5 per mille

Resistenze europee sconosciute

1 Giugno 2025

Ci sono studiosi che tendono irresistibilmente all’universale; non sappiamo se Gabriele Pedullà sia tra questi, certo Racconti della Resistenza europea (Einaudi 2025) segue le due edizioni dei Racconti della Resistenza (Einaudi 2005 e 2024) e, se vogliamo, i Racconti del Risorgimento (Garzanti 2021) che è stato motivo d’ispirazione di certo partigianato, configurandosi dunque come un naturale completamento. D’altro canto libri come questo, o Storia internazionale della Resistenza italiana curato da Chiara Colombini e Carlo Greppi, Partigiani dell’umanità. Le resistenze europee nella letteratura del sottoscritto, pensati prima dell’attuale focalizzazione sull’Europa, quale effetto collaterale del ciclone Trump, sembrano convergere in una medesima direzione. Andare cioè verso quell’espressione geografica più che politica, triste matrigna o malinconica utopia, in cui i nazionalismi dilaganti, necessariamente egoisti ed aggressivi, in un momento di incertezza valoriale e stagnazione economica, hanno fatto paventare a Sergio Mattarella un ritorno agli anni Trenta del Novecento; ad altri una nuova separazione in sfere d’influenza imperiali da anni Cinquanta. Uno spirito del tempo che si incarna nella questione su cosa voglia essere l’Europa. Tanto più in continuità con la riflessione di Pedullà, condivisa con Nadia Urbinati in Democrazia afascista (Feltrinelli 2024), e la sua narrativa nel più politico dei suoi lavori, Certe sere Pablo (Einaudi 2024), concluso con un racconto sulla smemoratezza di un vecchio professore progressista, pronto ad abbracciare le rozze proposizioni di un neofascista di borgata.

Lasciando per ora i motivi ispiratori del volume, se ne può constatare l’ampia struttura di trenta e più racconti, ciascuno di autore diverso, collocati cronologicamente in La Resistenza al presente (1941-aprile 1945) e al passato con l’ultimo pezzo datato 1994; in testa una lunga e densa introduzione del curatore (corredata di bibliografia), in coda le biografie degli antologizzati, opportune perché si tratta spesso di nomi non così noti in Italia. Il primo dato che potrebbe stupire, in uno dei sistematizzatori della letteratura italiana per via geografica in un Atlante (Einaudi 2010), è proprio la collocazione dei testi in ordine temporale. Nell’introduzione si spiega che la ricchezza e varietà del corpus avrebbe potuto essere inquadrata secondo i temi, lo stile o i generi; o ancora per l’esperienza di questi autori, tutti a quel tempo resistenti, in base alla prevalenza dell’Io (un “processo di crescita e formazione” personali), il Noi (“scoperta del mondo esterno”), il Loro (“serbare memoria degli amici e dei compagni”), o addirittura dei nemici. Forse proprio l’apparente neutralità cronologica lascia ogni singolo racconto più aperto alle intersezioni reciproche e alla penetrazione del lettore.

k

Certo la geografia si prende la sua rivincita, allorché Pedullà illumina alcuni paradigmi principali (sebbene non assoluti), che derivano dalle differenze storiche figlie della territorialità: un conto infatti è la “patria ferita, provata ma liberata” con “Parigi quasi intatta” degli scrittori francesi e un altro, per esempio, la Polonia distrutta e sul punto di cadere sotto il giogo sovietico che racconta, nella sua accorata e quasi disperata lettera aperta, Józef Czapski. E non a caso Olivier Wieviorka, forse il più importante storico che ha confrontato con successo le Resistenze europee, si è però limitato all’Occidente. Qui vige, a detta di Pedullà, il “Paradigma della Scelta”, con i suoi tormenti razionali e sentimentali, tutti individuali ma sfocianti nella possibilità dell’unione trasformatrice di sé e del mondo (da altri declinato in senso marxista o cattolico). Il lettore italiano ben conosce tale prospettiva dagli esempi dei personaggi di Fenoglio, del Kim dei Sentieri dei nidi di ragno  o dell’etica ironica di Meneghello. Anne Seghers, nel racconto d’apertura, ci mostra una donna che accoglie lo sguardo dell’Altro, un ragazzo in fuga dalla Gestapo, e che nasconderà anche al marito, convertito soltanto molto più tardi alla stessa decisione: “Fino a quel momento la Meunier era stata una madre come tutte le madri; fare la fila, tirar fuori qualcosa dal nulla e molto da qualcosa, fare lavori fuori casa oltre a quelli dentro casa, tutte cose ovvie. Adesso, sotto lo sguardo del ragazzo, la misura di ciò che era ovvio crebbe di scatto, e con essa le sue energie.”

Per contro il “Paradigma dell’Annientamento” caratterizza i paesi dell’Est, dove l’occupazione nazista fu di una brutalità senza limiti anche al di fuori dei campi di sterminio, cosicché “la ribellione si riduce a un singolo atto simbolico, quasi sempre davanti alla morte”. Sono forse per noi le scoperte più sorprendenti e disturbanti, in opposizione tanto all’ottimismo della ricostruzione postbellica che alle celebrazioni retoriche e costrittive di stampo sovietico: l’umorismo nerissimo di Tadeusz Borowski, la violenza quasi intollerabile in Scuola di empietà del serbo-ungherese Tišma, per fare solo di un paio di esempi. Forse il caso più interessante è quello della ex-Jugoslavia, perché immette l'ulteriore complessità delle differenze etniche, religiose e politiche, rendendo il panorama maggiormente frammentario e confuso, come ha raccontato anche Manlio Cancogni nella sua anabasi balcanica Il ritorno. Inoltre ogni guerra civile prevede un surplus di crudeltà, cosa nota a noi italiani, con la conseguente “tendenza a simmetrizzare le posizioni”, che talvolta si scambiano; di qui tanta letteratura saloina sui voltagabbana, i partigiani dell'ultima ora e l'equiparazione tra i contendenti. Di qui pure, probabilmente per reazione, la tendenza dei narratori italiani a tenere la visione strettamente su di sé (con molta verità e senza omissioni nei maggiori), laddove Duras, in Il signor X, detto qui Pierre Rabbier, si immerge nella psicologia del collaborazionista e lumeggia in profondità il suo rapporto, sul filo della vita e della possibile morte di entrambi, con il nemico; o il Brandys di Intervista con Ballmeyer, in cui un giovane ebreo americano si confronta in modo serrato, politico psicologico e quasi metafisico, con un carismatico ex-criminale nazista.

h

Se diversi sono i paradigmi, altrettanto esteso è il canone, con figure che potrebbero anche non essere stati partigiani (Declino di un combattente), fatti non toccati direttamente dalla Resistenza (Il trombettiere di Samarcanda), o personaggi laterali come il mulo italiano in Russia nel gioiello di Vasilij Grossman La strada. Ed altrettanto vari sono i generi (fino alla riflessione saggistica di Camus o alla lettera di Saint-Exupéry), gli stili e le atmosfere dall'orrore alle risate per i valligiani di Janezziste pronti a correre in soccorso dell'incerto vincitore o dell'imperdibile Corrispondenza su una vacca di Ćopić su due fratelli, spediti dal padre rispettivamente tra i cetnici e i titini, che via via si allontanano abbracciando gli opposti stereotipi ideologici.

Pochissime azioni di raiders invece, nessuna montagna, per fare confronti con la nostra letteratura; la panoramica risulta dunque stimolante per il lettore italiano, che recupera testi tradotti ma spesso di circolazione marginale, oppure offerti per la prima volta, e che è portato ad incuriosirsi attraverso i tanti romanzi citati nell'introduzione. Tornando al discorso iniziale sulla moralità della Resistenza (e di questo libro) per citare Claudio Pavone, non si può tacere la convincente conclusione dello scritto di Pedullà intitolato Insepolti. La memorabilità della letteratura partigiana, tra l'altro scritta da chi ha gratuitamente rischiato del proprio, risiede soprattutto in quel “qualcosa di non pacificato”, che per questo “non ci abbandona”, ma offre anzi “un'ideale protezione” alle nostre fragili democrazie europee. Come scrisse Leo Valiani “lo spirito soffia dove vuole. Ha soffiato per qualche anno, in Italia e nel mondo intero, sugli antifascisti di tutte le tendenze”: in questa antologia chi vuole, tra le altre cose, può cogliere distinto l'eco di quel vento.

Leggi anche:
Mario Barenghi | Gabriele Pedullà, la Storia e noi
Alberto Volpi | Racconti del Risorgimento
Mario Barenghi | Gabriele Pedullà, Biscotti della fortuna

Se continuiamo a tenere vivo questo spazio è grazie a te. Anche un solo euro per noi significa molto. Torna presto a leggerci e SOSTIENI DOPPIOZERO