Definisci propaganda

3 Agosto 2015

Che cosa è propaganda, oggi e in democrazia? Gino Boccasile, cartellonista ma anche ufficiale delle SS, fu l'autore di un esemplare manifesto durante la Repubblica di Salò. Gli si chiedeva di mettere in buona luce i nazisti presso la popolazione civile. Nacque il nazi sorridente, con la mano tesa e un titolo che recitava "La Germania è veramente vostra amica". Nell'Italia di quei giorni, tra rastrellamenti e fucilazioni, si può immaginare anche un solo passante disposto a farsi convincere da quella sinistra apparizione?

 

Gino Boccasile, La Germania è veramente vostra amica

 

Semplicemente, non era vero. Tutta la realtà intorno a quel rettangolo di carta azzerava ogni intento propagandistico. Tanto che, come testimoniato da Dino Villani, poco dopo la prima pennellata di colla sui muri, i manifesti repubblichini erano già strappati e per terra. Puniti, possiamo dire, per aver così ostinatamente negato il vero, con quella fissità tipica dei regimi assoluti, i cui messaggi in sostanza ripetono sempre lo stesso significato: ora parla solo il potere, che racconta la sua stessa perfezione.

 

L'essere umano crede alla propaganda? Se davvero vi aderisse nessun regime cadrebbe. In quale momento, infatti, le falsità di una dittatura smettono di essere affermate? Mai. Vengono propalate fino all'ultimo – a riprova del fatto che la propaganda è l'espressione naturale di ogni autoritarismo. Tuttavia le rivolte avvengono, i tiranni cadono. Se però non ci si credeva veramente, e ciascuno sapeva che il nazi non era affatto nostro amico, a cosa servirono manifesti eccetera?

 

Nella modernità la propaganda mette in chiaro chi comanda. Perché solo chi ha potere può occultare il vero. A molti uomini questo basta per accodarsi. Però in pochissimi le credono, suvvia. Ciò che i governati traggono da quegli slogan non è certo qualche nuova convinzione – credere obbedire combattere? – bensì chiarezza sulla nuova fonte del potere e sulla sua intensità. Certo, con la propaganda esprime controllo sui media e organizza culturalmente i suoi adepti. Niente però tranquillizza il potere come l'idea di una massa credulona, e quei manifesti sono i suoi veri auspici, utili per illuderlo che il popolo non stia pensando. Fino al brusco risveglio.

 

E oggi, in una democrazia plurale? Prima che il muro comunista crollasse, la propaganda di partiti e organizzazioni in Italia esprimeva mondi totali e contrapposti, fideismi rivolti ai propri militanti, vangeli chiusi al mondo esterno. Oggi però, se la propaganda sopravvive, è solo per paura. Anche chi comanda può provarne, davanti a un mondo così affollato da media, talk, web, social e via dicendo, nel quale ogni sua parola rischia di perdersi. Il potere italiano ha amato l'idea di una massa plasmabile. Adesso guarda House of Cards sospirando come un innamorato. Se il consenso va giù, è per "problemi di comunicazione", non certo perché la gente giudica ed è scontenta. Il sottinteso è chiaro: avessimo ammannito meglio il nostro piatto del giorno, l'avrebbero adorato.

 

La propaganda sopravvive finché la democrazia non cambia le menti. Perché sopravvive un'idea di popolo passivo, governabile con l'artificio, con gli "stai sereno" da contraddire liberamente. Serve una nuova narrazione, si legge, non questa ma un'altra, no un'altra ancora, come se lo storytelling politico non dovesse applicarsi in democrazia alla divulgazione dei fatti veri, delle decisioni politiche, delle emergenze da fronteggiare, ma fosse invece una sorta d'intrattenimento alternativo. Come se la coolness di Obama consistesse nelle visite ai fast food e non nel saper parlare credibili linguaggi di verità a Selma come a Detroit.

 

Qualche giorno fa Renzi ha istruito i suoi uomini televisivi invitandoli, con metafora calcistica, ad adottare nei talk show il possesso palla Barcellona-style, ovvero il proverbiale tiki-taka che neutralizza il gioco avversario impedendolo in radice, requisendo il filo del discorso per condurlo, indisturbati, al goal delle proprie conclusioni. Io tengo la palla, tu guardi. Non mi affermo nel confronto. Anzi, metto in atto strategie che impediscano al tuo discorso di esprimersi.

 

Nonostante il termine pop, il tiki-taka di Renzi non è altro che la vecchia assenza di conversazione, un altro nome del monologo di potere. Un anacronismo illusorio, perché in una società plurale non c'è modo per tacitare l'avversario, e la palla non la togli a nessuno, per il semplice fatto che non c'è più un solo campo da gioco, ma ne esistono di infiniti e continuamente proliferanti.

 

Attraverso questi precetti il potere politico italiano esprime la sua vecchiezza profonda, la sua inadeguatezza ai tempi, vestita di nuovo quanto si vuole ma al fondo incapace di accettare l'idea di un mondo in dialogo, basato sulla presa di parola. Non è seguendo queste vie opache, che concilieremo democrazia e comunicazione.

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