Pascal Plisson. Vado a scuola

16 Ottobre 2013

Parlare di educazione significa anche ragionare sulle possibilità di accesso all'educazione. Lo fa con passione il regista francese Pascal Plisson nel documentario Vado a scuola, mettendo in luce il percorso fisico e geografico che i piccoli protagonisti devono affrontare ogni giorno per arrivare a scuola, nei più svariati angoli del pianeta.
 

 

Nell'opera di Plisson non si discute di politiche educative, di scolarizzazione, di conflitti religiosi, sociali o famigliari, di discriminazioni di genere in ambito educativo, della società e della cultura di cui sono intrisi i protagonisti, ma si mettono a fuoco solamente la grande determinazione e la volontà di sapere che i bambini, provenienti da famiglie molto povere e residenti in comunità rurali o remote, condividono. La scuola che i quattro eroi devono  frequentare è molto lontana e ogni giorno, perfettamente coscienti del rischio, pur di arrivare in aula si imbarcano nell'avventura, affrontando un andata e ritorno denso di ostacoli e barriere.

 

 

Jackson vive in Kenya e con la sorella percorre ogni mattina quindici chilometri in mezzo alla boscaglia e alla fauna selvatica. Zahira abita tra le aspre e difficili montagne dell'Atlante marocchino. Samuel vive nel Golfo del Bengala e viene portato a scuola dai due fratellini su una sedia a rotelle assemblata da vari pezzi riciclati. Infine Carlos, che attraversa ogni giorno, assieme alla sorellina, le pianure della Patagonia per diciotto chilometri, a dorso di un cavallo. 

 

Nonostante la grande dedizione di Plisson nel voler affrontare il tema inviolabile dell'accesso all'educazione, va detto che il tentativo del regista di spaziare tra vari generi e di rendere gli ingredienti della narrazione più attrattivi (per dare maggiore vigore alle storie raccontate), fatichi un po' a trovare la giusta formula.

 

 

Il percorso dei piccoli Indiana Jones (così definiti da una critica di un noto quotidiano, peccato che Indiana Jones sia un ricco archeologo che ama infilarsi in situazioni di pericolo mentre i ragazzi non scelgono le loro avventure) è infatti costellato nell'opera di Plisson da ostacoli e pericoli, della cui veridicità certamente nessuno dubita – i protagonisti per raggiungere la scuola, a diverse latitudini, fuggono da elefanti e giraffe, rovesciano per terra riserve vitali di acqua, percorrono sentieri impraticabili per qualsiasi essere umano, in sella ad un cavallo che ogni giorno rischia di azzopparsi o sollevando carrozelle di fortuna, si vedono rifiutare il passaggio sul carro da un mercante che va nella loro stessa direzione, e sono costretti, a differenza dei bambini delle società ricche e opulente, ad alzarsi all'alba ogni mattina.

 

La nota stonata invece è data dallo stile del racconto, caricato in alcuni momenti da uno slancio lirico - complice l'uso abile e fin troppo puntuale della colonna sonora – che in un documentario di tale ambizione si poteva forse evitare.

 

 

Piccoli eroi, animali e povertà sono categorie da dosare con sapiente padronanza sullo schermo, a maggior ragione quando l'intento è di documentare una realtà così densa e difficile. Meglio prenderne le distanze e depurare se stessi da ogni tentativo di filmare in modo drammatizante. Con la scelta di limitarsi a mostrare, senza analizzare o giudicare, Plisson avrebbe compiuto una scelta ammirevole, se la sua posizione di apparente neutralità di fronte al “materiale” umano da filmare non avesse superato il giusto equilibrio, cedendo talvolta alla tentazione di educare il pubblico.
La realtà vissuta dai protagonisti è già di per sé evidente e non necessita di ulteriori artifici.

 

Tuttavia, il successo di pubblico e critica europei ha pienamente confermato la validità dell'operazione Vado a scuola. Chissà cosa ne penserebbero invece il pubblico e la critica di Kenya, Marocco, India e Patagonia, vedendo l'effetto che i loro piccoli connazionali provocano sul pubblico occidentale.

 

Vanessa Lanari è curatore cinema per la fondazione lettera27 e direttore artistico del Festival di Cinema Africano di Verona.

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