La ragazza Carla. Intervista a Gabriella Giandelli

18 Settembre 2015

Carla è una giovane donna milanese. Figlia della vedova Dondi, piccolo borghese che fabbrica pantofole, vive nella prima periferia insieme alla madre, e frequenta la scuola per dattilografe. Priva di una vera spinta interiore, Carla passa subito dopo l’apprendimento scolastico sulle tastiere a lavorare presso una ditta, la Transocean Limited Import Export Company, situata in Piazza Duomo. Il poemetto di Elio Pagliarani è uno dei capolavori della poesia italiana della seconda metà del Novecento. Scritto dall’autore, un romagnolo arrivato a Milano nell’immediato dopoguerra, quale risposta all’impatto con la città lombarda, dove si era trovato a vivere e lavorare, è la perfetta descrizione dell’anima di questa città. Pubblicato in forma definita nel 1960, è in origine un soggetto cinematografico che Pagliarani aveva pensato di sottoporre a Zavattini e De Sica nel 1947.

 

Elaborato lentamente, comparve in rivista con l’avvallo di Elio Vittorini verso la fine degli anni Cinquanta. Il ritmo del racconto è dato dalla voce narrante, che spinge in avanti la storia aggiungendo dettagli e particolari alla grigia vicenda di Carla, entrando nei suoi pensieri, descrivendola contemporaneamente dall’esterno, secondo quella che Guido Guglielmi ha definito in modo perfetto la sua “plurivocalità”. La chiave dell’intero poemetto, ha scritto Andrea Cortellessa in Elio Pagliarani, la parola che parla (La fisica del senso, Fazi), sta in un verso icastico: “Sono momenti belli”. Carla è mossa da ordini volgari, immersa nel clima della sua azienda, dove subisce anche le attenzioni del principale. Pagliarani racconta Milano, il suo grigiore, il ritmo cadenzato degli abitanti che lavorano incessantemente sospinti da un passo quasi militare (“quella gente che marcia al suo lavoro/ dritta interessata necessaria/ che ha tanto fiato caldo in bocca/ quando dice buongiorno”). Nella sua anafettività Carla è capace di piccoli momenti di gioia, rivelazioni quasi zen, che la voce narrante intravede in lei, mentre tutto scorre, immersa senza posa nel movimento intorno. Il film di Alberto Saibene, La ragazza Carla, ricavato da un progetto di Luca Bigazzi, Carla Chiarelli, Carlotta Cristiani, Gianfilippo Pedote e Simone Pera, ha scelto di dire il poemetto con la voce di Carla Chiarelli accostando al racconto le struggenti immagini della “Milano che sale”, tratta da filmati d’epoca, anni Cinquanta e Sessanta, rigorosamente in bianco e nero, inserendo spezzoni della Milano attuale, a colori, ravvivati dalla bravura fotografica di Luca Bigazzi. Come nel poemetto di Pagliarani, anche qui la protagonista della storia è Milano, con le sue periferie, i tram, le vie vuote, le fabbriche, le strade del Centro, il formicolio della folla. Carla si moltiplica in tante immagini di donne, sebbene sia sempre una sola, quella rappresentata dalla voce di Carla Chiarelli, ritratta nel film mentre recita il poemetto. Elio delle Storie Tese vi figura in estemporanei inserti nelle vesti di un professore, caricaturale e imprevisto.

 

Tra i momenti più belli dell’intera pellicola vi sono i disegni di Gabriella Giandelli, una delle più brave disegnatrici e illustratrici italiane, indagati dall’occhio della macchina da presa. Raffigurano i luoghi di Carla: il portone di casa, le scale, l’ufficio, il comodino nella camera da letto, le strade della periferia. Disegnati con un tratto realistico, come tutta l’opera di Gabriella Giandelli, gli spazi e gli oggetti sono immersi in un’atmosfera onirica, di sogno, definiti da un’aura di sospensione, che è la stessa di alcuni passaggi del poemetto di Pagliarani. Saibene, che firma la regia, e i suoi coautori, hanno scelto di evidenziare quello che Walter Siti in un commento della Ragazza Carla ha definito il “valore morale autonomo nella rinuncia alla gioia”. Il grigiore ricopre Carla e la città, come una coltre spessa e inamovibile che Pagliarani definisce parlando del cielo (“d’acciaio”); il tutto accompagnato nel film dalle musiche originali di Pietro Dossena. Il montaggio realizzato da Maria Chiara Piccolo e Carlotta Cristiani, con il fondamentale contributo di Luca Bigazzi e Simone Pera, esalta questo inno alla gioia rovesciato. Lo evidenzia il ritmo scorrevole, eppure sempre lento, anche quando le immagini paiono accelerare, quasi a indicare quel “desiderio di frustrazione” (Siti) che Pagliarani ha immesso nel suo poemetto. Una scelta coerente. Vale anche per questa poesia delle immagini quello che Siti ebbe a dire del poema di Pagliarani, ovvero che il protagonista dei versi non è tanto, o solo, Carla, o lo squallore delle periferie, quanto piuttosto il lavoro, quello alienato, negatore di ogni libertà; ma anche la poesia (e in questo caso il film) è lavoro “che riceve la propria dignità dal fatto che è faticoso, sofferto, in ultima analisi sfruttato”. C’è anche nel film un tratto moralistico che fa pensare a questa opera cinematografica come a uno specchio girato su se stesso: De te fabula narratur. Abbiamo posto a Gabriella Giandelli alcune domande sul suo lavoro in La ragazza Carla.

 

 

 

Conoscevi il testo? Come ti sei avvicinata? Cosa ti è servito per
ricostruire quella Milano?

 

Non avevo mai letto prima Pagliarani. Quando ho accettato di collaborare al progetto quindi il mio interesse era rivolto principalmente al desiderio di lavorare sul tema di Milano, sul periodo tra dopoguerra e l'avvento del boom economico, che trovo ricco di immagini seducenti. Ho iniziato a leggere il testo, molte e molte volte. Ogni lettura mi forniva nuove immagini, il testo è di una enorme ricchezza e densità. Poi è stato coinvolgente ascoltarlo recitato da Carla Chiarelli, mi sono apparsi ancora altri scorci che non avevo incontrato prima nella mia lettura in solitario. A quel punto ho cominciato a radunare dei materiali fotografici che avrebbero potuto servirmi, soprattutto foto di uffici e interni trovate su libri, vecchie riviste e sul web.

 

Studio Pratek

 

Come hai scelto le tavole da illustrare. C'è stato un metodo di
lavoro con la produzione oppure hai lavorato liberamente?

 

C'è stato un lavoro libero ma condiviso, in alcuni casi io ho proposto di sottolineare certi punti del testo e in alcuni il regista mi ha chiesto di illustrarne altri. Inizialmente ho proposto una mia scaletta di luoghi importanti per la storia: ovviamente l'ufficio dove Carla va a lavorare, la casa che divide con la madre, la sorella e il cognato, la casa del suo capo il signor Pratek...

 

 

Le tavole hanno una funzione drammaturgica, servono per descrivere
 alcuni ambienti (la casa di Carla, l'ufficio, la casa di Pratek), ma anche per restituire le emozioni della storia o qualcosa che a volte nel testo non c'è (la foto del marito della vedova Dondi). Come hai 
lavorato per arrivare a questo risultato?

 

Fin da subito ho pensato che all'interno del film i miei disegni avrebbero dovuto svolgere una funzione diversa da quella esercitata dalle altre immagini. Ho capito che sarebbero stati gli occhi di Carla, il mondo attorno visto da lei. Così ho messo i colori e ho cercato di rendere anche una certa magia che è nello sguardo di una persona giovane, qualcuno che è ancora in quella fase della vita in cui gli occhi "brillano" e ci si stupisce con molta facilità. Quando lavoro a un testo parto sempre dal presupposto che il mio disegno debba aggiungere qualcosa, mai essere didascalico. Mi piace pensare che i miei disegni lavorino in armonia con la parola e uniti ad essa costruiscano il linguaggio dell'opera. Questo probabilmente è indotto dalla mia esperienza come autrice di fumetti.

 

Casa di Carla

 

Cosa ti lascia questa esperienza? È più in generale come vedi una 
collaborazione tra cinema e illustrazione?

 

Credo che in questo periodo il binomio cinema-disegno possa trovarsi in un momento importante. Finora sono stati utilizzati i disegni quasi solo nel cinema di animazione ma io sono convinta che ci si possa concedere nuove sperimentazioni. Le contaminazioni tra discipline diverse di solito danno luogo a prodotti interessanti e poetici. Credo che ora esista un pubblico interessato a nuovi linguaggi e in questa direzione si è fatto poco, c'è ancora tantissimo da esplorare e sperimentare. Questa esperienza è stata per me estremamente positiva, sia a livello professionale che umano, mi auguro di poter collaborare nuovamente a progetti di questo tipo.

 

Calze di seta

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