Elvira Seminara. Scusate la polvere

14 Settembre 2011

A trentacinque anni si è appena ragazzi, a quaranta giovani, a quarantacinque fieramente immaturi, a cinquanta si preferisce sdoganarsi da ogni sorta d’allusione anagrafica. Se la mezz’età non si sa più bene a che punto stia è perché quei ragionevoli trentacinque del “mezzo del cammin di nostra vita” ormai stridono e infastidiscono. Eppure il colle c’è ed Enza, la protagonista dell’ultimo romanzo di Elvira Seminara, Scusate la polvere (nottetempo, pp. 206, € 12), si trova appena oltre quel segmento di vita. Ha un lavoro non proprio legale, per scelta non ha figli, ha due amiche fin troppo presenti, ha una madre con l’Alzheimer. E aveva un marito; che aveva un’amante; che aveva a sua volta un marito. I due concubini se ne vanno abbandonando i rispettivi coniugi. Ma nessuna fuga, né all’inglese né da ladri. Bensì un salto, giù nel fosso di Santa Filomena sulle colline agrigentine, tra le braccia della patrona delle cause impossibili. Una sterzata, un volo e uno schianto. Enza si trova tutto d’un colpo vedova, cornuta, fantasma solitario nella terra di mezzo della propria vita. Perché se devi rimanere vedova, dice lei, è meglio a quaranta, perché a quarantacinque sei già “un ibrido senza identità, un refuso sociale, un ingombro antropologico”. E dunque, che fare?

 

Raccogliere, lavare, buttare. I resti di una vita metterli in uno scatolone e spingerli nel corridoio, pronti a prendere la via del cassonetto. Queste le intenzioni, i fatti ben altri. Perché nei detriti ci si inciampa di continuo, tornano a galla, non si fanno nascondere sotto un tappeto. E poi il bisogno di capire e sapere spinge Enza ad indagare sull’origine della sua “vedovanza da cornuta postuma”: chi era l’amante di suo marito? dove si erano conosciuti? cosa facevano insieme? Questa è la polvere di Enza, quella che impedisce alla vita di scorrere, e rimane lì a bruciare gli occhi e a sporcare le mani.

 

Il titolo di questo romanzo è un omaggio scoperto a Dorothy Parker, la caustica scrittrice americana che fu protagonista della vita newyorkese degli anni ’20. Scusate la polvere è l’espressione che la Parker suggerì come proprio epitaffio, dentro cui è concentrata tutta la sua ironia graffiante e il suo dolore. Questi vorrebbero essere gli stessi ingredienti del romanzo di Seminara ma purtroppo qualcosa manca. O forse abbonda. Perché lo stile è appesantito da una proliferazione linguistica eccessiva fatta di neologismi e giochi di parole – come quei “dolcetti durissimi che sanno di pene vecchio. (Volevo dire pane, ma era duro anche il fallo coi canditi rossi, a pensarci)” che l’invadente portinaia regala alla giovane vedova. Questione di ritmo? Di misura? In ogni caso l’effetto è lievemente indigesto. La narratrice ammicca e strizza di continuo l’occhio al lettore e anche se a volte riesce nel suo intento spesso ci si sente costretti a divertirsi per le sue trovate. Ed è come ad un party, quando il brillantone vuole a tutti i costi far ridere e per evitare l’imbarazzo generale ci si imbalsama in un sorriso stiracchiato. E appena il suddetto si allontana per allietare altri ospiti, chi resta tira un sospiro di sollievo e si rilassa in una inevitabile smorfia annoiata.

 


 

La narrativa italiana conosce un momento particolare. Sarà per via dell’aumento vertiginoso delle pubblicazioni – romanzi e racconti –, sarà forse per l’arrivo di una nuova generazione di scrittori, nata a metà degli anni Settanta, e anche dopo, ma non passa settimana che non escano libri nuovi, e anche interessanti. Non tutti ovviamente, anche perché l’attuale ritmo editoriale, imposto dalle leggi del marketing, sollecita anche gli scrittori già affermati – quelli della generazione degli anni Sessanta – a pubblicare un libro ogni anno, o quasi, non sempre con risultati soddisfacenti.

 

In questa massa di opere come orientarsi? Quali libri leggere? Quali no? Chi consiglia a chi? Tutti interrogativi cui vale la pena di rispondere. Come? Provando ad affidare il compito di leggere e recensire i libri ad una nuova generazioni di lettori, e soprattutto di lettrici – sono le donne a leggere più libri di narrativa, o più libri in generale, rispetto agli uomini. Ecco allora che inizia con questo primo articolo una “rubrica” di recensioni scritte da persone che debuttano in quest’attività portando con sé uno sguardo che non è quello dei critici di professione attivi su quotidiani, settimanali o riviste.

Pezzi non troppo lunghi, da leggere velocemente, ma sempre con una visione attenta e informata del libro che prendono in esame. Si chiama Italic, dal nome del carattere a stampa: un classico prodotto italiano.

 

 

 

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