Luoghi comuni: Sardegna

5 Settembre 2015

Avevamo conosciuto Aldo Nove con Woobinda, allorquando i suoi personaggi smozzicavano attorno a sé interni minimalisti cui Giorgio Falco qualche anno dopo avrebbe dato maggiore corpo, soprattutto illuminati, se non fagocitati, dallo schermo televisivo, confinanti con il supermercato. Oppure nel discontinuo, ma comunque sottovalutato, Puerto Plata Market, dominato da esotismo popolare e a prezzo scontato; ora, in Un bambino piangeva (Mondadori 2015), scopriamo ricordi d'autobiografia infantile in una Sardegna “magica”, secondo risvolto di copertina, “lontana e arcaica”. La sintassi e l'atmosfera sono questi:

Le aquile che sparivano dietro le rocce.

Le rocce che celavano i più oscuri animali.

Ma anche i giganti.

Le fate.

I morti.

 

Insomma dal balbettio dei lumpen del nuovo millennio, a quello dell'ineffabile e della metafisica, con tanto di vecchi venditori di formaggi con i vermi un po' sciamani, di versi sanscriti e salmodie, luminescenze nelle grotte. Il piccolo turista degli anni settanta trova un antesignano nell'incanto per la wilderness – si direbbe un po' più motivato, anche se ugualmente debitore di un'idea già ben sedimentata d'Italia – in D.H. Lawrence e nelle sue Pagine di viaggio (Mondadori 1943): “La vita è primitiva, è pagana, è così stranamente irreligiosa e selvaggia”. Di qui influenze antiche di divinità mediterranee, “sicché andare in Italia e penetrare nel significato è per noi un atto di affascinante auto-scoperta; a ritroso nelle antiche vie del tempo. Strane corde meravigliose si svegliano in noi, e di nuovo vibrano dopo centinaia e centinaia di anni ch'erano dimenticate.” Peraltro Lawrence svolge prosaicamente il viaggio in autobus, descrive sì le processioni, il carnevale di Nuoro, gli “squillanti” costumi delle donne, caratterizzate da “superba dura sicurezza”, la cortesia ritrosa e la semplicità degli uomini, la “visione” di certi paesi di collina, ma con una sostanziale sobrietà e deciso passo narrativo. Dunque la decisiva modellizzazione proviene dai nostri confini. Più precisamente da Grazia Deledda che offre un paesaggio aspro e risonante, un'umanità segnata da antichi delitti (l'Efix di Canne al vento), amori sensuali e peccaminosi in scontro con tabù ancestrali (Elias Portolu), secondo quell’“irresolutezza” giudicata da Vittorio Spinazzola l'elemento più interessante dell’“urto tra vecchio e nuovo”, che investe le istituzioni tradizionali, a partire dalla famiglia (Cenere). Tra i molti esempi possibili un brano dal manuale di Salvatore Guglielmino, che il nostro professore di liceo, originario di Orune, ci leggeva ad occhi lustri:

Ecco a un tratto la valle aprirsi e sulla cima a picco d'una collina, simile a un enorme cumulo di ruderi, apparire le rovine del Castello: da una muraglia nera una finestra azzurra vuota come l'occhio stesso del passato guarda il panorama melanconico roseo di sole nascente, la pianura ondulata con le macchie grigie delle sabbie e le macchie giallognole dei giuncheti, la vena verdastra del fiume, i paesetti bianchi col campanile in mezzo come il pistillo nel fiore, i monticoli sopra i paesetti e in fondo la nuvola color malva e oro delle montagne nuoresi.

 

Questa scrittrice, oggi piuttosto dimenticata, ha impresso quindi una potente impronta sulle successive generazioni di scrittori conterranei. Uno su tutti il prolifico Niffoi (Nuoro 1950), per il quale Adelphi non risparmia nelle alette di copertina un ampio uso del collaudato stampino: Il bastone dei miracoli (2010) è un oggetto magico lasciato in terra dalla divinità luminosa Iridina Monteddada; il vecchio Licurgo Caminera “desidera morire come morivano i patriarchi del mondo antico”, affidando ai figli “le parole di una saggezza ancestrale” e dando vita a “un affresco cupo e sfolgorante di vita barbaricina”. Un “mondo arcaico e feroce” caratterizza la Barbagia di La vedova scalza (2006): amori infelici, uccisioni e vendette, parole fatali dette in sardo con il crocefisso in mano, formule arcane. E ancora orfani ritrovati, salvati e venduti; santuari e sgozzamenti; presagi letti nella natura pastorale o che lasciano stigmate sulla pelle come il fulmine durante una tempesta (Collodoro, Adelphi 2008). Massimo Onofri, nel volume collettivo Sul banco dei cattivi (Donzelli 2006), ha intitolato il suo saggio dedicato a Niffoi (oltre che a De Luca e Santacroce) La retorica del sublime basso, evidenziando “esotismo ed estetismo” ed una prosa “falsa ed eclatante come uno sgargiante gioiello da bigiotteria”. Si legga a tal proposito la seguente citazione presa da L'altro mondo (Frassinelli 2002) di Marcello Fois, terzo romanzo della serie di Bustianu; nessun elemento paesistico tipico ci viene risparmiato, con una ricerca di sonorità e di immagini che segnalano una sorprendente sopravvivenza dannunziana via Deledda: “lirico fino all'orgasmo” per dirla con Caproni, e chiudere il libro:

Il pomeriggio è ocra, e oro, e croco. Le rocce sono ricoperte di una sottile patina brillante diffusa da un sole arancia matura. La porzione insanguinata del tronco delle querce da sughero emana un sibilo sottilissimo contro un accenno di maestrale che eccita i rami e volge le foglie alla pagina scura. L'istante dorato abbraccia la terra, la spalma di pompìa e albicocca. Lo si può vedere dall'alto del faraglione quando si stende in filamenti di nubi porporine. Quando invade le braccia irsute dei ginepri e fa luccicare le distese di frumento selvatico. Tintinna, l'istante dorato, come una musica di ninnoli sospesi nell'aria e poi un suono di polla limpida, di fonte sotterranea, di battito d'ali, d'insetto ronzante...

L'istante dorato del sole a canistedda. Che avvolge d'ambra pastosa il paesaggio fossile e gli uomini che lo abitano; che consola le afflizioni regalando gioielli di corbezzoli gialli e nespole; che intinge di pollini i peli delle api; che allerta gli eserciti delle vespe.

Dal faraglione lo si può vedere chiaramente il pulviscolo d'oro che s'incanala, a valle, tra le cosce spalancate delle colline. Dalla posizione in alto si può assistere allo scolorarsi prezioso e speziato, dal topazio alla senape allo zafferano, dell'atmosfera. Da lì, dalla cresta dell'onda pietrificata, si possono controllare i minuscoli esseri umani a cavallo che discutono al centro della radura, avvolti dall'alito biondo, rinchiusi dal circolo delle rocce.

 

Così i legami di sangue, il ritorno fatale dal continente alla “terra sarda antica, muta e tagliente come il ferro” per essere ammazzati, stando a Lucarelli, conduce il Fois di Ferro recente (Einaudi 1999) alla “tragedia noir”. Da uno scrittore nato nel '60 a Michela Murgia (1973), che ugualmente ambienta i suoi interrogativi morali sul fine vita o sulle crepe nella comunità in imprescindibili confezioni folkloriche; ciò fin dall'evocativo e misterioso nome di Accabadora o alle processioni di due parrocchie che sono sul punto di scontrarsi all'Incontro di Santa Maria, con due Afflitte e due “Cristi bellicosi” (L'incontro, Einaudi 2012). Insomma la Sardegna rappresenta uno dei più potenti stereotipi sul luogo letterario, che meriterebbe di stare in testa a un'integrazione o rovescio dell'Atlante curato da Gabriele Pedullà; stiano quindi attenti il turista e il lettore, nel mettere il piede o l'occhio sull'isola, per non finire in un mondo già da tempo precostruito (a meno che non sia esattamente ciò che vogliono).

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