Speciale Jeff Wall | Dal latte alla fontanella romana

4 Giugno 2013

Uno dei primi testi di Wall era intitolato “Fotografia e intelligenza liquida”, in cui parlava della “intelligenza liquida”, fluida, senza forma, complessa, incalcolabile, esplosiva della natura in contrasto con il carattere vitreo e relativamente “secco” della fotografia, in cui l’acqua, i liquidi, giocano una parte essenziale – nel lavaggio, fissaggio e così via – ma che deve essere tenuta attentamente sotto controllo e non deve traboccare. L’acqua e i liquidi allora per Wall rappresentano la preistoria della fotografia, degli “arcaismi” che la connettono al passato, al tempo, alla memoria, attraverso i processi di produzione antichi, la parte chimica e alchemica del processo fotografico.

 

Jeff Wall, Milk 1984

 

Riferiva questo discorso a sue immagini come Milk, 1984, in cui un ragazzo schiaccia e fa esplodere il latte da un contenitore. Erano gli inizi dell’era della digitalizzazione della fotografia e Wall scriveva: “Per quanto mi riguarda, la cosa non è necessariamente né un bene né un male, ma, se avverrà, in fotografia si determinerà una ricollocazione dell’acqua. Eccola ora (Basin in Rome 1), a distanza di vent’anni, appunto in altra chiave. Ora evidentemente la digitalizzazione è un dato di fatto e Wall stesso ne fa ampio uso.

 

Jeff Wall, Basin in Rome 1

 

Che cos’è dunque questa fontanella romana che ora ci ripropone? “Arcaica” lo è anch’essa di sicuro, ma invece che esplodere si raccoglie in un bacino che assume la forma di un grande occhio: dal processo di produzione l’acqua si è spostata nell’umore vitreo dell’occhio, nella funzione dello sguardo.

 

Il testo sopracitato finiva con un rimando al pianeta oceanico di Solaris, studiato dagli umani ma a sua volta intelligenza aliena che studia gli umani.

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