5 per mille

Le provocazioni di Paula Modersohn-Becker

17 Giugno 2025

La ragione per cui Marie Darrieussecq ha deciso di scrivere di Paula Modersohn-Becker sta in una parola, Schade, pronunciata in punto di morte. Era il 20 novembre 1907, e Modersohn-Becker aveva partorito da diciotto giorni. Una bambina, Mathilde. Il parto era stato complicato, due giorni di travaglio finiti a suon di cloformio e forcipe. E una raccomandazione da parte del medico: restare a letto per riprendersi. Dopo due settimane e mezzo, ottiene finalmente il permesso di alzarsi. Ha giusto il tempo di muovere qualche passo, poi crolla a terra. Embolia polmonare post-parto. Prima di perdere conoscenza, pronuncia quella parola, Schade, che in tedesco significa peccato. Peccato nel senso di che peccato, che dispiacere. Ed è un peccato non solo umano (Modersohn-Becker non aveva nemmeno 32 anni), ma anche artistico. Per capire perché, bisogna conoscere almeno un po’ i suoi dipinti.

Prima di leggere Essere qui è uno splendore di Marie Darrieussecq, tradotto da Sofia Tincani e pubblicato da Crocetti, conoscevo Paula Modersohn-Becker solo perché l’avevo vista citata in un libro. Marie Darrieussecq, invece, comincia a interessarsene a partire da una minuscola immagine a corredo di un’e-mail che pubblicizzava un convegno di psicanalisi sulla maternità. L’immagine era questa.

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Una donna coricata con un bambino. La posa è identica, sono l’uno lo specchio dell’altra, entrambi in posizione fetale. Le gambe piegate incorniciano il ventre della donna, tra il pube e l’ombelico, al centro del dipinto: è quella l’origine du monde. Forse dormono, o forse la donna sta allattando il bambino. Il braccio destro della madre sorregge la testa del figlio; il sinistro sembra schermarlo, escludendo l’osservatore dall’intimità della loro unione. Il bambino è rannicchiato, come se fosse ancora nel ventre materno: esiste al di fuori del corpo della madre, ma non è in grado di sopravvivere senza di esso. Non esiste nulla all’infuori dei due corpi: sono l’uno l’universo dell’altro.

Non riesco a capire esattamente i colori, perché su internet si trovano immagini con gradazioni molto diverse – la carnagione varia dal rosa al giallo, lo sfondo oscilla tra il blu notte, il cobalto, persino il verde petrolio, e il bianco sporco del letto ha sfumature ora violacee, ora grigiastre, – e purtroppo non ho mai visto quest’opera dal vivo. La tela dà l’idea di essere molto grande, ma in realtà non lo è: circa 80 x 120 cm. A farla apparire grande è la monumentalità delle figure, che conferisce loro una sacralità tutta laica; nulla a che vedere con le “Madonne con Bambino”. Nessuna traccia di erotismo, naturalmente, ma nemmeno di idealizzazione. Né Vergine né Odalisca.

Quando Paula Modersohn-Becker realizza quest’opera, è il 1906. Nello stesso anno, a poche settimane di distanza, dipinge un altro quadro fondamentale. È un autoritratto.

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Paula Modersohn-Becker è in piedi, nuda fino ai fianchi; al collo indossa una collana d’ambra, come in altri suoi autoritratti. La tonalità dominante è il giallo, ma la testa è molto più scura del resto del corpo, quasi fossero due entità distinte, l’assemblaggio di due individui diversi. La donna scruta l’osservatore con sguardo curioso; le braccia circondano il ventre rigonfio, in un gesto che sembra a tratti protettivo, a tratti dimostrativo. Nella storia dell’arte, si tratta di una prima volta: la prima volta che una donna si dipinge nuda, e per di più incinta. Non si sa se Modersohn-Becker fosse consapevole di aver fatto qualcosa di inedito. La scelta di ritrarre se stessa, in realtà, pare che avesse anche motivi economici: le modelle costavano, e lei era sempre al verde. Tuttavia era interessata allo studio del nudo femminile: da qui la scelta di fare di necessità virtù, e usare se stessa come modella. Il connubio perfetto tra pulsione artistica ed esigenze pratiche.

Ho scelto di concentrarmi su queste due tele, entrambe del 1906, perché vi si intersecano tre questioni fondamentali: il nudo femminile, il concetto di autoritratto, e il discorso sulla maternità.

Andiamo per ordine. All’epoca, il nudo femminile era l’arena in cui si combatteva la battaglia dell’avanguardia (si pensi alla sperimentazione pittorica applicata al nudo femminile da parte di Matisse, Picasso, Klimt, Derain, Schiele), ma anche della modernità: per le donne, si trattava di riappropriarsi di sé come soggetti. Il binomio artista-modella era sempre stato la metafora perfetta delle relazioni tra i due sessi: l’uomo padrone dello sguardo e del mondo, che afferma il proprio ruolo attraverso il corpo nudo di una donna raffigurata come mero significante del potere maschile (credo che Autoritratto con modella di Lovis Corinth, del 1903, sia una delle opere che meglio simboleggia lo squilibrio di tale binomio).

Col suo autoritratto, Paula Modersohn-Becker irrompe nel dibattito sul nudo femminile, affermando una sorta di esclusiva sul proprio corpo. Unisce il nudo all’autoritratto, coniugando la sua identità di donna e di artista. Non va dimenticato, naturalmente, che l’autoritratto è sempre un allestimento: non è una rappresentazione immediata, ma la creazione di un sé fittizio. E il sé che allestisce qui Paula Modersohn-Becker è più fittizio di altri: nel maggio del 1906, quando realizza questo autoritratto, non è incinta. Eppure, nello stesso anno, realizza anche la tela della madre col bambino.

In quei mesi, Modersohn-Becker aveva dato una svolta sostanziale alla propria esistenza: aveva deciso di mollare casa (a Worpswede, nella Bassa Sassonia) e marito (il pittore Otto Modersohn) per diventare una grande artista. Si era trasferita a Parigi, in uno squallido appartamento con mobili di fortuna; sul diario scriveva “sono a metà tra la mia vecchia vita e quella nuova”. A metà, cioè, tra la vita di moglie e di artista. Ma è soprattutto sul tema della maternità che diari e lettere mostrano la forte ambivalenza di Modersohn-Becker: è indecisa, non è sicura di voler perseguire una strada a discapito dell’altra. Quelle due tele, e soprattutto l’autoritratto, a me sembrano un tentativo di tenere insieme tutto: è come se testasse su di sé l’abito della maternità, e al contempo rivendicasse la propria identità di artista, padrona dello sguardo, della propria immagine e dell’atto pittorico. È una sperimentazione, una prova di scena, che sembra chiedersi: “come sarei se…?”.

Fatto sta che poi incinta rimane davvero, e saranno proprio le conseguenze del parto a troncare di netto la sua esistenza. Negli ultimi mesi le sue opere stavano andando verso quello che diventerà il cubismo: le figure si facevano più spigolose, come se fossero intagliate anziché dipinte. Paula Modersohn-Becker, però, al cubismo non approderà mai: muore nel 1907, proprio nell’anno in cui Picasso osserva le maschere africane e si rende conto di poter dipingere un volto da diverse angolazioni contemporaneamente. Anche Paula Modersohn-Becker andava in quella direzione. Peccato che, a differenza di Picasso, lei non ci arriverà mai. Schade, appunto.

È da lì che parte Marie Darrieussecq, creando una biografia, Essere qui è uno splendore, che unisce rigore e lirismo, in un continuo andirivieni tra pittura e scrittura – ma anche tra poesia e scultura, dato che intorno a Paula Modersohn-Becker gravitavano anche Rilke, Clara Westoff e Rodin. Uno degli aspetti più interessanti del libro è il fatto che Darrieussecq riesce a calibrare la forma sul contenuto: sa di usare un medium, la scrittura, che non è quello dell’artista di cui sta narrando la vita. E così decide di mettere insieme dei frammenti, senza seguire una narrazione lineare: sembra quasi procedere per immagini, come ha sempre fatto Paula Modersohn-Becker. E quello che si compone a poco a poco è il mosaico di un’esistenza umana e artistica, a cui Darrieussecq vuole rendere giustizia. Peraltro, il suo impegno verso un più ampio riconoscimento dell’opera di Modersohn-Becker è anche sfociato in una mostra: «ho scritto questa biografia mentre preparavo l’esposizione “Paula Modersohn-Becker” al Museo d’arte moderna di Parigi. … Scrivere, mostrare, era per me lo stesso atto d’amore». Prima retrospettiva dell’artista in Francia, la mostra è rimasta aperta per sei mesi, raggiungendo un pubblico di due volte superiore alle aspettative. Nel settembre del 2024, anche la Neue Galerie di New York le ha dedicato un allestimento, e prima ancora, alla fine del 2023, le sue opere sono state esposte a Bucarest. A Brema è stato aperto il Paula Modersohn-Becker Museum, primo museo interamente dedicato a un’artista donna.

In Italia per ora è arrivato il libro di Darrieussecq. Speriamo che presto arrivino anche le tele di Modersohn-Becker.

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