Federico Novaro. Love Song

13 Aprile 2015

Di matrimoni gay in Italia si continuerà a parlare ancora per cento duecento forse trecento anni, quindi non giunge tardi questa recensione al libro di Federico Novaro (Love song. Storia di un matrimonio, Milano, Isbn, 2014, pagine 135, euro 12,50, e-book 6,99). Arriverà prima la chiesa cattolica a permettere ai propri preti (intendo a quelli eterosessuali) di sposarsi che non lo stato italiano (laico) a consentirlo a due gay. Dunque questo è un libro – meriti propri a parte – destinato a durare a lungo, molto a lungo. Qui poi parliamo di due libri in uno e, se la scelta estetica può essere discutibile, farete davvero un affare, a comprarlo. Il famoso due al prezzo di uno.

 

Il primo libro racconta la storia, sia concreta che sentimentale, di un matrimonio (a New York, ovviamente) arrivato dopo una lunga convivenza (in Italia). Piacerà, agli amanti del genere. L’amore è davvero uno solo, mille e uno soltanto, contemporaneamente. C’è dunque uno dei due che vorrebbe sposarsi, l’altro che neanche a sentirne parlare, poi è proprio questo secondo che arriva al fatidico «vuoi sposarmi?». Emozione, commozione, violini e «il profumo del viburno» (sì, una frase che secondo me andrebbe proibita per legge, ma che all’autore piace molto, tant’è che la scrive non una ma più volte, e l’autore ha i suoi inalienabili diritti, tranne quello di sposarsi). Poi dirlo agli amici, alle famiglie, la cerimonia, eccetera. Ma – intrecciato a questo primo libro – ce n’è un secondo, che personalmente raccomanderei a tutti, ma proprio a tutti. Perché risponde in modo preciso, intelligente, comprensibile anche a Giovanardi (no, Giovanardi sarebbe pretendere troppo, ma anche ai sassi sì) perché il matrimonio gay (egualitario, più precisamente) sia un diritto non solo importante ma indiscutibile. E risponde a tutte, ma proprio a tutte, le obiezioni che – contro questa posizione – continuamente sentiamo ripetere, sfaccettate lungo l’intero «arco costituzionale» e oltre. Da quelle più rozze alle peggiori (che non sono quelle più rozze, anzi) quelle cioè di chi – quintessenza dell’ipocrisia e, se permettete, della presa per il culo – dice: ma come, voi che siete orgogliosi della vostra diversità, che volete affermare la diversità come valore, volete diventare «uguali» a tutti gli altri? Ma come, voi che siete anni luce più avanti, volete un armamentario così vecchio e fuori moda come il matrimonio? Ma come, volete il matrimonio adesso, quando gli etero hanno smesso di sposarsi? Insomma, quelli che – potendo godere pacificamente di questo diritto – si permettono di chiedere agli omosessuali di andare non si sa bene dove senza passare dal via, pretendono dagli omosessuali di indicare magari a tutti una via nuova, rivoluzionaria, mantenendoli però in una condizione di inferiorità intollerabile. Le infinite Maria Antonietta che ancora oggi osano, senza pudore osano rispondere «non hanno pane? mangino brioche».

 

Su questo argomento, in questo libro non c’è domanda intelligente o stupida, in buona o in mala fede, cattiva o soavemente svagata che non abbia una risposta precisa, sintetica, convincente. E non solo sul matrimonio, ma anche su altri «piccoli equivoci senza importanza» che di importanza ne hanno moltissima: i figli, il potere delle parole, la stupidità del nostro dire e pensare, ad esempio, su attivo e passivo, o sulla monogamia, idee così radicate, così dementi e ideologiche (nel senso letterale, una «interpretazione» ideologica appunto delle cose che riesce a essere più forte dell’esperienza che ne facciamo costantemente) da andare al di là persino dei luoghi comuni e della semplice ignoranza.

 

Spero di avervi convinto a comprare questo libro, o almeno a farvelo prestare, a prenderlo in biblioteca, che è lo scopo di ogni recensione che si rispetti. Avrete intuito che non vi ritroverete per le mani il capolavoro perfetto, ci sono cadute, anche non lievissime, secondo me. Ma ci sono perle. Ve ne regalo una, che vale l’intero testo (le altre le scoprirete solo… leggendo): «Penso che il matrimonio sia una questione d’amore ma molto una questione di morte».

 

 

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