Yo Soy 132 e il futuro della democrazia messicana

19 Settembre 2012

Antonio Attolini, studente universitario di 22 anni, è uno dei leader giovanissimi del movimento Yo Soy 132, movimento sociale messicano scaturito prima e dopo le elezioni presidenziali del luglio 2012. Il loro percorso si sta strutturando a partire da una richiesta di base (la democratizzazione dei media), una fitta rete di relazioni con altri movimenti e intellettuali, manifestazioni pubbliche, oltre a concretissime proposte di legge per il miglioramento della democrazia messicana. Una democrazia corrosa dal narcotraffico e dalla corruzione, con alcune evidenti consonanze con la storia italiana... Queste sono le domande che in un piovoso pomeriggio di luglio ho proposto a Antonio, per offrire maggior luce sul movimento Yo Soy 132.

 

 

 

ALESSANDRO RAVEGGI – Le prime domande che ti faccio sono alcune domande basilari sul movimento Yo Soy 132: come è nato? Come si è formato e quando, il famoso hashtag di Twitter #YoSoy132?

 

ANTONIO ATTOLINI – Il movimento Yoy Soy 132 è nato una settimana dopo la visita di Enrique Peña Nieto alla Universidad Iberoamericana a Città del Messico, una università prestigiosa, riconosciuta e privata, dove gli studenti organizzarono una protesta di rifiuto verso le risposte che il candidato alle Presidenziali in quel periodo stava offrendo, particolarmente al riguardo del noto caso Atenco. Il caso di Atenco, in sintesi, è stata una palese violazione dei diritti umani, che non ha rispettato il principio di proporzionalità dell’uso della forza. Un atto gravissimo occorso nel 2006 in un piccolo paesino messicano, dove si voleva espropriare le terre alla popolazione, e dove la polizia arrivò a trarre sgomento, ad assassinare e stuprare. Da questi presupposti, è sorta la proposta dell’11 maggio 2012, e solo una settimana dopo si sono organizzate altre manifestazioni sotto l’egida YoSoy132, nel cuore della ITAM (università dove mi trovo), l’Università Tecnológico di Monterrey e ancora la stessa Iberoamericana. Nonché al di fuori delle sedi del canale televisivo Televisa Chapultepec e Televisa San Angel [la Mediaset messicana, per intenderci; N.d.T.]. Dai cori di queste manifestazioni, l’hashtag YoSoy132 apparve da subito come una consegna per un’intera generazione. Successivamente si è tenuta la prima assemblea interuniversitaria del 5 giugno, realizzata nella Facoltà di Architettura della Universidad Nacional Autonoma de México (UNAM), a seguito anche di una manifestazione al Monumento de la Estela de Luz nella capitale, e di un incontro pubblico realizzatosi il 30 maggio nelle cosiddette Islas della UNAM – l’enorme cortile della prestigiosa università pubblica messicana – dove si pianificarono 20 tavoli di lavoro. Solo con l’assemblea del 5 giugno il movimento si è però pienamente, diciamo, “istituzionalizzato”.

 

AR – Yo Soy 132 è un movimento che si impegna a affrontare quali nodi tematici?

 

AA – Il movimento si concepisce a partire da una richiesta di democratizzazione dei media, anche se tale democratizzazione ha davanti a sé una agenda molto ampia. Perché, per esempio, noi studenti dell’ITAM consideriamo la democratizzazione dei media in questo modo: le decisioni che prendiamo attraverso un’informazione incompleta possono essere sbagliate, e questi nostri errori di valutazione hanno un costo, un grave costo in termini di vite. Dove paghiamo queste vite? In una agenda sociale come quella che riguarda le giovani generazioni (esempi? Villas de Salválcar nei pressi di Ciudad Juárez, dove gli studenti sono stati assassinati perché confusi con una gang, o nel caso News Divine, dove furono assassinati giovani per un operativo della polizia mal pianificato). Oppure, in un’agenda politica, visto che non esistono meccanismi pubblici di diffusione delle notizie che possano essere discussi e processati attraverso una politica pubblica. Intendo dire che non esistono referendum, alcun plebiscito, alcuna ri-elezione, iniziativa cittadina, candidatura indipendente forte. E ovviamente, parlando in termini di agenda sociale e politica, parliamo anche di una agenda mediatica – di media controllati in particolare (molto à la Berlusconi) da due aziende televisive. C’è la già menzionata Televisa, l’azienda più grande dei paesi iberoamericani, che controlla in Messico il 70% circa dello spettro radio-televisivo. Significa che 7 su 10 televisioni si vedono in un canale di Televisa! E in più esiste Editorial Televisa, che controlla la stampa e non ha certo posture oneste e trasparenti su quello che accade oggi nel Paese. Oltre a Televisa, c’è poi Televisión Azteca, anch’essa molto poco equilibrata... La bandiera del movimento Yo Soy 132 è quindi incentrata sulla democratizzazione dei media, ovvero: che i mezzi di comunicazione debbano essere appunto mezzi per raggiungere fini sociali e politici differenti da quelli che si stanno perseguendo oggi.

 

AR – Esiste una linea teorica, o dei gruppi di pensiero, oppure linee teoriche pregresse di intellettuali, dalle quali sono germinati gli ideali del movimento Yo Soy 132, prima dell’atto inaugurale all’Università Iberoamericana?

 

AA – Quello che stiamo facendo è semplicemente mettere il dito nella piaga in un modo articolato, però non crediamo che il movimento abbia scoperto per la prima volta quel marcio nel Regno di Danimarca, o che abbia scoperto una lista di cose “marce” in Messico. Perché ci sono state molte agende sociali combattute da molti attori prima di noi. Yo Soy 132 porta con sé queste bandiere pregresse ma lo fa a partire degli studenti universitari, che in questo paese sono sempre stati molto reattivi, sebbene ultimamente abbiano vissuto un periodo di letargo molto prolungato. Ovviamente esistono ricerche, seminari, discussioni, punti di vista che si sono profusi durante decadi nel discutere i problemi di crescita zero e bassissimo sviluppo che questo Messico ha vissuto. Non ci stiamo comportando come l’unico interlocutore valido a mostrare delle evidenze di fronte ai politici e al potere, al fine di cambiare la loro condotta: stiamo tessendo alleanze con chi lottava prima di noi.

 

AR – Ancora: se potessi nominare una personalità, un intellettuale o politologo, che possa essere considerato una figura di riferimento del movimento, chi nomineresti? O, altrimenti, si tratta di un movimento più eterogeneo, variegato anche nelle sue linee?

 

AA – Per fare degli esempi, i temi della riforma politica in Messico sono stati proposti già due anni fa da differenti intellettuali nonché studenti, che collaborarono alla nascita del movimento che si chiamava La Reforma Política Ya (Riforma politica Adesso). Per quanto riguarda il sociale, ad esempio nel tema del crimine organizzato, esistono istituzioni come Cauce Ciudadano (Alveo Cittadino), che ha collaborato con giovani di diciotto Stati della nazione [Non dimentichiamo che il Messico è una Confederazione di Stati, N.d.T.]. O ci sono anche professori e intellettuali come Edgardo Buscaglia, che stanno propugnando l’organizzazione di unità di intelligence finanziaria e la costruzione di schemi di prevenzione sociale, non tanto di prevenzione del delitto, per potere fortificare le reti che già esistono. In termini mediatici, poi, c’è Javier Corral, un senatore, o la giornalista Aleida Calleja: persone, tra altre, che hanno discusso differenti agende, e ora sono nostri alleati nella costruzione di un Messico migliore.

 

AR – Quale legame esiste tra il movimento Yo Soy 132 e altri movimenti come la cosiddetta Primavera araba, Occupy Wall Street, gli Indignados, e altri movimenti che sono sorti in tempi recenti?

 

AA – Quello che hanno di simile è che rappresentano una società civile che ha articolato alcune richieste contro un sistema decrepito, ossidato e caduco, un potere che non ha saputo rispondere a queste stesse domande per decadi e che ora sta esplodendo. Ma l’esplosione è anche nelle strade, nell’effervescenza di un cambio politico necessario. Certo, sono contesti differenti, quello di YoSoy132 come Primavera messicana e quelli delle altre “primavere”: le tattiche possono essere simili però le motivazioni sono differenti. Occupy Wall Street, gli Indignados spagnoli e la Primavera Araba non hanno in fondo niente a che vedere con quello che succede oggi in Messico, però c’è sicuramente una sorta di fratellanza, perché sussistono comuni denominatori. Come la proposta di un cambiamento delle istituzioni e della loro maniera di operare.

 

AR – Forse la differenza tra voi e gli altri movimenti risiede nel fatto che siete più concentrati sulla lotta comunicativa che su una lotta materiale, per le strade, chiamiamola brutalmentevecchio stampo?

 

AA – No, stiamo lavorando su entrambi i fronti. Utilizziamo i mezzi che abbiamo a disposizione. In Messico, ci sono quasi un milione e mezzo di utenti Twitter, è un buon numero. Ma siamo stati anche presenti la settimana scorsa a Huexca, nello Stato di Morelos, in un incontro studentesco nazionale, per incontrare e conoscere agli studenti di differenti realtà nazionali, e quindi intavolare un fitto dialogo. Questo fine settimana [14 e 15 luglio 2012, N.d.T] saremo a San Salvador Atenco – praticamente dove tutto questo inizia, con il summenzionato Caso Atenco, dove la grande protesta è sorta – per riconoscerci tra i differenti attori. Quindi, in fin dei conti, siamo tanto nelle strade, nel tessuto sociale reale, quanto in quello dei social network virtuali.

 

AR – Prima hai fatto riferimento ad una possibile “berlusconizzazione” del Messico, o mi sbaglio?

 

AA – Correggo: siamo già berlusconizzati! Emilio Azcárraga, proprietario del Grupo Televisa, è un Berlusconi. Possiede persino una squadra di calcio... Sono due magnati-mostri che uno Stato mafioso ha creato di fronte alla propria incapacità di regolarsi, e che adesso lucrano su quello che dovrebbe essere un bene pubblico ad orientamento sociale, e non lucrativo. Tanto da divenire cause stesse di uno Stato debole. Uno stato debole, che può produrre altre mostruosità del genere.

 

AR – In Italia, sta emergendo una seppur flebile idea di cambiamento generazionale (anche perché la classe politica italiana è per la maggior parte formata da anziani di vedute inattuali). Il cambiamento che propone Yo Soy 132 comporta anche un dibattito fra generazioni, oppure no?

 

AA – Be’, in Italia avete i famosi senatori a vita! Comunque, credo che in Messico ci sia una condizione di solidarietà generazionale. Ovvero, i problemi che oggi affrontiamo sono dovuti all’indifferenza che la generazione precedente ha avuto nel risolverli. Se noi non conserviamo un’attitudine critica e propositiva al riguardo dei problemi che abbiamo oggi – che sono tanto nostri come sono ereditati... – arriverà la prossima generazione a chiederci perché non abbiamo fatto niente. È una generazione che sopraggiungerà tra quindici, venti anni. Io sono nato nel 1990: che cosa ha combinato la generazione degli anni Ottanta, con il boom economico, il boom istituzionale, dove le riforme strutturate da parte del neoliberalismo avrebbero dovuto idealmente portare alla massima efficienza economica del Paese, e provocarono solo marginalizzazione, persone disilluse, esiliate, completamente dimenticate dallo Stato? Ora io – che adesso nel 2012 ho 22 anni – vedo un panorama molto scuro. Per questo stiamo lavorando per risolvere questi problemi ereditati, per iniziare un piccolo sentiero di cambiamento, da consegnare alle prossime generazioni. Quindi, rispondendo alla tua domanda: sì, la questione generazionale si sta fortemente dibattendo.

 

AR – Ritorno a una domanda più generale: qual è lo stato di stato di salute della democrazia messicana?

 

AA – Il Messico non vive una piena democrazia; non esistono fonti molteplici d’informazione per il cittadino, le elezioni non si svolgono mai in un ambiente di piena libertà, non esiste un sistema di scrutinio che permetta l’esercizio trasparente delle elezioni... Guarda, ti dico: qui non abbiamo un governo fascista, come alcuni dicono. Abbiamo un governo mafioso. Un governo fascista opprime le libertà ma garantisce sicurezza. Il governo messicano, mafioso com’è, non solo opprime le libertà ma vende la sicurezza. Vende sicurezza ai propri alleati. Come sai, in Messico il problema del crimine organizzato è pesantissimo, e non c’è paese al mondo che non abbia sofferto un problema del genere senza che questo sia legato a indici di corruzione politica spaventosi. Per questo, dico che in Messico la democrazia è una simulazione. Una simulazione nella quale si veste di seta un processo di spesa macroeconomica: guarda queste cifre! Guarda la spesa in infrastrutture, guarda le elezioni! – okay, sono corrotte e poco trasparenti, ma che importa! - toh, guarda: siamo una democrazia!... Invece, secondo cifre del Instituto de Acción Ciudadana (Istituto d’Azione Cittadina), che sono cifre di ricercatori e accademici seri, il 70% dei comuni messicani sono parzialmente o totalmente cooptati dal narcotraffico. Così come il 72% dell’economica messicana, secondo le cifre del Ministero del Tesoro, è cooptato o anche solo infiltrato da denaro sporco. Dico, il 72% dell’attività economica di un paese!? Non esistono unità di intelligence finanziaria che possano operare allo smantellamento dei patrimoni dei narcos, non esiste la confisca dei beni, anche sul modello di quello che è accaduto in Colombia: siamo riusciti a intercettare solo una minima parte dei soldi del narcos, rispetto a ciò che si sta muovendo nel traffico di droga e nel riciclaggio. Non esistono, infine, programmi di prevenzione sociale che si articolino in una società civile interconnessa, per prevenire tanto il delitto quanto la marginalizzazione sociale. Non viviamo in una democrazia, insomma, che garantisce i pieni diritti di vita e proprietà.

 

AR – A tuo parare, c’è un paese dell’America Latina che possa dare un esempio positivo per il Messico?

 

AA – Ci sono esempi. Come i sistemi giuridici del Perù, che si stanno specialmente attrezzando nel contrastare i vuoti di potere che lo Stato lascia, terreno fertile per il crimine organizzato. Il Brasile è la democrazia più grande dell’America Latina e l’ultimo suo presidente, prima di Dilma Roussef, è uscito di scena con l’85% dei consensi. Ovvero, per quanto lo scenario possa sembrare complicato, è certo che si possono raggiungere politiche pubbliche socialmente accettabili. La Colombia, ad esempio, porta avanti importanti progetti e programmi di confisca dei beni e di intelligence finanziaria per smantellare i patrimoni del crimine organizzato. Ahimè, il Messico era un punto di riferimento, fino a che non si è perso... e si è immerso in una corruzione profondissima che ha speculato sui bisogni della gente, facendo di questo paese, un tempo ricco e prospero, un paese immerso fino al collo nella povertà e nel terrore.

 

AR – Come abbiamo già detto, il movimento Yo Soy 132 è legato prepotentemente ai mezzi di comunicazione alternativi a quelli massificati, come la televisione. Come credi che il vostro messaggio possa arrivare ai giovani che non hanno accesso alla Rete, o per esempio a quelli che non sono studenti universitari e vivono totalmente in modo differente?

 

AA – Vedi, ogni volta che parlo dei media, cito quali siano: i media sono la televisione in chiaro, la televisione via cavo, la stampa scritta, la radio, il web e un processo di deliberazione pubblica. Per una democrazia, quest’ultimo fattore è importante. Deliberazione è ciò che stiamo facendo tu e io adesso, questo dibattito di idee con una persona che arriva dall’Italia – anche se temporalmente vivi qui – e che cerca di sottolineare il contesto in cui, con le tue categorie italiane, analizzi le mie categorie messicane: questo costruisce democrazia. Quindi, se esistono 20 milioni di persone che hanno internet e oltre 70 milioni che hanno la televisione, le persone che non hanno accesso devono essere raggiunte “dal vivo”, nelle strade, nella deliberazione pubblica.

 

AR – Per questo esistono le assemblee di Yo Soy 132, non è vero?

 

AA – Sì, per questo esistono le assemblee e la mobilitazione pubblica, e per questo esiste anche una certa pressione, affinché si espandano i mezzi di comunicazione massivi, e non abbiano solo copertura e diffusione, ma anche qualità. Copertura, diffusione e qualità: è una nostra formula, perché chi oggi non ha mezzi di comunicazione possa arrivare a possederne, anche se nel frattempo dobbiamo cercare d’utilizzare tutti gli altri mezzi disponibili.

 

AR – Come vedi il futuro del movimento?

 

AA – Non mi piace profetizzare. Mi piace trovare mete. La meta ad esempio dell’assemblea dell’ITAM è quella di poter generare un progetto-pilota in sei comuni. Nel quale si analizzino i delitti del crimine organizzato, si evidenzino la situazione di corruzione che ha permesso la realizzazione del delitto, la violazione dei diritti umani, e da parte di chi è stata compiuto questo delitto, a partire dalle direttive della Convenzione ONU di Palermo sulle mafie nel mondo. Questo per tentare una politica pubblica che faccia sì che in quella società, in quei comuni-pilota, per il problema che vivono, si possa trovare una soluzione cristallina. Stiamo anche elaborando una nuova proposta di legge sui media, in collaborazione coi differenti attori politici e tecnici già menzionati, al fine di auspicare un’informazione il più possibile orizzontale, libera e trasparente. Dove va il movimento? Chi lo sa! Dove andiamo noi? Verso questi obiettivi, queste mete.

 

AR – Qual è quindi la miglior strategia che gli altri movimenti sociali in Messico dovrebbero seguire?

 

AA – Guarda, in generale c’è un problema: i movimenti sociali in Messico si configurano spesso per la lotta, però quasi mai per la pace. Un ragionamento sulla pace non è presente nel dibattito pubblico oggi, nonostante ci sia una forte situazione di violenza nel Paese – una violenza simile e maggiore a quella dell’Italia degli anni ‘90, con l’uccisione dei giudici Falcone, Borsellino... Ora, la mafia italiana è certo la più antica mafia del mondo, ma anche la lotta anti-mafia italiana è la più antica del mondo! E dobbiamo imparare molto ancora da quelle persone. Per prima cosa, dobbiamo identificare che tipo di pace vogliamo, e non tanto come lotteremo. Ci sono molte tattiche possibili: mobilitazione, picchetti, rappresentanza politica, pressione civile, ma non esistono strategie: che pace vogliamo, dunque? Abbiamo bisogno di un pensiero critico, creativo, non tanto di un’analisi politica dell’Altro, dell’avversario. Perché sappiamo già l’avversario com’è, come si comporta. Dobbiamo trovare schemi di coesistenza pacifica.

 

AR – Altrimenti succederà quello che è successo in Italia, con l’anti-berlusconismo...

 

AA – Esatto. Sai, in fondo io non vorrei cacciare il nemico. Nel senso: se io dico “Vi voglio cacciare!”, loro possono dirlo con maggior forza. Loro, i nemici. In questo caso possiamo dire: il PRI. Se io dico “Voglio cacciare i priistas dal Messico!”, loro diranno la stessa cosa. E la loro forma di cacciare qualcuno è quella di farti sparire, di ammazzarti, eccetera... La nostra lotta non può essere una lotta come quella di Gandhi. Deve essere una lotta simile a quella di Mandela. Devo imparare a vedere nel mio nemico un alleato, per poi lavorare il più possibile assieme nella costruzione di uno Stato e un Paese che è di tutti, di me e di te. Solo che tu, il nemico, abusi dello Stato, del potere... E non vogliamo più quest’abuso. Dobbiamo mettere regole chiare e limpide per evitare l’abuso di potere.

 

AR – Continuando ahinoi, col Berlusconismo e l’Antiberlusconismo (in Messico potremmo dire Pro-EPN e Anti-EPN): il problema dell’opposizione a Berlusconi in Italia è stato quello che si è formato un blocco di partiti politici e movimenti sociali che erano e sono esclusivamente contro Berlusconi e il berlusconismo, una piaga italiana ancora da curare. Però anche tu lo dici: se io mi metto solo controqualcosa, contro il nemico, e non creo un’alternativa, un’idea di quello che voglio oltre, di coesistenza, succederà quello che succede oggi in Italia: lo stallo e la putrescenza delle Istituzioni o peggio il ritorno del populismo.

 

AA – E la lotta diviene una lotta cieca, grezza, perché in Italia ci sono problemi di debito pubblico, di crimine organizzato, avete ancora una profonda differenza tra un Nord industrializzato e un Sud arretrato. I problemi di un Paese non si riducono al titolare del potere esecutivo, del primo ministro. Bisogna tenere assieme le agende politiche e sociali, così è molto più profonda l’analisi. Noi in Messico stiamo tessendo alleanze, e non a caso abbiamo un accordo con Libera, l’associazione anti-mafia di Don Ciotti, che si è espressa a favore del movimento Yo Soy 132. Fa parte di una rete di accordi transnazionali, che servono per incontrare soluzioni atte a riempire i vuoti di potere dello Stato, qui come altrove: con contenuti, proposte, luce nuova.

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