Scialoja trompe l’oeil

16 Dicembre 2023

L’enciclopedia è il suo lemmario, questo l’ho capito in un’infelice occasione di alcuni anni fa.

Mi era stato chiesto di coordinare la sezione dedicata all’arte contemporanea per una “enciclopedia delle arti”. Mi ci misi di buzzo buono sacrificando i mesi a me più cari (gennaio e febbraio: la tenue tregua tra un semestre di lezione e l’altro) e ne cavai fuori un lungo, lunghissimo elenco di voci e relativi possibili redattori. Che i committenti poi mi fecero dimezzare, e poi dimidiare ancora. Finché capii quale ingorgo paraministeriale si celava sotto quel progetto; tosto lo abbandonai. L’enciclopedia naturalmente la fecero lo stesso: nessuno è indispensabile. Ne venne fuori una cosa secondo me abbastanza spaventosa, in cui il peso scientifico (lemmi appaltati a stagisti e famigli, copiati-e-incollati) appariva inversamente proporzionale a quello della rilegatura notarile – un denso e coriaceo tegumento di pelle, risvolti, fregi, dorature, borchie e veline. Chissà quanti l’hanno non dico letta, ma almeno aperta (un’enciclopedia? Ai tempi di open access, tutorial, instagram, wikipedia?). Quella volta non venni pagato, e questo un po’ mi dispiacque, ma queste sono cose che capitano. Ho però ancora con me da qualche parte un excel con tutti quei lemmi. È un’enciclopedia in potenza, se non in atto; a me sta bene così, e poi chissà. 

Intanto però Electa ha messo fuori questo format editoriale che nel corso degli ultimi anni ha inanellato varie e assai disparate uscite monografiche (da Gianni Rodari ad Alberto Savinio; da Saul Steinberg al recentissimo Alberto Arbasino). La collana si intitola infatti “Enciclopedie” anche se ormai per tutti, siamo all’ottavo volume, è “A-Z”, ed è un buon segno. Parlare in enciclopedie al plurale significa accettare alcune cose piuttosto importanti. La prima è l’impraticabilità stessa del singolo dispositivo enciclopedico: l’antica pretesa illuminista di comprimere e talora di inscatolare lo scibile entro un quadro di riferimento organico, misurabile. A fronte del pluralismo (non solo estetico), di una realtà liquida, fluida, incorporea, atomizzata o quantistica che dir si voglia (il mondo non è come appare, né tantomeno come lo descriviamo) meglio accettare il destino anarchico e l’indirizzo ondivago, pluridirezionale, pago del suo stesso perplesso girovagare nomadico in cerca d’uno straccio di “senso”. Accettare così l’enciclopedia come luogo della disperazione (è un po’ quello che ha insegnato Gianfranco Baruchello con la sua Enciclopedia possibile: il senso innescato da un programmatico non-senso) e accettare le enciclopedie non come moltiplicatrici di saggezza bensì piuttosto come macchina inutile (ancora una volta insomma, c’entra Duchamp e con lui il vecchio catalogo curato da Szeemann, Le macchine celibi)

Cosa c’entra questa lunga premessa con l’A-Z dedicato a Toti Scialoja per le cura di Eloisa Morra? C’entra perché alcuni mesi fa avevo dato spazio al Giornale di pittura del pittore e scrittore romano – un referto piuttosto colossale di scrittura autobiografica, ispessita come solo può esserlo un’introspezione intrecciata alla dimensione pubblica dell’autore.

E c’entra perché, ancora una volta, l’enciclopedia la fa il lemmario. Che naturalmente è la prima cosa che si scorre, in apertura di questo volume. L’occhio mi è caduto sulla voce “Rue de la Tombe Issoire” e mi ci sono precipitato a leggere. La ragione è personale: io di lì ci passavo quando rientravo nella residenza studentesca di Boulevard Jourdain. Ammiravo a naso in su quegli edifici modernisti, col cemento scrostato, gli infissi in ferro rugginoso con lo stucco screpolato, le vetrate altissime all’ultimo piano, fantasticando di possibili abitazioni, che ne sapevo, di un Soutine etilista, di un Artaud oppiomane, di un Gide o un Cocteau pederasti. E invece no, che sorpresa! Ci teneva studio proprio lui, il mite Scialoja, in giorni abbastanza cruciali nel dopoguerra parigino. Ecco, è un bene che le enciclopedie e gli A-Z di tal fatta funzionino così. Devono innescare cortocircuiti, attivare relazioni di significato; non confermare il già dato e il già noto. Presa così, l’enciclopedia diventa una cartografia impropria, un meccanismo possibile di mondi possibili, una lista di sentieri che si perdono nel bosco, per poi ritrovarsi, grazie anche certe voci di raccordo che aiutano a tenere insieme il tutto senza perdere la goduria del particolare. Questo A-Z insomma dice molte cose su Scialoja smontando e rimontando quell’immagine solipsistica ed egoriferita che non di rado è il costrutto dell’io onnisciente, anche quando perplesso, dell’estensore di ogni diario.

Alla fine, mi dico, questa possibilità è dimostrata meglio che si possa da quell’astuta zanzara stampata in un angolo del cofanetto e che tutti i lettori, sono certo, avranno scambiato per quello che non era (il libro mi è giunto al termine di un’estate umida e impietosa di caldo, ero davvero convinto fosse un insetto intrappolato dentro la plastificatrice). E invece no, quel trompe l’oeil è davvero un trompe l’esprit, un inciampo didattico, e questo per fortuna nessuna enciclopedia, presa al singolare, ce lo può mettere tra i piedi.

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