Speciale

La vita è una lunga fuffa tranquilla

16 Aprile 2012

Mi chiamo Chicca e sono architetto. Caspita, ribatterete voi, non so se con ammirazione o con compassione o tanto per dire qualcosa.

Per darvi un’idea: tempo fa ho visto un’intervista a Fuksas, quello che è talmente famoso che Crozza gli faceva l’imitazione, con il nome di Fuffas. Ebbene, Fuffas (quello vero, non Crozza) dichiarava, dal suo megastudio in centro a Roma - pieno zeppo di giovani collaboratori che sarei proprio curiosa di sapere quanto (e soprattutto se) guadagnano -, che se dovesse iscriversi all’università oggi non sceglierebbe Architettura, oppure emigrerebbe subito dopo la laurea, perché voler fare gli architetti, oggi, in Italia, è pura follia.

Grazie caro, non potevi farti intervistare qualche anno fa? Così mi risparmiavo anni e anni e anni di studio rilievi plastici progetti scala 1:200?

 

Vabbé, ormai è andata. Mentre studiavo, per mantenermi facevo due lavori: commessa in un negozio di sabato e schiava in uno studio di architetti dal lunedì al venerdì. Poi questi dello studio ho dovuto mollarli per preparare la tesi, e la cosa divertente è che, dopo che mi sono laureata, non mi hanno voluto più!

Tutto ciò è fantastico, ho pensato, ma non ho perso tempo a bestemmiare e mi sono subito iscritta a vari siti di ricerca lavoro, che ogni giorno mi mandavano le loro belle propostine in base al mio profilo professionale. Solo che doveva esserci qualche problema, un gap comunicativo, come dicono quelli che se ne intendono, perché mi arrivavano annunci che con la mia laurea non avevano nulla a che fare, tipo Estetista – Agente monomandatarioConsulente (consulente?) telefonico inbound/outbound e addirittura Espansionista Immobiliare, una delle tante nuove figure professionali dietro alle quali si cela sempre un’unica cosa: La Fuffa.

 

Intanto mandavo curricula ai miliardi di studi della mia città e anche della provincia. Risposte: nessuna. Ah, sì, una volta uno mi ha risposto, per comunicarmi che erano in fase di valutazione delle candidature pervenute. Ottima proprietà di linguaggio, ma all’atto pratico: zero. Però io mica me ne stavo con le mani in mano: non ne sono proprio capace. Durante il giorno, mentre tutti i componenti della famigghia erano a lavoro – visto che loro ce l’hanno, un lavoro – io restavo a casa: la cucina era il mio regno, il mestolo il mio scettro, il frigorifero il mio scrigno del tesoro. “Lalla”, dicevo al cane addormentato nella sua cuccia, “oggi ho deciso di preparare un bel soufflé al cioccolato con crema all’arancia amara. O preferisci il budino alla vaniglia?”. Lalla si voltava su un fianco e io credevo di capire: budino alla vaniglia. In salsa di lamponi, per di più. Mi armavo di casseruola, mestolo, stampo in silicone, latte, vaniglia, zucchero, e tutto il resto dell’occorrente, poi li disponevo sul tavolone della cucina: eccoli i miei strumenti di lavoro, altro che Autocad!

 

La sera i miei genitori e i miei fratelli erano talmente contenti di trovare la cena già pronta, con in più un bel dolce alla fine, che a volte quasi si dimenticavano di farmi La Domanda, quella che, evidentemente, ritenevano parte imprescindibile del loro dovere parentale: “Alloraaaaaaaa, novitàààààààà?”, proprio così, con le “a” strascicate, tipo bimbominkia ke t scrv sll bakeka FB. La mia risposta, per contro, era sempre molto sobria e sintetica: “No”; con una “o” sola, tra l’altro. Ma a otto mesi dalla laurea, con svariati chili in più e pensieri omicidi ormai persistenti verso i componenti della mia famiglia, ho detto basta. E no, non ho compiuto un insano gesto. No, non sono andata a fare il colloquio per Espansionista Immobiliare, anche se la tentazione c’è stata, se non altro per farmi spiegare cos’è. Invece ho fatto come la protagonista di quel film di Ozpetek, che 1) evita di lasciare il marito per Raoul Bova (!), e 2) va a lavorare in una pasticceria. Solo che nel film lei realizzava un sogno, mentre io avevo studiato per fare altro (sul punto uno non mi pronuncio, dato che non sono neanche fidanzata).

E comunque la cosa peggiore, in tutta questa storia, è un’altra: e cioè che io li detesto, i film di Ozpetek.

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