barocco, dicevamo, cioè il gioco insito nel dramma: «Quando comincia, quando finisce / il gioco non sappiamo, forse / era giorno… ma solo che dentro / o fuori è poco diverso». Questo incipit da Lucio Piccolo (Gioco a nascondere, in Canti barocchi e Gioco a nascondere, Scheiwiller, Milano 2001, p. 59, vv. 1-4), può bene introdurre il testo qui proposto, tra i più rappresentativi di Serie fossile, perché evidenzia la tensione che si gioca tra il velamento e la “chiarità” bruciante e che, essendo l’ultimo della serie, è anche acme del progetto di commistione linguistica attuato da Calandrone.

 

L’intreccio e lo scavo, che già spiegano il titolo della raccolta, si ritrovano in γ – insieme MRK 1034, creando analogia tra il corpo minerale – le «due ammoniti sul tuo petto» – e i corpi cosmici delle due galassie gemelle destinate alla fusione. L’intreccio spiraliforme aderisce completamente alla volontà associativa di Calandrone, ed è un segno di riconoscimento forte. Un σuμβολον, di cui, d’altronde, avevamo potuto constatare la presenza quasi “geroglifica” in molti dei titoli, compreso questo. Il γ indicava, per i filologi alessandrini, il III libro dell’Odissea, il libro della partenza di Telemaco verso Sparta, il libro dell’alba dalle «rosate dita», della speranza positiva dell’incontro sotto il segno “rituale” della rinascita. Pur restando nei limiti della suggestione, il riferimento ci conduce a uno dei termini che scandiscono Serie fossile. «Alba», con ricorrenza sintomatica (la micro-sezione centrale è La sposa alba) e, direi, “volontaristica”: se collegabile allo sforzo “luminoso” della raccolta che emerge dall’accostamento simbolico tradizionale luce-gioia.

 

Il corpo spiraliforme delle galassie che “camminano” verso l’abbraccio definitivo, sottopone il linguaggio a un tour de force “conativo”. Provo a spiegare: attraverso la denotazione, cioè l’andamento “informativo”, da notiziario scientifico – i nomi e le sigle specifiche dentro il testo sono segnali di una preoccupazione anti-lirica –, si giunge alla suggestione connotativa del finale, in cui il contesto muta attraverso il rimbalzo nelle esperienze dirette del soggetto: «la suggestiva scoperta ha subito rimbalzato sui siti astronomici internazionali, nei primi giorni del luglio 2013. di quei giorni ricordo un dialogo sull’ironia della natura: scoprivamo che gli alveoli polmonari e il meconio si formano nel medesimo stadio evolutivo del feto umano: pneuma e feci. come sempre. l’umano».

 

I due movimenti del linguaggio creano un campo nuovo di referenza, anche se la natura “volontaristica” del messaggio corre sempre il rischio di esondazione del senso. Ma si ritorni al Barocco e alla dinamica dell’intreccio, alla trama invisibile o deformante che collega più mondi; solo seguendo questa traccia comprendiamo che l’esubero può essere contenuto nel rapporto, in quell’abbraccio che è sintomo di un’elargizione, attrazione fisica, dono, amore: «le due astrali Signore delle porte accanto hanno lasciato scie di sangue e dolcezza, scorie di amori ormai assorbite dal rombo dei venti galattici. ma la forza di gravità di ciascuna nei confronti dell’altra le porterà a confondersi in un unico grande fenomeno, in un abbraccio pieno».

 

L’accordo “impossibile” della pienezza si situa nell’attimo che precede l’incontro, così forse si può spiegare lo “squilibrio” linguistico messo in scena nel testo (l’attrito denotazione/connotazione cui si faceva riferimento), il quale agisce in direzione dell’impatto e ben oltre esso («ben oltre la mia vita» recita il finale), perché dentro un tragitto de-finalizzato. «L’impossibilità del godimento significa che esso avviene solo se non si deposita in uno stato […] e il suo compimento è il suo atto stesso» (Jean-Luc Nancy, Il «c’è» del rapporto sessuale, SE, Milano 2002, p. 45): in questi termini Serie fossile è l’atto successivo, l’allestimento di una relazione senza attori identificabili, senza altro assoluto se non i corpi, la massa materica nel suo procedere per apparizione e scomparsa. È esclusa, così, ogni trasfigurazione amorosa, il fondale è svuotato da ogni schizomorfismo di stampo avanguardistico, scompare l’effetto “invasivo” dell’alterità che isola l’Io. La tensione scenica si smorza nel registro basso introdotto dalla notizia: «cito, da un articolo di Eleonora Ferroni, in Notiziario dell’Istituto Nazionale di Astrofisica: “sono abbastanza vicine da sentire l’una la gravità dell’altra, ma non ci sono disturbi gravitazionali visibili”».

 

Non c’è inserzione di voci “altre”, non c’è scissione né sermocinatio o abuso fantasmatico della voce (vedi i molti fantasmi lirici della tradizione), quanto, piuttosto, la formazione di un conglomerato, operazione vicina ai tentativi resilienti di uno Zanzotto, come modello novecentesco realmente plausibile. Ma se il poeta veneto rispondeva a uno smarrimento ricorrendo alla “memoria”, a un panorama comunque nostalgico («Io pensavo che il mondo così concepito / con questo super-cadere super-morire / il mondo così fatturato / fosse soltanto un io male sbozzolato»: Al mondo, in La Beltà, 1968), Calandrone gioca le sue scelte rischiando l’oltre e il senso di là da venire, scommettendo su un futuro che è già traccia nel presente (nel caso di γ – insieme MRK 1034, la notizia di qualcosa che accadrà soltanto «ben oltre […] la vita»), in una commistione temporale che non è più linearità ma assenza: «questa forma cretacica fossile ha un disegno terrestre: le sue spirali, formate da rigoni d’inchiostro organico, riproducono la rotazione delle due galassie. cose forse avvenute nello stesso momento in terra e in cielo. 180 milioni di anni fa. cose delle quali siamo il futuro. o l’utopia. | questa insiemistica fantascientifica, lo stadio fossile-astrale della materia, è il mio dono per te».

 

 

Maria Grazia Calandrone (Milano 1964, vive a Roma): poetessa, drammaturga, artista visiva, performer, organizzatrice culturale, autrice e conduttrice di programmi culturali per Radio 3, scrive per «il manifesto» e per «la 27ora» del «Corriere della Sera» e cura una rubrica di inediti per il mensile internazionale «Poesia». Tiene laboratori di poesia nelle scuole, nelle carceri, nei DSM e con i malati di Alzheimer. Libri: La scimmia randagia (Crocetti 2003, premio Pasolini Opera Prima), Come per mezzo di una briglia ardente (Atelier 2005), La macchina responsabile (Crocetti 2007), Sulla bocca di tutti (Crocetti 2010, premio Napoli), Atto di vita nascente (LietoColle 2010), L’infinito mélo, pseudoromanzo con Vivavox, cd di sue letture dei propri testi (Sossella 2011), La vita chiara (Transeuropa 2011) e Serie fossile (Crocetti 2015, premio Marazza e Tassoni, rosa premio Viareggio); è in Nuovi poeti italiani 6 (Einaudi 2012). Ha scritto tre monologhi per Sonia Bergamasco (La scimmia bianca dei miracoli, Pochi avvenimenti, felicità assoluta, Elle). Sue sillogi compaiono in antologie e riviste di numerosi Paesi Europei e delle due Americhe. Dal 2009 porta in scena in Italia e in Europa il videoconcerto Senza bagaglio (finalista «RomaEuropa webfactory» 2009). Collabora con Rai Letteratura e Cult Book (Rai 3). La sua poesia è tradotta in molte lingue. Il suo sito è www.mariagraziacalandrone.it.

 

 

Maria Grazia Calandrone, Fossile

Maria Grazia Calandrone, Insieme (Parte Prima)

Maria Grazia Calandrone, Insieme (Parte Seconda)

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