Come il vento

6 Gennaio 2014

È  una similitudine il titolo del nuovo film di Marco Simon Puccioni, nelle sale dal 28 Novembre: Come il vento, il film sulla vita di Armida Miserere, tra le prime donne italiane a essere direttrice di carcere. Diversi, per la verità: Milano-Opera, Parma, Pianosa, Palermo e infine Sulmona, dove muore suicida nel 2003. È una storia struggente e forte, interpretata da una Valeria Golino che, dopo aver vestito i panni di una detenuta in semilibertà in Giulia non esce la sera, ora si trova a rivestire un ruolo opposto.

 

 

Sono anni “caldi” per la giustizia italiana quelli in cui trova ambientazione il film: si tratta del periodo compreso tra la fine degli anni '80 e l’affacciarsi del nuovo millennio. Anni consacrati alle indagini sull’antimafia, fuori e dentro le carceri stesse. Proprio in queste maglie aggrovigliate si nascondono infatti i colpevoli dell’omicidio di Umberto Mormile, educatore del carcere di Opera e compagno della Miserere.

 

 

Dopo questa morte, la vita della donna si trasforma in una rincorsa sfiancante verso la giustizia. La ricerca dei responsabili diviene il perno del suo lavoro; la pretesa delle sue giornate. Con la sigaretta sempre accesa, disciplina, rigore e ordine sono gli imperativi che esige costantemente, convinta che un’amministrazione carceraria debba fare fino in fondo il suo lavoro, con severità e fermezza: “io penso che il carcere debba essere un carcere e che i detenuti debbano saper fare il loro mestiere, io non sono la direttrice del Jolly Hotel, io dirigo un luogo di condanna per efferati delitti”.

 

 

La chiamavano “femmina bestia” e dall’esterno solo così poteva apparire: come se il dolore non avesse il diritto d’invadere anche l’esteriorità. Invece la sua è stata una vita al limite, sbriciolata nella ricerca della felicità. Dedicata all’utopia, sia sul fronte personale sia su quello professionale, che Marco Simon Puccioni fa vedere indissolubilmente intrecciati: alla pretesa di disciplina carceraria fa capo la sua ostinazione e alla sua fragilità di donna corrisponde il tentativo di portare un po’ di umanità e rieducazione nel carcere. Proprio in occasione di una piccola rassegna cinematografica che la Miserere organizzò qualche anno prima di morire per un piccolo gruppo di detenuti di Sulmona che la Golino – a Trieste per girare il nuovo film di Salvatores – dice di aver incontrato la donna che poi, a sua insaputa, avrebbe interpretato. “Dopo aver saputo questo dettaglio  – confessa al pubblico dell’Ariston di Trieste il regista Puccioni – è come se mi fossi definitivamente convinto che fosse proprio lei l’attrice giusta per la parte”. Lo scorso Martedì 3 Dicembre, infatti, Valeria Golino e Marco Simon Puccioni hanno incontrato il pubblico triestino in sala, introducendo la storia.   

              

 

Si tratta di un film che sta trovando poca accoglienza nella cinematografia centrale, eppure l’eco della contemporaneità risuona assordante. Questioni attualissime, già presenti allora, consegnano allo spettatore interrogativi pungenti: il problema della rieducazione dei detenuti, della loro salute, dei suicidi, della possibile generazione di nuova violenza e delinquenza in carcere. Questioni schiette e crude, che non basta una vita a risolvere. Neppure due. E il disincanto dell’utopia può divenire allora percezione di essere vento.

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