Speciale Librerie | L’estate di Giacomo

31 Gennaio 2013

Mi sono spesso chiesta per chi siano davvero indispensabili le librerie indipendenti. Se un quartiere dovesse perdere la propria libreria, se al posto di una vetrina piena di libri dovesse esserci il buco nero improvviso di un cartello “affittasi”, chi ne verrebbe colpito direttamente al cuore? Chi si ritroverebbe monco o zoppo, menomato nella fibra più intima delle proprie funzioni vitali? La risposta sembra essere scontata. Tutti. Ne soffrirebbe chi con i libri ci lavora, chi scrive, chi vive di letteratura. Ne soffrirebbero i lettori forti. Ne soffrirebbe chi ci entra occasionalmente per ripararsi dalla pioggia. In realtà non credo che le cose stiano proprio così. Con il progressivo allargarsi del mercato librario su Internet e la messa in rete dei testi nei depositi delle grandi Biblioteche Nazionali, chi studia ha sempre meno bisogno della mediazione del libraio per arrivare a testi di forte settorializzazione scientifica. Io, personalmente, il 50% dei libri che leggo - quelli con cui lavoro - li trovo su Internet (con un’equa ripartizione tra libri che compro su Amazon, Maremagnum e testi online scaricati dal catalogo della Bibliothèque nationale de France). Per un buon 25% li ricevo a casa dal giornale per cui scrivo. Il restante 25% lo affido al “gusto” - nel senso settecentesco del termine, ovvero alla mia sensibilità del buono e del bello insieme - e quindi all’incontro fortuito, al colpo di fulmine visivo, tattile, in libreria. Per me, veder chiudere la mia libreria preferita, avrebbe quindi un impatto più di tipo sentimentale, legato alla sfera degli affetti piuttosto che a quella del mercato del libro in sé (che certo non può reggersi sul mio settecentesco 25%).

 

Un discorso simile si potrebbe fare anche per i lettori forti, per tutti coloro che, pur non lavorando nel modo della cultura, da sempre leggono molto. Persone che seguono i supplementi culturali dei giornali, le riviste letterarie e che sanno già perfettamente cosa comprare. Anche per loro, la morte di una piccola libreria rappresenterebbe soprattutto una perdita sociale, umana, dal momento che sono perfettamente capaci di orientarsi tra gli scaffali di un qualsiasi bookstore e possono eventualmente ordinare ciò che non trovano - ma sanno già che esiste - alla commessa di turno. Chi si muove bene tra i libri, pur tra luci fortissime, rintronato dalla musica e dalla gente, in mezzo a montagne di giochi per PlayStation e matite a forma di orsetto o di maiale, se vuole procurarsi un libro, se lo vuole davvero, alla fine ce la fa.

 

 

Il problema si pone invece per chi in libreria ci va poco, per chi non sa scegliere-leggere e ha bisogno di un aiuto per poter espletare al meglio il suo compito di consumatore culturale. I lettori sporadici, i poco affezionati. Ma soprattutto chi ancora non si muove bene tra gli scaffali perché non ha avuto il tempo dalla sua: i ragazzi, i lettori di domani. Se di colpo scomparissero tutte le librerie di quartiere in Italia, si ritroverebbe colpito al cuore il nucleo della formazione culturale del paese. Un nucleo fondamentale, unico, legato in maniera inscindibile alla struttura stessa del proprio contenitore. Un nucleo semplicemente impossibile da sostituire con una buona biblioteca di casa o un’aula scolastica.

 

Anche a Bergamo, come dappertutto, negli ultimi anni il tessuto urbano legato al consumo del libro è fortemente cambiato. In centro sono arrivate Feltrinelli, Ibs bookshop, Ubik. Alcune librerie storiche hanno chiuso (La Tarantola, Lorenzelli aperte negli anni Cinquanta, e poi Rossi, Seghezzi che aveva un catalogo di critica letteraria tra i più belli). Altre resistono ancora (una su tutte ARS in Via Pignolo, libreria d’arte e vero piccolo centro nevralgico per la vita culturale della città).

 

La libreria di cui però cui vorrei parlare è legata in particolare al mio quotidiano e soprattutto a quello di una persona che ho la fortuna di poter osservare da vicino: mio figlio Giacomo.

Il posto in questione si chiama Punto a capo. Trenta metri quadri in Via Colleoni 17b. Tempo fa era una classica libreria per turisti, tutta Guide ai sentieri delle Orobie e ricette di polenta. Nel 2007 però ha cambiato gestione e - dal momento che ogni libreria indipendente è di fatto lo specchio del libraio che la abita - si è completamente trasformata. Il giorno in cui ho visto in vetrina tre libri Voland e una torre di dorsi Quodlibet sono entrata. Da lì ho iniziato a frequentarla regolarmente, ho imparato a conoscere chi la gestisce - Federica Balzaretti e sua madre Fernanda - sono diventata amica di Lara che ci lavora per metà settimana, e soprattutto ho iniziato ad andarci con Giacomo. Lui a volte ci va anche da solo: adesso che ha undici anni, ma anche prima, quando ne aveva otto. Per la sua geografia di bambino, la libreria di Via Colleoni è una delle colonne su cui si regge il mondo, un approdo sicuro. Un’isola conquistata in anni di esplorazioni. Anni di amicizia tra lui e Federica, che lo ha lasciato libero di leggere seduto per terra, passare del tempo tra libri “sbagliati”, sfogliare, scegliere.

 

 

Mi sono accorta che Giacomo aveva imparato qualcosa - qualcosa che non potevo avergli insegnato io e neppure la scuola - una domenica mattina di un anno e mezzo fa. Mentre io come al solito guardavo le novità, sento Giacomo parlottare con Federica. “…È un po’ che Il Castoro non pubblica nulla, aspettiamo…” dice lui. “Sì, hai visto però Salani?…” risponde lei. Per loro, un discorso di tutti i giorni. Per me, una rivelazione. Che un ragazzino conoscesse Il Castoro, che potesse anche solo immaginare che dietro un libro ci sia un’entità invisibile chiamata Casa Editrice con un catalogo e una strategia editoriale è stata per me una vera scoperta. L’idea che Giacomo avesse imparato a riconoscere a vista quel quid che fa Salani diversa da BUR e che addirittura “ne tenesse sott’occhio l’andamento delle uscite” mi ha dato molto da pensare. Credo fermamente che questo sia potuto succedere solo e soltanto attraverso la frequentazione costante di un luogo protetto dove poter vedere scorrere sotto gli occhi - mese dopo mese - gli arrivi dei libri, dove poterne vedere tanti, mostrati nella loro nudità materica, una nudità oggettuale diversissima da quella di qualsiasi gadget, di qualsiasi tazza e matita a forma di maiale. E credo che tutto questo sia potuto succedere soprattutto perché tra mio figlio e Federica non c’è stato solo un rapporto commerciale fatto di acquisti e vendite, ma un legame relazionale, affettivo, creato all’interno di uno spazio condiviso. Solo così mio figlio ha potuto avere la calma per capire che i libri non sono solo contenitori di storie avventurose, ma anche il risultato di una realtà produttiva fatta di scelte ben precise, così come ha potuto capire che dietro i libri, dietro le storie avventurose, esistono persone che queste storie le scelgono, le diffondono, le fanno vivere.

 

L’estate scorsa, Federica ha “assunto” Giacomo come commesso tra una vacanza e l’altra. Si sono messi d’accordo loro due, io non ho saputo niente fino all’ultimo e Giacomo, tre mattine su sei, è andato a lavorare. Lui, molto emozionato, molto preoccupato di arrivare sempre in orario, per due mesi ha spolverato, aperto cartoni, ha imparato a fare gli ordini, ha consigliato i clienti. È stato pagato in buoni-libro, si è divertito parecchio, ma soprattutto ha imparato cosa vuol dire fare il libraio. Ha capito come “funziona”.

Al di là della felicità intrinseca che ci può essere nell’idea di un bambino di undici anni e di una ragazza di trenta che passano intere mattinate insieme a parlare di libri, credo che dal punto di vista strettamente educativo, dal punto di vista della formazione del futuro “cittadino-lettore Giacomo”, questo episodio sia stato determinante. Sicuramente mio figlio ha avuto un privilegio che quasi nessuno ha. Ha goduto di un unicum, una sorta di dono delle fate che tocca a una sola persona e una volta soltanto, ma che non si sarebbe potuto concretizzare se Punto a capo non fosse stata una piccola libreria. Se mio figlio da grande sarà un lettore forte, e magari qualcosa di più, lo dovrà certamente anche a quelle mattine d’estate.

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