Le belle e le bestie: Citterio-Uffici Zegna e Citterio-via Lomazzo

5 Giugno 2012

Al giorno d’oggi l’architettura è diventata oggetto dell’interesse di molte persone. Non che negli ultimi tempi sia considerevolmente aumentato il numero degli appassionati o degli esperti. Piuttosto è cresciuta la nostra attenzione nei confronti dell’ambiente in cui viviamo. E con sempre maggiore frequenza il nostro habitat “naturale” è l’ambiente urbano, costituito essenzialmente di edifici.

 

Gli edifici che ci circondano nella maggior parte dei casi ci lasciano indifferenti; in qualche occasione riescono a entusiasmarci; in molte altre hanno la capacità di ferire la nostra sensibilità. Con una forza che solo l’architettura – in quanto “arte” sociale e spaziale – possiede, essa è in grado di comunicarci un senso di esaltazione e di pienezza, ma anche di disturbarci, se non addirittura di urtarci letteralmente, di rovinarci la vita. Se alla prima categoria di edifici appartengono rari ma preziosi splendori, la seconda è invece pullulante di insopportabili orrori.

 

Al di là di ciò ch’è immediatamente intuibile, gli uni sono quegli edifici che, alla bellezza formale, sanno unire l’appropriatezza, la pertinenza, la capacità di non assolvere semplicemente alle proprie funzioni ma anche di “arricchire” i luoghi in cui sorgono, e di conseguenza anche noi; gli altri si distinguono invece per l’invadenza dimensionale, la mancanza di grazia, la volgarità, la banalità, l’erroneità, la stupidità, in una sola parola per la profonda inutilità, che ai nostri occhi costituisce uno sfregio del buon senso e uno spreco di risorse.

 

 

Dopo la comune battaglia condotta contro il pessimo progetto sull’area ex Enel a Milano, doppiozero e gizmoweb (autore collettivo del volume MMX Architettura zona critica, Zandonai 2010) propongono ora la rubrica “Le belle e le bestie”. Suo intento è quello di segnalare gli splendori e gli orrori presenti nelle nostre città e nei nostri paesi. Edifici meravigliosi ed edifici mostruosi; edifici amabili ed edifici detestabili; edifici provvidenziali ed edifici malefici. Edifici che non si cesserebbe mai di guardare ed edifici che si vorrebbe soltanto veder scomparire.

 


 

La nuova architettura del lavoro

 

 

La nuova sede di Ermenegildo Zegna (2007) a Milano mette in tensione elementi industriali tipici della zona Tortona e temi urbani strettamente milanesi, dando vita a un programma compatto e complesso.

 

Gli spazi un tempo ospitanti le acciaierie Riva Calzoni vengono acquisiti dalla casa di moda piemontese che ne affida il progetto di riconversione allo studio Antonio Citterio Patricia Viel and Partners in collaborazione con lo Studio Beretta Associati. Parte del lotto compreso tra le vie Savona-Stendhal-Solari è occupato da un capannone che subisce un’operazione di depurazione ma riesce a conservare alcuni temi propri dell’architettura industriale: oltre alla copertura a shed, la chiusura verso l’esterno. Il corpo interno si connette alla strada mediante un volume-scheletro svuotato e vetrato che costituisce l’ingresso principale da via Savona, permettendo la vista verso l’interno e fissando il punto di avvio della distribuzione longitudinale dell’intero organismo. Open space si alternano a luoghi di esposizione e showroom, questi ultimi organizzati al piano terreno come un teatro. L’edificio è così formato da numerose parti che raggiungono una sintesi eloquente in una corte interna, posizionata ortogonalmente all’ingresso. La copertura del teatro costituisce una parte di questo vuoto che, sottraendosi al resto, rappresenta il cuore dell’intervento. Gli uffici sono in continua relazione tra loro e si rispecchiano nel “doppio” interno, operazione di “scavo” che è al contempo messa in rapporto tra le parti e snodo di tutto il sistema.

 

Dalla lettura del progetto e dell’edificio realizzato emerge dunque con piena evidenza – come detto all’inizio – la relazione tra temi architettonici e urbani tipici della tradizione milanese (la corte, l’androne) e temi propri dell’architettura industriale (open space, doppie altezze, flessibilità degli spazi); una relazione che si traduce in una riflessione positiva, diretta e concreta sul mutamento dei luoghi di lavoro nella Milano del XXI secolo.

 

Manuele Salvetti

 

L’ingresso della sede del gruppo Zegna, Milano 2007

 

Planimetrie della sede del gruppo Ermenegildo Zegna, Milano 2007

 

Sezione della sede del gruppo Ermenegildo Zegna, Milano 2007

 

La corte interna della sede del gruppo Ermenegildo Zegna, Milano 2007

 

Gli uffici della sede del gruppo Ermenegildo Zegna, Milano 2007

 

I percorsi interni della sede del gruppo Ermenegildo Zegna, Milano 2007

 

Maquettes sede del gruppo Ermenegildo Zegna, Milano 2007

 


 

Il nuovo lusso burocratico

 

 

Non ci si meraviglia più che per fargli spazio sia stato distrutto un sobrio e dignitoso esempio di archelogia industriale milanese, lo stabilimento Centenari Zinelli; non ci si stupisce neanche più dell’assurda retorica pubblicitaria che pone il complesso abitativo di via Lomazzo 52 surrettiziamente in continuità con gli eccellenti esempi abitativi progettati da Bottoni, Terragni e Vietti nel vicino corso Sempione; né scandalizza ormai più di tanto la convenzionale e grossolana organizzazione interna delle diverse unità abitative, perfettamente in linea con le attuali offerte degli operatori immobiliari.

 

Ciò che invece perturba è il messaggio che tale intervento mette in forma: l’indifferenza ai caratteri morfologici dell’area adiacente a via Lomazzo, e i meri calcoli di distanza tra gli edifici e delle volumetrie disponibili, sono le uniche e reali ragioni della dislocazione planimetrica e delle altezze dei tre stabili che compongono l’intervento.

 

Inoltre se il muto recinto che racchiude lo stabile a ridosso di via Lomazzo, nel suo celare indifferentemente i corridoi di accesso ai duplex e gli spazi riservati ai box, traduce la richiesta di dotare i tradizionali e vibranti ballatoi milanesi della “sicurezza” di poter vivere lo spazio abitativo senza la costante preoccupazione di essere disturbati, anche solo visivamente; se la creazione di un inabitabile giardino “giapponese”, visibile attraverso un ulteriore (benché trasparente) recinto, è la negazione degli intoversi e inaspettati cortili milanesi; se tale silente cortile è, in relazione agli spazi abitati, solo il retro degli alloggi che si aprono sui giardini privati, sapientemente celati anch’essi agli sguardi indiscreti e frenetici della città; se la struttura a griglia che avvolge i sedici piani delle abitazioni, caratterizzata da un passo irregolare per far fronte alla non coordinata progettazione degli affacci interni, nega paradossalmente quel pensiero e quella misura razionale a cui vorrebbe invece alludere; se la scadente qualità delle finiture di facciata parla di un totale disinteresse per la cura costruttiva ed esecutiva del costruito: se tutto ciò è vero, allora l’intervento in via Lomazzo progettato dallo studio Antonio Citterio Patricia Viel and partners in collaborazione con lo studio Anna Giorgi and partners è un esempio calzante di come il tentativo di accordare le ragioni “burocratiche” e gli attributi del nuovo lusso generi uno sterile contributo alla costruzione di una cultura dell’abitare condivisa e condivisibile.

 

Gabriella Lo Ricco

 

L’intervento in fase di realizzazione, Milano 2010

 

Lo stabilimento Centenari Zinelli di via Lomazzo prima della demolizione

 

La corte interna ∏ Erica Gerosa

 

La corte interna e i duplex

 

Gli appartamenti con i giardini privati e la corte

 

∏ Erica Gerosa

 

Piante dei duplex con accesso dai corridoi con affaccio su via Lomazzo

 

Piante dei duplex con i giardini privati

 

Piante del duplex al quindicesimo piano

 


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