Global Sumud Flotilla: l'Italia in piazza

4 Ottobre 2025
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Torino - Enrico Manera

Fin dal mattino le strade verso piazza Palazzo di Città, in questi giorni piazza Gaza, vedono convergere molte persone. A piedi e in bici, nel traffico diradato ci si saluta e si parla, anche solo con cenni. Alle 10 la piazza è stracolma, voci e suoni sono molteplici e controllati, con molta musica e poche parole chiave. Non ne ho sentite di stonate. Bandiere rosse, di sindacati, della pace, palestinesi, dell'Europa, ancora di più kefie e sciarpe di stile mediorentale. I gruppi si trovano, misurano gli spazi per avanzare lungo il percorso prefissato. Non si vedono forze dell'ordine, non qui. La presenza del movimento di lavoratori e lavoratrici è forte. Molti bambini e bambine con genitori e insegnanti, cartelli e disegni. Le donne sembrano in maggioranza, così come registro una pluralità di provenienze geografiche più marcata rispetto alle manifestazioni consuete. Non ho la percezione di tutto il corteo, non sarebbe possibile, e in questi giorni sono diversi i presìdi e gli obiettivi. Ma del clima di odio, violenza e distruzione descritto dai media non c'è traccia, non qui.

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La testa del corteo è già avanti mentre la coda non si vede, il flusso è continuo, composto e gioioso. Mentre torno indietro tutto è ancora in corso, in piazza Castello ci sono installazioni a forma di barca, davanti all'Università di Palazzo Nuovo tende. I luoghi – di solito più caldi – sono semivuoti, i baristi ne approfittano per lavare i vetri. È tutto un altrove.

L'aria diversa in città, da giorni, comunica un bisogno diffuso di partecipazione, un respiro etico e un moto di solidarietà con la Palestina sofferente che raccoglie un discorso più ampio e che dice una profonda afflizione, stanchezza, dolore e rabbia verso lo stato delle cose dei tempi che stiamo vivendo, anche quando non esplicitato. Che superi decenni di sconfitta, di impotenza, isolamento e politica cinica e degradata, comunicazione ideologica e falsificata. Che non vuole guerra internazionale o conflitto fine a se stesso ma giustizia, diritto e uguaglianza, pur sapendo che ci sarà chi sbaglia e ogni errore verrà amplificato e usato contro tutte e tutti. C'è bisogno di speranza e come uno stupore nel trovarla, che mi ricorda le parole di libri amati. “Nell’ora della rivolta non si è più soli nella città”.

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Milano - Maddalena Giovannelli

Milano arriva ai cortei di queste settimane con il cuore e le gambe pesanti.
Negli ultimi mesi, tra le inchieste urbanistiche e la chiusura del Leonkavallo (tra distorsioni mediatiche e strumentalizzazioni politiche), la città è stata costretta a un momento di brutale autoanalisi. E nonostante la pluralità di sguardi, opinioni, esperienze e affezioni sul tema, è difficile negare l’evidenza: che Milano – con la sua bolla immobiliare impazzita, con la sua fretta di sgomberare, con la sua ansia di costruire – lascia ai corpi che vogliono incontrarsi senza consumare, comprare e spendere sempre meno metri quadrati del proprio suolo.

Ecco perché i cortei di lunedì 22 settembre e quello di ieri (ma prima ancora: quello di sabato 6 settembre, per il Leonkavallo) hanno portato con sé quella sensazione specifica di quando si scopre di poter danzare ancora, nonostante il cuore e le gambe pesanti. Negli occhi dei milanesi che oggi si sono riversati per le strade brillava un piccolo, impercettibile lampo di stupore, come si chiedessero silenziosamente, l’uno all’altro: Ci siamo ancora? Siamo ancora vivi, nonostante tutto? Si è scritto molto – ed è innegabilmente vero – che le piazze e le strade del 3 ottobre hanno ospitato una straordinaria mescolanza di età, classi sociali, provenienze; e che in nome di Gaza si sono raccolti lavoratrici, professori, studentesse, anziani. E anche a questa pluralità la Milano della moda, dell’esclusività, dei locali dedicati a singoli segmenti di consumatori si è drammaticamente disabituata. Siamo scesi in piazza per dire pubblicamente che – in un luogo a diverse miglia da noi, la Palestina – è stato superato un limite, e che questo superamento è per noi inaccettabile. Ma credo che oggi, camminando per le strade stracolme di Milano, sia apparso chiaro a molti che il superamento di questo limite è avvenuto su molti e diversi fronti. Che in gioco c’è qualcosa di molto più vicino, profondo e irreversibile di quello che avevamo immaginato; e che anche per questo vale non smettere di danzare. Otherwise we are lost!

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Venezia - Enrico Palandri

A Venezia il contrasto tra gente in macchina e cortei è meno forte che nelle altre città perché tutti sono sempre a piedi. Non c’è la sensazione di riprendere uno spazio che di solito è occupato dal ritmo abituale di fare in fretta, fare denaro, avere la macchina più bella o costosa di tutto il piazzale davanti all’azienda in cui si lavora. Camminare a Venezia, se lo si fa con il cuore dalla parte giusta, è un po’ sempre manifestare per la vita, gli umani, come tutte le città dovrebbero essere. Se manca questo senso di opposizione al ritmo frenetico della produzione di ricchezza c’è però qualcos’altro che a me piace molto: si incontrano gli amici e si mostrano le proprie simpatie politiche. Proprio perché ci si incontra sempre per strada a piedi, ma non per manifestare, ritrovarsi per la Palestina o per uno sciopero ha qualcosa di particolare. Un elemento di simpatia, nel senso etimologico di sentire insieme. E vedere tanta Italia che vuole essere per strada, a piedi, che vuole esserci, rincuora in un’epoca in cui la passività nei confronti del governo fa apparire a volte le città, non solo questa ma tutte le città in Italia, bastonate, passive e rassegnate, organizzate solo come grandi strutture ricettive per il turismo. Invece che c’è ancora un’anima. Politica, umana, sociale, e speriamo che tenga. Speriamo che non scompaia con gli obiettivi di questa manifestazione ma che ci aiuti a ricordare e mantenere fluida cosa è la linfa di una città, che alla fine sono le persone, quel che sentono e come sono.

Bologna - Massimo Marino

70mila, dice la vicesindaca, 100mila rilanciano gli organizzatori. Bologna non aveva mai visto una manifestazione del genere: la testa del corteo era in piazza Maggiore e il fiume umano si snodava lungo tutta via Ugo Bassi, l’asse dell’antica via Emilia, girava per via Marconi, via Irnerio, due, tre chilometri e più di ragazzi della scuole, di universitari, di operai, impiegati, pensionati organizzati dalla Cgil, famiglie a piedi e in bicicletta, “cani sciolti”, bambini avvolti nelle bandiere palestinesi, ragazze e ragazzi sorridenti con la bandiera dipinta sul volto, alcuni di loro issati sulle pensiline degli autobus. Gli slogan: Palestina libera – Free Palestine – Governo Meloni dimissioni, e anche improperi più coloriti all’indirizzo della presidente del consiglio. La città paralizzata, dopo i cortei dei giorni scorsi, dopo il presidio di vari giorni con tende in piazza Maggiore, dopo gli scontri alla stazione del 2 ottobre, con feriti. Dove va questo serpentone di gente di tutte le età, furioso per l’ignavia di un governo che non ha mai preso una posizione sul genocidio in corso a Gaza, perciò avallandolo? È un lungo drago fumante rabbia contro un governo che non ha protetto la Flotilla dall’atto di pirateria internazionale di Israele. Tre attivisti bolognesi, imbarcati sui navigli in rotta verso Gaza, ora sono nelle prigioni israeliane.

Il corteo da porta San Donato, quella dell’università, gira a sinistra sui viali. Direzione stazione ferroviaria? Volta ancora per via Stalingrado, quella che porta alla fiera e alla tangenziale. E gli obiettivi sono quelli: la tangenziale e l’autostrada. Dopo essersi fronteggiato con la polizia, dal varco 7 bis si riversa sullo snodo di grande comunicazione, bloccando il traffico tutto intorno a Bologna, da San Lazzaro a Borgo Panigale. Elicotteri sorvolano, sinistri, il quartiere. Ululati di sirene. Il corteo marcia verso lo svincolo 5 (Lame) di tangenziale e autostrada dove si trova la polizia in tenuta antisommossa. Sono le 14.30. Poco dopo le 15 partono i lacrimogeni e gli scontri. Violente. Ancora sirene e sirene.

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Bologna - Pasquale Palmieri

Mi scrive il mio amico Spartaco, alle 7 di mattina. Andiamo alla manifestazione? Certo, quando ci vediamo? L’appuntamento è alle otto e mezza, gli autobus sono già fermi, camminiamo a piedi. Il raduno è previsto alle nove a Piazza Maggiore. Qualche volantino che gira sui social parla però di Piazza Malpighi, altri di Piazza Galvani, altri ancora di Piazza Otto Agosto. Dove andiamo? Quale è il percorso previsto dagli organizzatori? Mentre siamo su via Indipendenza, riusciamo a capire bene le ragioni di queste informazioni contrastanti. Non c’è un vero punto di incontro, e del resto sarebbe impossibile contenere tutta questa gente in una sola porzione del centro di Bologna. C’è un fiume umano lunghissimo, difficile da misurare o contenere, che si espande in diverse direzioni e diventa sempre più corposo, minuto dopo minuto.

Nei pressi di via Ugo Bassi ci guardiamo negli occhi e ci scopriamo un po’ inquieti. Siamo fermi, c’è calca, si fa fatica a respirare. Spartaco sa bene che sono paranoico e prova a tranquillizzarmi: prima o poi il corteo si muoverà e cominceremo a camminare. Proprio in quel momento sentiamo delle voci. Attenzione, per favore, fate spazio, fateci passare, ci sono dei bambini. Giriamo lo sguardo e li vediamo: tre insegnanti guidano fra la folla una piccola scolaresca, forse di quarta o quinta elementare. Le bambine e i bambini stringono fra le mani uno striscione con i colori della pace. Lo usano come se fosse un cordone, per non perdersi. In quel momento ho provato a mettermi nei panni di quelle insegnanti. Ho chiuso gli occhi: una responsabilità enorme, quasi impensabile per me. Se ne sono accorte, probabilmente. Hanno colto il mio spavento e mi hanno sorriso, riuscendo a rassicurarmi, prima di portare la loro classe fuori dalla confusione.

Il corteo parte, finalmente. Provo a dare un’occhiata allo smartphone. Amiche e amici mi chiedono dove mi trovo. Noi siamo a Piazza Galvani, noi a via Rizzoli, noi a Piazza Maggiore, noi a Piazza Malpighi. Troppo distanti, troppa gente in strada, impossibile incontrarci. Ma stiamo marciando insieme, a piccoli passi, e va bene così.   

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Ph: Giovanni Dall'Avo Manfroni 

Firenze - Tiziano Bonini

Questa mattina è successo qualcosa a Firenze, come in tutte le altre piazze, credo.

Avevo amici che mi mandavano foto da altre città ed era tutto enorme. Quando sono arrivato sul viale Spartaco-Lavagnini, ho trovato una massa così vasta di persone che erano davvero almeno vent'anni, almeno dalla grande manifestazione del 2003 per il Social Forum europeo che si tenne qua a Firenze, che non vedevo un volume, una massa di corpi così grande.

È stata una cosa gigantesca, soprattutto in questi tempi così bui, dove la speranza diminuisce, dove siamo sempre più cinici, dove pensiamo sempre meno che la politica sia utile e possa funzionare, che le azioni politiche siano utili. In questo momento di grande frustrazione, vedere questa enorme massa di persone, molto trasversale, è stato un getto d'acqua fresca sulla faccia, enorme. È una sensazione poco descrivibile a parole perché è inaspettata, totalmente inaspettata.

Sono mesi e forse ormai anni che qua a Firenze si alternano proteste per la Palestina, diverse piazze, ero stato ad alcune manifestazioni nelle settimane scorse organizzate dalla GKN, ma è come se si fosse coagulato improvvisamente tutto e che questi piccoli frammenti di manifestazioni si fossero improvvisamente uniti tutti insieme in un'unione che a sinistra era molto poco prevedibile.

Penso che qui a Firenze nello specifico sia stato importante il ruolo della GKN, che ha continuato a riunire e a organizzare azioni collettive e che abbia fatto da agglutinante per questa cosa, ma soprattutto la cosa che era evidente in questa piazza era che c'erano tantissimi studenti. Forse questo è un movimento che è partito dagli studenti e che poi ha portato nelle piazze anche tutti gli altri e di questo bisogna dargliene atto.

Sembrava un remake del 2003, sia per il percorso sia per le sensazioni che mi ritornavano alla mente di quella grande e imponente manifestazione.

Firenze ha 300.000 abitanti, è un paesone. All'epoca c'era una manifestazione che prevedeva l'arrivo di persone da fuori, un po' a livello nazionale e anche internazionale, dal social forum europeo.

Oggi ha semplicemente raccolto le persone che arrivavano dai comuni limitrofi e nemmeno dalle città limitrofi, perché a Siena, Pisa, Livorno c'erano altre manifestazioni. Abbiamo visto le scuole di Sesto Fiorentino magari, i docenti delle scuole superiori, gli studenti dei comuni limitrofi, ma era soltanto Firenze che manifestava ed erano almeno 50.000, 60.000, 80.000 persone. È qualcosa veramente di eclatante.

Continuo a non aggiungere nient'altro rispetto a questi due aspetti. La sorpresa di un movimento così grande in questo momento storico e il ricordo e la similitudine molto stretta con la manifestazione del 2003. Credo che abbia riportato nelle piazze tantissime persone che avevano voglia, che sentivano questa urgenza, ma che non hanno trovato in questi anni la possibilità, il canale, le modalità per partecipare.

C'è stata una grande partecipazione che era sottotraccia, o forse era lì sotto, che ha covato per anni. C'è stato un grande senso di liberazione oggi, perché finalmente la flottiglia ha materializzato idee, valori, opinioni, punti di vista che non riuscivano a trovare un centro di gravità.

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Ph: Anna Leo

Roma - Bianca Terracciano

Ore 11, Piazza dei Cinquecento, un forte vento freddo fa sventolare le bandiere della Palestina, dei sindacati, delle associazioni. Mentre si approntano gli ultimi preparativi, dalle casse rimbomba poderosa “Curre curre guagliò” dei 99 Posse, cantata e ballata da persone di ogni età: un inno contro uno Stato gabbia che, nonostante tutto, prova ancora a reprimere chi denuncia “e combatte sti fetiente”.

Un ragazzo si arrampica sulla scultura di sette metri "Conversazioni" e lega una kefiah al collo di san Giovanni Paolo II, includendolo simbolicamente nella folla a sostegno della Flottilla, che da pochi minuti ha perso anche Marinette, l’ultima nave rimasta in mare. A difesa delle persone eroiche che hanno scelto volontariamente di mettere in gioco la loro incolumità per sovvertire lo stato di cose, c’è chi prova a cambiare il corso degli eventi bloccando le arterie di una città, fluendo come una marea in luoghi impercorribili a piedi, per replicare – seppure in scala minore – il senso di impotenza di fronte a un genocidio.

È il momento di insorgere, di farsi corpo unico. Lentamente il corteo si muove verso via Tiburtina per poi in trecentomila bloccare la Tangenziale Est, l’A24. Pugni al cielo, applausi, cori che alternano parole d’amore come “Roma lo sa da che parte stare, Palestina libera dal fiume fino al mare”, e slogan di ironica avversione tra cui “angurie sì, meloni no”. I cartelli parlano la rabbia, esprimono appartenenza e vicinanza: dai tanti “Definisci bambino” alla foto di Salvini con su scritto “complice del genocidio”. Indigna la morte, ma anche la codardia, l’incapacità di prendere posizione, nascosta dietro il paravento delle giurisdizioni nazionali che calpestano senza scrupoli qualsiasi norma internazionale.

La manifestazione assume una funzione catartica per sentirsi parte della storia nel suo farsi, per aggrapparsi alla coscienza civile, fatta di radici, valori condivisi, orgoglio.

Tutto ciò che Israele nega alla Palestina.

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Ph: Giovanni Dall'Avo Manfroni 

 

Napoli - Simona Frasca

Questa mattina ricevo una mail da un’amica americana che mi chiede il significato del termine napoletano “cunsulà”. Dopo uno scambio di messaggi ci accordiamo sul fatto che diversamente dall’omologo verbo italiano “consolare”, la parola indica un’intensificazione del piacere più che una riduzione del dolore; la sofferenza del corpo resta ma è l’anima a gioire e in questa maniera si riunisce al corpo. Sono inquieta in questi giorni, forse è l’autunno o più probabilmente svicolo di fronte al senso di impotenza che ci ha messo nel sacco da mesi. Con questi pensieri e stati d’animo raggiungo la manifestazione che intercetto nella zona degli imbarchi dei traghetti per le isole di Ischia, Capri e Procida. Mi unisco alle amiche e colleghe insegnanti e, nel mondo che non riconosco più, attraverso il loro sorriso trovo riparo. La manifestazione di Napoli è partita da piazza Mancini, è arrivata a piazza Nicola Amore e diversamente da quanto disposto si è spostata in direzione del Porto commerciale. Più tardi dai social apprendo che i manifestanti che erano rimasti fermi davanti al cordone delle forze dell'ordine che faceva da "scudo" al Varco Immacolatella di via Porta di Massa, sono riusciti a sfondarlo ed entrare nel porto vero e proprio. Israele blocca illegalmente le barche degli attivisti in acque internazionali e il corteo risponde con la stessa moneta provando a fermare una nave proveniente da Haifa. Sfilano in pace e amicizia studenti, giovani, giovanissimi, uomini e donne che hanno rinunciato alla giornata di lavoro per essere dalla parte giusta contro il genocidio a Gaza e l’abbordaggio del convoglio della Global Sumud Flotilla. Certo potevamo fare di più, sento dire da qualcuno, “Free Palestine”, ma figurati, commentano altri con disincanto. Il sole è alto e la temperatura è calda, nonostante un potente vento di tramontana soffi sul golfo da un paio di giorni. Resto lì a incrociare altri sguardi, a salutare altri amici, gruppi si spostano spontaneamente per le vie della città, il traffico non perdona, me ne torno a casa consolata, anzi cunsulata, questo oggi per me è un vero sollievo.

Bari - Maria Laterza

“Non vedevo manifestazioni con tanti ragazzi dai tempi del Vietnam” dice una militante dell’Anpi con grande emozione. E in effetti per una volta i ragazzi delle scuole superiori e dell’università sono la maggioranza. Accanto a loro molti docenti. Ma non mancano i bambini delle scuole medie e qualcuno delle elementari. Anche se il vero protagonista di questa pattuglia di giovanissimi fra i giovanissimi è un piccolo di forse due anni vestito da Batman e portato orgogliosamente in braccio dai genitori insieme alla bandiera palestinese. L’appuntamento è alle 9 al Molo San Nicola sul lungomare ma si parte più tardi perché continua ad arrivare gente e questo nonostante un vento gelido che soffia fortissimo. Ieri sera c’è stato un presidio al Policlinico: è stata data lettura dei nomi dei 1677 operatori sanitari uccisi a Gaza ed è stata veramente dura perché imperversava una tempesta di pioggia. Ma il tempo non ha scoraggiato nessuno e oggi siamo tantissimi.

Alla partenza del corteo arriva il sindaco Vito Leccese salutato calorosamente. L’Amministrazione è stata sempre fortemente solidale con le ragioni del popolo palestinese e i consiglieri di maggioranza sono, insieme ad associazioni e cittadini, in presidio permanente presso la sala consiliare del Comune per esprimere vicinanza alla Global Sumud Flottilla, che vede fra i volontari tre cittadini baresi. Alla fine il corteo parte: alla testa ci sono i rappresentanti della comunità palestinese e le bandiere della Palestina. Subito dopo gli studenti, tanti tantissimi, giustamente indignati e con la voglia di far sentire il più possibile la loro presenza. E poi i sindacati e i politici, fra cui l’europarlamentare Antonio Decaro. E ancora le associazioni. Fra queste attivissima e compatta l’Anpi, e instancabili le “Donne in nero” (ma ormai con diversi uomini al seguito), che da due anni animano un silenzioso flash mob al centro della città. Fra i partecipanti al corteo c’è anche il cantautore molfettese Caparezza.

Davanti al Consolato di Israele vari spezzoni del corteo si fermano per gridare pacificamente ma con forza il dolore e lo sdegno per il genocidio in corso per poi proseguire senza incidenti. La manifestazione termina in piazza Umberto davanti all’università dove è stato allestito dal sindacato un palco in cui si svolgono gli interventi finali della giornata. Alcune associazioni decidono di proseguire con un sit-in spontaneo alle spalle della stazione centrale.

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Ph: Anna Leo

Palermo - Gianfranco Marrone

Mancava Ce n’est qu’un début, continuons le combat, e anche Viva Marx, viva Lenin, viva Mao Tze Tung. O forse si sentivano in altre zone del lunghissimo corteo cittadino. Il resto c’era tutto: ad accompagnare il grido di base Palestina libera! e simili ecco Bella ciao, naturalmente, e poi Pagherete caro pagherete tutto, ma anche, più spesso, si inneggiava al Vaffanculo!. Dalla Resistenza, via Lotta continua, al grillismo. Tornava con una certa frequenza Siamo tutti antifascisti, e si saltava tutti insieme urlandolo. Slogan, questo, senza tempo: contro il Ventennio o a dispetto dell’attuale governo?

Qualcosa del genere nei cartelloni, alcuni dei quali strettamente pertinenti (Un genocidio non ne giustifica un altro, Fermiamo la barbarie, Fermare il genocidio, Difendere la flotilla, Il pianto dei bambini di Gaza vi accompagni ogni notte), molti altri non del tutto (Il diritto fino a un certo punto, Chi resta in silenzio è complice, Stop economia di guerra, Universitari contro la militarizzazione e il colonialismo), fino a spaziare su vari altri temi (Meglio un giorno da angurie che 1000 da meloni, La scuola educa anche quando sceglie di fermarsi, Meglio porco che fascista, Gesù non approva, No al ponte).

Parecchio ci sarebbe da dire sui comportamenti e le gestualità, dai selfie collettivi alle braccia in aria per far video, dall’immancabile militante che controlla accigliato se tutto è in ordine agli ammiccamenti fra adolescenti entusiasti d’esser lì. La prima impressione era quella di un megacorteo che era un metacorteo, una manifestazione di piazza che parlava delle altre manifestazioni di protesta usando il loro stesso linguaggio.

Si è trattato, allora, di una protesta al quadrato. C’era la voglia di prendere la parola, qualunque essa fosse, e rimbalzarla contro. Contro un nemico al tempo stesso indeterminato e preciso. Era chiaro a quelle migliaia e migliaia di ragazzi che piangevano in coro per Gaza che la posta in gioco, qui e adesso, è il loro futuro, un avvenire necessario che intendono riprendersi, progettare, gestire. Nonostante i signori della morte. E vaff.

In copertina, illustrazione di Guido Scarabottolo.

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