Teatro greco di Siracusa / Aristofane secondo Ficarra & Picone

13 Luglio 2017

Soddisfare le aspettative di un pubblico ampio senza cedere per questo alla tentazione del mero intrattenimento non è una sfida semplice. Le vie che paiono a prima vista più facili – come quella di scegliere un nome di richiamo, meglio se consacrato da cinema o televisione – spesso rivelano fiato corto e prospettive strette. Per questi (e altri) motivi, la scelta di assoldare Salvo Ficarra e Valentino Picone per l’ultimo appuntamento del ciclo di rappresentazioni classiche al teatro greco di Siracusa è parsa a molti una trovata furba, e tutta orientata al botteghino.

 

Ma chi ha avuto la possibilità di vedere Le rane di Aristofane (esaurito per la maggior parte delle poche date, dal 29 giugno al 9 luglio) si è trovato di fronte un “piatto” complesso e bilanciato, capace di tenere insieme ingredienti apparentemente contraddittori: la regia misurata e poco propensa all’effetto di Giorgio Barberio Corsetti, una coppia rodata di comici televisivi, e un testo stratificato e pieno di riferimenti come Le Rane.

 

Roberto Rustioni nella parte di Eschilo, ph. Gianni Luigi Carnera

 

Lo spettacolo dimostra, fin dai primi istanti, il coraggio di cambiare qualche regola del gioco. Vedere l’ampio palco siracusano (spesso sovraccarico di strutture e orpelli) quasi del tutto sgombro è una prima sorpresa: la bella scenografia di Massimo Troncanetti si costruisce per gradi sotto gli occhi del pubblico, senza cedere all’ansia di creare meraviglia a ogni costo. Anche Ficarra e Picone si concedono un inizio quasi in minore, percorrendo l’ampio spazio circolare in un cauto botta e risposta: sono il dio Dioniso e il suo servo Santia, che cercano una via per scendere nell’Ade. Il rapporto dialettico servo/padrone tra i due personaggi (propositivo e un po’ borioso il primo; scansafatiche, furbo e lamentoso il secondo) ben si adattano alle consuete dinamiche del duo; e da questo punto di vista il testo aristofaneo – che non lesina botte e schermaglie verbali –  sembra vestire a pennello sulla coppia siciliana.

 

Ma Le rane offrono ben più di una oliata partitura comica, e richiedono al regista e ai protagonisti un deciso intervento interpretativo. Il viaggio negli Inferi ha come obiettivo quello di riportare sulla terra un poeta tragico, e a Dioniso toccherà fare da giudice tra Eschilo ed Euripide, scegliendo chi tra loro è in grado di apportare maggiore beneficio alla polis. Ma se lo spettatore ateniese di allora ben conosceva i due autori che applaudiva ogni anno a teatro, come si può oggi rendere fruibile la complessa kermesse letteraria? Barberio Corsetti sceglie di non proporre forzate attualizzazioni, e tenta piuttosto di marcare i due ‘tipi’, lasciando il pubblico libero di sviluppare eventuali analogie: l’Euripide di Gabriele Benedetti è un dandy con foulard rosso, mentre l’Eschilo di Roberto Rustioni vanta una lunga barba da rabbino, e un cappotto nero e cupo come il suo carattere.

 

Il coro degli iniziati, ph. Franca Centaro

 

Solo alla fine, quando l’immaginario dello spettatore ha ormai avuto modo di procedere per libere associazioni, Corsetti consegna la propria visione: ed ecco apparire su uno schermo il giovane Pasolini e il vecchio Ezra Pound, in un brevissimo spezzone di intervista che chiude lo spettacolo.
L’atteggiamento cauto e rispettoso nei confronti del testo mostrato da Corsetti contagia gli stessi Ficarra e Picone, che si concedono solo pochi (e applauditissimi) ‘fuori programma’, per rientrare immediatamente nei binari dell’originale. La traduzione di Olimpia Imperio, attenta alle dinamiche del comico, consegna agli attori e al pubblico una drammaturgia dall’ottimo ritmo, con riuscite aperture metateatrali, e del tutto priva di certe pruderie traduttive che impediscono ancora oggi di apprezzare gli aspetti più grevi e pepati della commedia antica. Ma perché allora non aggiornare o tagliare –  almeno in fase di creazione del copione –  certi riferimenti minuti alla società dell’epoca (come Iofonte e Toricione, e altri sconosciuti)? I pochi appuntamenti drammaturgici mancati, non tolgono comunque l’impressione di uno spettacolo del tutto contemporaneo: tanto sul piano dell’estetica per nulla archeologica dell’allestimento, quanto su quella dei modi e dei ritmi attorali.

 

Fondamentale, in questa prospettiva, anche l’apporto del gruppo musicale “Sei Ottavi”, al quale si deve una partitura sonora tutta vocale che accompagna l’intero spettacolo: il celebre coro onomatopeico delle Rane (“brekekekèxkoàxkoàx”) prende così vita in un motivetto irriverente e leggero che si insinua nelle orecchie degli spettatori, mentre l’ottimo Corifeo Gabriele Portoghese guida le danze del Coro degli Iniziati. A emergere, in definitiva, è un ben assestato lavoro di squadra: gli applausi calorosi rivolti all’intera compagnia confermano come queste Rane non vadano considerate uno show costruito a tavolino per due divi del piccolo schermo, e come la scommessa di parlare a un pubblico ampio e composito si possa considerare vinta.

 

Il tema della commedia aristofanea, del resto, incoraggia riflessioni fuori e dentro la scena: il dibattito infero ha come oggetto proprio il ruolo dell’arte in relazione alla polis, e la capacità del teatro di incidere sulla vita (e sui gusti) del cittadino. E oggi? Quale Eschilo andrebbe premiato per la sua capacità di parlare alla comunità? Ed esiste un teatro capace di comunicare alla polis nella sua interezza?

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