Addio a Herschell Gordon Lewis / Mille ragioni per girare un film in Florida

27 Settembre 2016

Ogni tanto la cerco su ebay. Sarà per gusto feticista o semplice elogio della frivolezza. Parlo della “barf bag” che veniva consegnata agli spettatori di Blood Feast, nei cinema, in pieno 1963. Parlo della busta di carta in cui ogni spettatore poteva vomitare tutto il suo disgusto assorbito vedendo le immagini di quel film. 

 

Barf Bag. 

 

Che io sappia, oggi l'unico rimasto a sfruttare il potenziale di quella busta è Nick Cave, che ha intitolato e letteralmente scritto il suo ultimo libro sopra quegli involucri di carta che trovate sugli aerei: The Sick Bag Song.

Buste e vomito. Bisogna avere un certo quid imprenditoriale per pensare a soluzioni simili: puro marketing in salsa horror. Nello stesso periodo di Blood Feast (giusto un anno dopo), Ray Dennis Steckler, il regista del film che gli contende il più bel titolo mai coniato, e cioè: The Incredibly Strange Creatures Who Stopped Living and Became Mixed-Up Zombies!!? faceva entrare in sala di proiezione le creature del suo film. William Castle invece infilava riproduzioni tridimensionali del mostriciattolo simile a un millepiedi (The Tingler) sotto le poltrone degli spettatori.

 

Herschell Gordon Lewis se n'è andato. Aveva novant'anni. Era nato il 15 giugno del 1926. Prima di realizzare Blood Feast, prototipo del film gore – in verità una vero e proprio “monotipo” e per questo forse irripetibile – aveva insegnato inglese e materie umanistiche presso la Mississipi State University. Era insomma un accademico, un intellettuale con una predilezione per Robert Browning. Vita agiata, un po' monotona: denaro poco. Tanto che Lewis decide di mollare tutto e di buttarsi nella pubblicità. Si dà da fare alla radio e poi alla televisione, diventando produttore per la WKYY presso Oklahoma City: sono gli anni '50. Realizza pubblicità, film governativi, e cose simili, relitti commerciali dismessi immediatamente. Capisce che l'unico modo per fare soldi è realizzare film di finzione. I primi, The Prime Time (di cui è solo produttore) e The Living Venus servono solo da palestra, per comprendere come funziona la macchina cinema e non ripetere errori in futuro. Incontra un produttore che sembra viaggiare sulla sua stessa lunghezza d'onda, Dave F. Friedman: insieme, nel freddo inverno di Chicago, si scervellano pur di trovare il veleno con il quale sbancare al botteghino. Quando lavori con piccoli budget, in maniera indipendente, quando giochi fuori dagli Studios, nel campionato dell'exploitation, la serie B della B, lontano da Hollywood, e l'unica speranza che hai è quella di ritrovare il tuo film proiettato in periferia o in un drive-in, capisci che l'unica cosa da fare è spremere il cervello, pensare a tutto ciò che là, nel caldo della California, gli Studios non si sognerebbero mai di realizzare. I due tentano allora con il genere nudie cutie, realizzando The Adventures Of Lucky Pierre (1961). Donne nude, qualche strip-tease, un po' di musica, molti colori e guardoni; Russ Meyer lavora a qualcosa del genere nello stesso periodo; The Immoral Mr. Tease viene realizzato nel 1959. Ma questa è solo la punta dell'iceberg. Il problema è che di film simili se ne fanno troppi. Ed è per questo che il successo non arriva. 

 

Ricevono però una proposta dalla Florida per girare un altro nudie cutie. E «se vivi a Chicago in gennaio o febbraio, puoi pensare a un migliaio di ragioni per spostarti in Florida e girare un film», ricorda con understatement lo stesso Lewis in quella che rimane una delle più belle e significative interviste sul cinema, apparsa sulle pagine di “Re/Search” (Incredibly Strange Films, n. 10, 1986). In poche parole, un proprietario di sala della Florida e un ricco industriale si mettono in combutta per realizzare un film la cui protagonista dovrà essere la fidanzata del secondo, Virginia Bell, una donna – ricorda Lewis – il cui seno misurava 120 cm... e quello era anche tutto ciò che aveva. Decidono di realizzare il loro film, Blood Feast appunto, contemporaneamente a quello su commissione, utilizzando le stesse maestranze, cioè un aiuto operatore e poco più. La lezione di Herschell Gordon Lewis è semplice: girare con pochissima pellicola, all'osso, permettendosi una sola ripresa per ogni inquadratura del film, conscio che non tutte saranno riuscite; utilizzare la stanza del motel dove sono alloggiati come set, compresi gli esterni; lavorare su un genere inedito quanto sanguinolento, inserendo un tocco gore. Il che significa avere a che fare con il trattamento di un soggetto che preveda l'uso di sangue sparso, rappreso, pezzi di corpi filmati in un rosso quasi acrilico, iperrealista e in modo intensivo («Gore was easy, because it was obviously the kind of subject that could be handled intensively rather than extensively»); Blood Feast non necessita di abiti di scena, o particolari scenografie, ma solo del rosso, e di qualche pezzo di viscere. E qual è il collante narrativo che tiene insieme questi squartamenti efferati? Effetto serendipity – capita che la trama arrivi, con il suo sapore orientalista, fatto di rituali egizi, solo perché all'esterno del motel svetta la riproduzione di una sfinge. Perché non filmarla architettando l'esile trama (un killer che uccide donne e ne asporta parti per eseguire un vecchio rituale egizio) a partire da quel monumento kitsch e iperrealista (non è la Florida tutta un monumento kitsch e iperrealista)?

 

Blood Feast nasce in questo modo. Questo è ciò che ogni scuola di cinema dovrebbe insegnare, insieme alla tecnica: una vera economia produttiva. Qualcosa che Roger Corman armeggiava con grande maestria. Ma, per motivi diversi, vengono in mente anche David Cronenberg, Straub-Huillet, perfino Philippe Garrel (come Herschell Gordon Lewis, Garrel gira un solo ciak per inquadratura, anche se questo aspetto è l'unico che lo avvicina al maestro del gore). Blood Feast è costato 24.000 dollari. Le code per vederlo in sala erano chilometriche, tra svenimenti, vomito e spavento. Per quanto Hollywood avesse sfruttato il genere horror, non si era mai visto al cinema un tale sparpagliamento di frattaglie, che mantengono un appeal quasi cosmetico. Ma è proprio incuneandosi in questa fessura, questo spazio gore lontano dal centro, eccentrico, che Lewis e Fridman fanno centro, inventandosi anche un trailer efficacissimo.

 

 
 
 

Il film aprirà la strada a una serie infinita di imitazioni. Eppure, l'approccio rude, crudo e primitivo di questo film si perderà nelle accuratezze della messa in scena e degli effetti speciali anni '80. Sofisticatezze che guardava con sospetto (riguardo alla recitazione, sosteneva che suoi film fossero migliori o se la giocassero alla pari con i vari Halloween e Venerdì 13). Sofisticatezza significa gestire un budget più alto. Ma chi può dire che spendere venti volte di più per fare meglio le cose permetterebbe di guadagnare venti volte tanto? Era un suo motto aureo (gli adoratori di Michael Cimino si astengano dal leggere cosa pensava di Heaven's Gate). L'altro era dunque quello di fare film con nulla e guadagnarci sopra, inventando trovate, divertendosi e facendo sfrigolare il cervello. Two Thousand Maniacs (1964), Color Me Blood Red (1965) con un pittore che trova ispirazione utilizzando solo il sangue come colore rosso; operazioni di puro bricolage pellicolare: Lewis compra un film non finito, Terror At Halfday, lo termina girando alcune scene di raccordo e intitola il film Monster A Go-Go (1965). E poi almeno due o tre film all'anno, filmando come un centometrista: Something Weird (1967), A Taste Of Blood (1967), The Gruesome Twosome (1967) una parodia del gore, Blast-Off Girls (1967), She-Devils On Wheels (1968) giocando di rimessa con il genere biker movie, fino a Gore Gore Girls (1972) e una specie di “manifesto”: The Wizard of Gore, girato due anni prima. Ne abbiamo citati solo alcuni. 

 

Nei primi anni '70 smette di girare film. Resta nel marketing (per lui il cinema è questo: intrattenimento e denaro). Scrive una ventina di libri, manuali su come fare soldi: The Businessman's Guide to Advertising and Sales Promotion (1974) è forse il primo. Si trasferisce a Fort Lauderdale, Florida. Probabilmente gioca a golf nel tempo libero, con qualche cliente da intortare. E dato che pasticcia col denaro, come ogni vero businessman passa due o tre anni in galera per frode. Torna a girare film negli anni 2000. Tra questi, vale la pena segnalare Blood Feast 2: All You Can Eat, dove uno dei suoi primi fan, John Waters, appare in un cameo. Ed è forse proprio John Waters ad averlo inquadrato in maniera plastica: «Ero solito sgusciare via su questa collina, nei pressi di un drive-in e vedere film come The Mole People e I Spit on Your Grave con un cannocchiale.

Appena ho avuto la possibilità di guidare un'automobile, frequentavo i drive-in tutto il tempo. Lì ho visto i film di Herschell Gordon Lewis, Blood Feast, 2000 Maniacs, Gore Gore Girls, Color Me Blood Red e cose come Lorna, Mud Honey e Faster, Pussycat! Kill! Kill! di Russ Meyer. Quelli erano i miei Citizen Kane. Sono anche stato arrestato in un drive-in, lo ricordo con grande affetto. Penso che tutti debbano provare l'esperienza di venire arrestati, prima dei vent'anni, e penso che ogni genitore debba preoccuparsi. Penso che sia un percorso di crescita». (cfr. Scott MacDonald, John Waters' Divine Comedy, in Artforum, Gennaio 1982)

 

Herschell Gordon Lewis non era interessato alla sua opera. Non sapeva neppure dove fossero fisicamente i film che aveva realizzato. Ne sa qualcosa chi cerca oggi di mettere in piedi seriamente una sua retrospettiva. L'idea di comparire in una storia del cinema l'avrebbe lusingato, ma allo stesso tempo l'avrebbe fatto sorridere. Ha fatto film per fuggire dall'insegnamento universitario. Per guadagnare più denaro e divertirsi facendolo. Credo che alla fine ci sia riuscito. Ora che se ne è andato, restano i suoi film, che circolano in formato dvd. Ne sarebbe stato felice? Probabilmente non gli sarebbe importato; e non per modestia. Solo perché da queste edizioni non ci avrebbe ricavato mezzo dollaro.

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