Questo non è il paese del dramma

28 Novembre 2013

La capacità di scoprire, sostenere e incoraggiare la nascita di nuovi talenti è una delle responsabilità di un paese in buona salute. Eppure l’Italia – se si eccettua il successo che non conosce crisi dei talent show televisivi – non sembra nutrire particolare interesse per questo processo.

 

Se le conseguenze di tale scarsa lungimiranza sono ben visibili in ogni settore, dall’arte fino alla ricerca universitaria, non stupisce che a farne le spese sia anche un ambito considerato marginale come la drammaturgia teatrale: i nuovi autori faticano a emergere, respinti da un sistema che non è pronto ad accoglierli e spesso privi di sostegno finanziario e formativo.

 

Pochissime le istituzioni capaci di intercettare il nuovo e farsi carico della diffusione di creazioni contemporanee: tra queste lo storico Premio Riccione per il Teatro, fondato nel 1947, ha il merito di offrire non solo un riconoscimento, ma anche un aiuto concreto alla messa in scena dei testi (oltre al premio di cinquemila euro, è assegnato un incentivo alla produzione di altri ventimila per un progetto scelto dall’autore). Quasi tutti i nomi più significativi della nostra non fecondissima drammaturgia sono passati da lì: da Antonio Tarantino a Fausto Paravidino fino a Mimmo Borrelli e Michele Santeramo. Nelle ultime settimane si sono levate voci di preoccupazione sulle sorti del premio e sulla chiusura dell’Associazione che presiede alla manifestazione (sul blog “Controscene” e sulla rivista online “Teatro e Critica”): la soppressione di una simile fucina di talenti sarebbe inquietante sintomo di un sistema che, taglio dopo taglio, si chiude e si restringe fino al collasso.  

 

Ph. Luca Rossetti

 

Altrettanto paradigmatica, ci sembra, è la storia professionale del vincitore dell’ultima edizione, Davide Carnevali. Classe 1981 e un dottorato in Teoria del teatro al termine, Carnevali ha compreso presto che per rendere quella di drammaturgo una reale professione doveva lasciare Milano e l’Italia. Oggi vive tra Barcellona e Berlino, e ha visto i suoi testi rappresentati persino a Tallin in Estonia. Se gli si chiede qual è stata l’esperienza decisiva nella sua formazione professionale non ha dubbi: “L’incontro con Yvonne Büdenhölzer e con il Theatertreffen nel 2009 mi ha davvero aperto un mondo. La sezione dedicata alla drammaturgia – che si chiama Stückemarkt – ha il merito non solo di selezionare nuovi autori, ma anche di seguirli in tutto il loro percorso”. Dall’incontro con il noto festival berlinese è nata infatti nel 2009 la produzione di Variazioni sul modello di Kraepelin (il testo si è aggiudicato nello stesso anno anche il Premio Marisa Fabbri a Riccione), ed è iniziata una collaborazione costante: tra le opportunità offerte dallo Stückemarkt varrà la pena menzionare almeno la produzione di radiodrammi per la radio tedesca e la presentazione di un nuovo testo (Sweet Home Europa) presso il Festival Internazionale di Letteratura di Berlino.

 

Davide Carnevali ama la capitale tedesca non solo per le occasioni professionali: “È anche il contesto teatrale e culturale a essere estremamente stimolante. Non credo all’autore che sta chiuso nella sua torre d’avorio senza farsi condizionare da ciò che ha intorno. E Berlino in questo senso è davvero interessante. Per la stessa ragione amo molto Buenos Aires, dove in passato ho avuto occasione di insegnare drammaturgia”.

 

E l’Italia? Quali sono le criticità del nostro panorama? “Il primo problema che vedo – spiega Carnevali – è il profondo scollamento tra teatro e tessuto sociale ed è soprattutto su questo che bisognerebbe agire. È una questione che riguarda le istituzioni, certo; ma è una responsabilità anche dei drammaturghi. Siamo noi a dover riportare il teatro al centro del dibattito sociale e politico”. Non si tratta solo della scelta dei temi: “La drammaturgia, attraverso la sperimentazione di nuove strutture formali, presenta forme di lettura della realtà non univoche”.

 

Umberto Orsini

 

Tra gli italiani capaci di aprire e decostruire i linguaggi della scena e i sistemi di pensiero, Carnevali nomina Romeo Castellucci: “Normalmente non viene considerato un drammaturgo, ma di fatto lo è. Si tratta di una delle scritture sceniche più innovative in Italia”.

 

La ricerca di una relazione spiazzante tra forma e contenuto – che interessa Carnevali come studioso di teatro – incide fortemente anche sulla stesura dei suoi testi: Variazioni sul modello di Kraepelin affronta per esempio il tema della frammentarietà della memoria causata dalla malattia attraverso un racconto non lineare, segmentato, ripetitivo. I personaggi coinvolti, un padre malato di Alzheimer e un figlio alle prese con cure e sopportazione, rivivono infinite volte lo stesso dialogo con sfumature differenti. Quale versione del racconto è veritiera? Cosa è stato immaginato o cosa invece vissuto? Per spiegare il gioco di illusione ottica che caratterizza molte delle sue opere, Davide cita i disegni di Escher: anche le sue storie, come le litografie del grafico olandese, sovrappongono diverse superfici tematiche e spezzano l'ordine della disposizione.

 

 

Ritratto di donna araba che guarda il mare, il testo ancora inedito e mai rappresentato che ha vinto l’ultima edizione del Premio Riccione, è una riflessione non scontata su migrazione e scontri tra culture e allo stesso tempo un’esplorazione della possibilità del tragico nella contemporaneità. Un uomo europeo, solo in una città senza nome del Nord Africa, incontra una giovane donna: i personaggi parlano lingue diverse, ma per lo spettatore "sono la stessa lingua" (recita così la didascalia d'apertura). La comunicazione appare dunque costantemente precaria, quando non controproducente: ed è proprio attraverso l'utilizzo di un linguaggio sfuggente e scivoloso che lo scontro-incontro tra culture rivela tutta la sua ambiguità.

 

Grazie al Premio Riccione possiamo sperare che questo interessante Ritratto venga prodotto in Italia e nei prossimi mesi non mancherà l'occasione per incontrare in patria il lavoro di Carnevali: a fine marzo Saccarina (un testo che racconta di attori e di disoccupazione, scritto nel 2005) sarà rappresentato al Franco Parenti di Milano. Si tratta di un autore – assicura la giuria del premio, presieduta da Umberto Orsini – dallo sguardo "raffinato e personalissimo"; ma sulla cui crescita professionale l’Italia ha pochi, pochissimi meriti.
 

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