Freak Antoni: una questione di vocali

23 Maggio 2014

Questo pezzo verrà letto dall'autore in occasione dell'incontro Gli altri Ottanta organizzato da Agenzia X all'interno di InEdito 2014 a Macao, domani, sabato 24 alle 21.00. All'incontro che prende spunto dal libro di Livia Satriano, Gli altri Ottanta (Agenzia X, 2104), interverranno, con performance musicali e letture: Federico Fiumani, gianCarlo Onorato, Johnny Grieco, MisS xoX, Carlo Casale e Steve dal Col (Frigidaire Tango), Ivan Carozzi, Ariele Frizzante, Massimo Giacon, Roberto Manfredi, Marco Philopat, Oderso Rubini, Livia Satriano

 

 

Conosco pochissimo Freak Antoni. Tantomeno gli Skiantos. Lo conosco quasi per sentito dire. Lo intuisco come chiunque abbia letto una storia di Andrea Pazienza o di Filippo Scozzari o qualche cronaca della Bologna del Dams o dell'arrivo dei carri armati in via Zamboni l'11 marzo '77. Non m'interessa il rock demenziale. Mi ha sempre insospettito. Però il 12 febbraio scorso, quando su internet ho letto la notizia della morte, sono stato male. Molto più di quanto avrei pensato.
Ho cominciato a rivedermi le sue interviste, specie quelle recenti. L'ho guardato in faccia. E mi ha fatto una grande tenerezza.


Aveva sul viso quel calco, quell'impronta indescrivibile eppure immediatamente riconoscibile che lascia l'eroina sul volto umano dopo anni e anni di quotidiano lavoro certosino di spatola e raschietto. Tu sei argilla e l'eroina ti manipola con le sue belle mani di donna e la sua piccola spatola fragile che ti scava lenta e gentile. Il colore della carne diventa simile a quello della pelle di daino che usiamo per pulire il vetro della macchina. Il teschio affiora con delicatezza sotto la pelle come se cercasse la luce tenera del sole. C'è qualcosa di afrodisiaco e famigliare, per me, in queste facce prosciugate dall'eroina.


Vengo da una città del centro-nord che ha dato molto al culto dell'eroina. Vivo a Milano da molti anni ma è come se ogni giorno continuassi a sopraggiungere da quella città a Milano. Una volta mi dissero che Andrea Pazienza venne a comprare la roba da noi. In una delle nostre piazze e giardinetti. Da uno dei nostri spacciatori seduti su una panchina di fronte a una Panda. Un ventiduenne con una pallina nelle mutande. C'era una volta un giovane tossico, uno dei primissimi, forse il primo in assoluto a impugnare la spada nella mia città. Il primo a stendere sotto l'ago il suo braccio divino. Ne ho un ricordo vaghissimo, remoto, perché ero molto piccolo. Fumava e aveva un po' di barba e le braccia lunghissime e come tutti i tossici sembrava Gesù Cristo con i jeans. Gli piaceva disegnare e “Le tre stimmate di Palmer Eldritch” di Philip Dick. Dicono che da qualche parte su un muro ci sia ancora un suo disegno. Lo vidi svoltare un angolo e qualcuno mi disse: “lo sai chi è quello? E' Parolini”.

 

In quelle stesse strade abitava Barbara. Io avevo dieci anni, forse alla radio davano Lucio Dalla o 'Firenze Santa Maria Novella' o 'Per Elisa', e io le guardavo il didietro, perché aveva un grande bellissimo didietro parlante che mi metteva sottosopra e catturava i miei occhi verdi. La vidi una mattina d'estate scendere la strada dove vivevo.

 

Mi salutò con un sorriso e uno sguardo maliziosi e cafoni superandomi e mostrandomi quel didietro gommoso di cui era fiera e consapevole ogni momento specie nel sole di quel mattino. Barbara fu un'altra di quella prima generazione di tossicodipendenti. Un giorno qualcuno mi disse, per spiegarmi che c'erano stati un prima e un dopo nella cultura e nella storia del consumo di eroina, che Barbara apparteneva a quei primissimi con i capelli lunghi che come in una fiaba si bucavano in cerchio facendo girare la spada. Lei apparteneva a loro, che appartenevano a lei, e insieme in cerchio appartenevano alla roba. Tra le siepi di un giardinetto pubblico o nella cameretta di una casa borghese. Quella era la prima generazione. Come una setta. Prima dell'HIV. Il figlio dell'attore Enrico Maria Salerno a vent'anni aveva già perso tutti i denti.


Ho ascoltato una delle tue ultime canzoni, Freak. Dici “Fammi passeggiare sulla porcellana dei tuoi denti”; dici “meraviglia golosa” e “ho visto l'arcobaleno”. Dici “più calda di te non è possibile”. Ci metti uno zucchero raro che si ottiene solo distillando per tutta la vita. Indossi uno smoking nero e una spilletta “I love Satie”. Il papillon ti ha sempre donato. Poi ho cliccato su un altro video tra i related. Ci siete tu e una giornalista. Sei fatto. O forse no. Comunque ogni tanto ti cascano un po' gli occhi. Porti le bretelle buffe e il taschino della camicia è pieno di cose: una penna, gli occhiali, una custodia. La tua faccia sembra un piccolo asciugamano da bidet. Le bretelle azzeccano con il tuo humour. Sei aristocratico. Sei supersimpatico. La telecamera fa su e giù sulle spalle dell'operatore. Sembri cercare il respiro in fondo al tuo corpo profondissimo per trovare laggiù nella tua sapienza il tempo comico e la battuta più brillante. E ti viene facile, facilissima. Sei colto, infatti, hai fatto il Dams, il '77. Sei di Bologna. Tra la parola 'eroina' e la parola 'ironia' c'è solo un piccolo cambio di vocali che a te riesce benissimo.

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