Joseph Conrad: Cara zia

13 Dicembre 2025

Delle lettere che Joseph Conrad scrisse alla “zia” Marguerite Poradowska, una soprattutto è notissima agli studiosi dello scrittore polacco, quella del 24 aprile 1894: “Mia cara Zia, ho il dolore di parteciparvi la morte di M. Kaspar Almayer, che ha avuto luogo questa mattina alle ore 3”. La lettera, che indica l’ora in cui è stata scritta, le 11 del mattino, annuncia così la fine del lavoro di stesura del suo primo romanzo, La follia di Almayer. Il volume Joseph Conrad. Lettere a Marguerite Poradowska, curato da Giuseppe Mendicino, che è anche autore della puntuale e illuminante introduzione, raccoglie tutte le lettere di Conrad alla “zia” Marguerite, precedute dalle tre scritte allo “zio” Alexandre Poradowski, cugino della nonna materna e marito di Marguerite Gachet (che quindi non era la zia, né lui lo zio), la cui figura è presentata nell’accurata postfazione di Anna Lina Molteni – che è anche la traduttrice delle lettere, scritte in francese.

Nella prima, brevissima, datata 4 febbraio 1890, Conrad annuncia alla “cara Zia” il suo imminente arrivo a Bruxelles. In quella successiva fa riferimento, come si legge nella nota di Mendicino (che nelle numerosissime note fornisce accuratamente gli elementi necessari a collocare le lettere nel loro contesto), al funerale dello “zio” Alexandre, avvenuto il 10 febbraio, pochi giorni dopo il loro incontro e la partenza di Conrad per Varsavia; e le dice di essere accanto a lei “con il pensiero e con il cuore, partecipando, sebbene da lontano,” al suo dolore.

Quella prima lettera, con l’annuncio del suo arrivo a Bruxelles, fa immediatamente scattare nella mente del lettore che ha familiarità con l’opera di Conrad, il romanzo Cuore di tenebra, il suo capolavoro, basato sulla sua esperienza di capitano di un battello fluviale al comando del quale era risalito sul fiume Congo verso l’interno remoto della colonia belga. Nell’aprile del 1890 Conrad scrive alla “cara Zia” una lettera in cui la ringrazia per l’intenzione di “occuparsi dei suoi progetti in Africa” e un mese dopo, in viaggio verso il Congo, da Tenerife le scrive che “l’elica gira e lo porta verso l’ignoto”, quella parte dell’Africa, come si legge in Cuore di tenebra, che era uno spazio lasciato in bianco sulla carta geografica del continente africano che lo aveva affascinato da bambino. L’ignoto si rivelerà micidiale, una ferita nel corpo e nell’animo che solo una decina di anni dopo sarà “risanata” nel romanzo in cui Conrad trasfigurerà la sua esperienza nell’invenzione narrativa.

Nell’introduzione Mendicino (che è anche autore di una biografia di Conrad, Una vita senza confini: qui la recensione) fa notare come l’entusiasmo di Marguerite rispetto all’attività commerciale “portatrice di civiltà” sia naturalmente visto con affettuosa ironia da parte di Conrad, che, tuttavia, almeno in parte era inizialmente inconsapevole della realtà dell’infame impresa coloniale belga. Ben presto se ne rese poi conto e ne illustrò l’orrore sia in Cuore di tenebra e sia, in tarda età, nel saggio La geografia e alcuni esploratori, dove definì il colonialismo belga “la più ignobile gara al saccheggio che mai abbia disonorato la storia della coscienza umana”.

Nella lettera che scrisse a Marguerite dopo il suo ritorno a Londra nel febbraio del 1981 non c’è alcun cenno al “saccheggio” e alla sua infamia, ma soltanto all’effetto fisico di quella esperienza, e cioè ai malanni che ne seguirono, l’infezione che gli colpiva l’uso delle gambe, l’attacco di malaria, le riprese e le ricadute, che proseguirono fino alla fine dell’anno, quando, finalmente ristabilito, le scrive che aveva ottenuto il posto di primo ufficiale sul clipper Torrens pronto a partire per l’Australia. D’altronde, come avrebbe potuto dire alla “zia” di quella tremenda realtà? Marlow, il suo alter ego di Cuore di tenebra, dice che le donne devono essere lasciate all’oscuro delle brutture di questo mondo, devono esserne protette lasciandole lontano da esse per poter vivere serenamente nel conforto delle mura domestiche. Questo, verosimilmente, valeva anche nei confronti della “carissima zia”.

Le numerose lettere a Marguerite, che qui compaiono per la prima volte tutte quante nella traduzione italiana, furono in gran parte scritte tra il 1890 e il 1895. Altre, meno frequenti, vanno dal 1900 al 1913 (più un’ultima lettera del 1920). Quelle del primo gruppo sono di grande interesse sia per gli studiosi che per il comune lettore, perché riguardano il periodo in cui il Conrad ufficiale della Marina mercantile inglese intravide la possibilità di diventare il Conrad romanziere, anche se in realtà quasi nulla viene detto del suo lavoro di scrittore. È soltanto nel gennaio del 1894 che fa cenno alla sua “cara Zia” della “storia di Almayer”, il romanzo a cui aveva incominciato a lavorare già un po’ prima dell’inizio della corrispondenza con Marguerite, a cui dice che glielo farà leggere appena l’avrà finito. Il fatto è che Conrad probabilmente temeva di rivelarsi come aspirante romanziere a una donna che già si era affermata come scrittrice di talento, e che godeva di una notevole reputazione letteraria. Quando lui incomincia a scriverle, lei ha già pubblicato due romanzi e altri due ne seguiranno poco dopo nel 1893 e nel 1984. Per Marguerite essere scrittrice era ciò che dava senso alla sua vita, tant’è vero che alla morte del marito aveva deciso di non risposarsi per potersi dedicare senza vincoli e legami all’attività letteraria.

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Joseph Conrad.

Conrad, di nove anni più giovane di lei, ne subisce il fascino, non solo per la sua bellezza, ma anche per la sua cultura e felicità di scrittura, che in più di un’occasione loda con parole non di circostanza, ma dettate da una convinzione profonda. Con zia Marguerite non vuole “scoprirsi”; e ancora dopo avere finito il primo romanzo, in ansiosa attesa di ricevere una risposta positiva dall’editore a cui aveva mandato il manoscritto, le scrive (il 12 luglio 1894) che la scrittura del romanzo a cui aveva lavorato per anni non poteva “che essere un episodio senza conseguenze nella sua vita”. Dice così per timore del rifiuto dell’editore (mentre il romanzo di lei, Marylka, è piaciuto al lettore della casa editrice), un rifiuto che quindi dichiarerebbe la modestia del suo romanzo e del suo valore di romanziere? O forse perché non era ancora sicuro di voler lasciare il lavoro in marina per diventare uno scrittore?

L’atteggiamento di Conrad cambia però dopo che l’editore ha accettato il romanzo: le sue osservazioni di carattere letterario diventano più frequenti, così come i pareri a proposito del libro su cui Marguerite sta lavorando; e le confida anche, nel dicembre del 1894, di avere provato a mettere in cantiere un nuovo romanzo, anche se “la penna agonizza nella mano”. Le lettere scritte nel 1985 non sono molto frequenti e spesso brevi, ma traspare anche una qualche (assai relativa) espansività nei confronti della “cara zia”. Ma dopo la lettera datata 11 giugno 1895 per cinque anni altre non ce ne sono, fino a quella del 16 aprile 1900. Non ce ne sono giunte perché è più che probabile che siano state bruciate per volontà di Conrad, in particolare quelle della seconda metà del 1985, che forse contenevano commenti e confessioni sul suo prossimo matrimonio con la ventiduenne dattilografa Jessie George, che aveva conosciuto l’anno prima. O forse perché, ipotizza Giuseppe Mendicino, Conrad aveva chiesto a Marguerite di sposarlo, “ricevendo un diniego motivato da ragioni di convenienza sociale”; ma è anche possibile che diniego non ci fu, in quanto, a tale proposito, “i dubbi erano di entrambi”. Tale ipotesi si basa sulla possibilità che l’ammirazione per la “cara zia” si fosse col tempo trasformata in un sentimento amoroso, così come sembrava allo zio di Conrad, che gli aveva detto di porre fine a quel suo “gioco” avventato. Se anche non accettiamo l’ipotesi della proposta di matrimonio a Marguerite, possiamo tuttavia ritenere che lo zio avesse colto nell’atteggiamento di Conrad qualcosa di molto più privato rispetto all’ammirazione che con parole formali manifestava nelle sue lettere.

I fatti comunque sono questi: Conrad conosce Jessie nel 1894, le possibilità di un matrimonio con lei prendono corpo nell’anno seguente, dopo il giugno del 1895 non ci sono lettere (che non potevano non esserci, ovviamente, e che sono state eliminate) e nel 1896 viene celebrato il matrimonio tra Conrad e Jessie. Se il motivo dell’assenza di lettere dal 1895 fino all’aprile del 1900 non è il mancato matrimonio con la cara zia, allora è probabile che lo sia il matrimonio con Jessie. Non abbiamo lettere della cara zia che gettino una seppur minima luce su questo punto. E neppure su altri, perché di missive di Marguerite ne abbiamo comunque soltanto tre. Due furono scritte all’inizio del loro rapporto epistolare e una terza, finora inedita, scoperta da Mendicino nella Conrad Collection dell’Università di Yale, datata 16 aprile 1907, ci presenta una Marguerite decisamente “zia”, che chiede a Conrad di dire a Jessie che l’abbraccia di tutto cuore, lei e i “suoi due cari, i cari Borys e Jack Alexandre”, i figli di Conrad.

Qualunque sia il motivo per cui dopo quella del giugno 1895 non ci sia traccia di altre lettere di Conrad, quelle che scrisse successivamente, a partire dal 1900, sono caratterizzate da un tono (che trova conferma in quella di Marguerite scoperta da Mendicino) che certifica un rapporto di serena vicinanza tra loro. Le lettere sono molto meno frequenti, come è comprensibile, perché Conrad, ora scrittore affermato (e padre di due figli), aveva soprattutto rapporti con critici, editori, altri romanzieri. Il confronto letterario con Marguerite non poteva non lasciare il posto, in grandissima parte, a quello con i suoi interlocutori “professionali”.

Tuttavia la pubblicazione delle lettere alla cara zia ha il merito di mostrare come, in diverse occasioni, i romanzi di Marguerite possano essere stati fonte di suggerimento per alcuni aspetti di quelli di Conrad. E ha anche il merito di richiamare l’attenzione sulla produzione letteraria di Marguerite Gachet, che, come Anna Lina Molteni illustra in modo convincente nella seconda parte della postfazione, è stata una scrittrice, anche se non eccelsa, di valore superiore a quello che, dopo i plausi ottocenteschi, ora le viene attribuito. 

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