Speciale
Paesi e città. Cusano Milanino
C’è silenzio tra le vie del Milanino. Escluse le poche strade più trafficate, in certi pomeriggi d’estate, lungo vicoli e viali alberati si sente solo il rombo di qualche piccolo aereo decollato dal vicino aeroporto civile di Bresso, il frinire disperato delle cicale e il vento tra le fronde degli alberi.
È uno dei suoni che preferisco, la lingua del vento che non so decifrare e che mentre passeggio sembra parlare con i suoi accenti diversi, la voce profonda dei tigli maestosi, il tono più morbido degli aceri e dei bagolari, lo sfrigolio increspato delle magnolie o l’accento vivace delle foglie dei pioppi e delle betulle, che sembrano tintinnare tutte insieme mentre si rovesciano e cambiano colore.
Camminando per le vie della Città Giardino, le molte voci del vento attirano l’attenzione come un richiamo, mi pare di riconoscere la stessa lingua con cui cantano i boschi delle montagne in cui sento sprofondare le mie radici. La stessa lingua, forse un dialetto diverso, che attutisce la distanza e lo spazio che la riempie, che porta storie che non so afferrare.
Durante le passeggiate con il mio cane, giro senza un itinerario preciso, modulando il ritmo del passo e dei pensieri, allungando la strada con digressioni e deviazioni improvvise, scegliendo le vie meno battute, gli scorci nascosti, le strade silenziose e fiorite, mentre il mio cane, invece, mi trascina verso altri passi, mendicando carezze e attenzioni.
Qualche mese fa, proprio nel punto in cui sono ora, nei pressi della torre dell'Acquedotto, una signora mi ha fermata chiedendomi di poter offrire un biscotto al mio cane. C’era ancora freddo, gli alberi spogli e l’aria bagnata, e mentre il mio cane le faceva le feste, lei ha iniziato a parlare del suo, che non c’era più, ma i biscotti li teneva ancora in tasca, e poi ha parlato di lei, del suo passato nelle scuole di Cusano, della sua esperienza nell’amministrazione comunale, della vocazione per l’istruzione e dell’amore per gli animali. “Sono stata il primo assessore in Italia con delega agli animali” mi aveva rivelato con un certo orgoglio.
Poi ci siamo salutate. Non so se quel primato fosse documentato, ma il dono inaspettato di quella storia personale mi aveva fatta pentire, per qualche momento, di cercare sempre le strade vuote, di fuggire gli incontri ed evitare gli inciampi. Improvvisamente, mi pareva che proprio lì si annidasse il segreto dei luoghi che attraversiamo, il modo per disvelarli.

Quella volta avevo proseguito lungo il viale che prende il nome da Luigi Buffoli, passando accanto al suo monumento, che troneggia dentro un prato punteggiato da cornacchie e bordato da filari di platani.
Il complesso in marmo a opera di Ulisse Stacchini, architetto che ha firmato anche i progetti della stazione Centrale e dello stadio Meazza di Milano, è dedicato al fondatore dell’Unione cooperativa e artefice della prima Città Giardino d’Italia. Questo sì, è un primato accertato, il Milanino è la prima applicazione italiana del modello urbanistico delle Garden Cities di stampo britannico, con le sue solenni ville storiche e la natura che dilaga, e un regolamento comunale che ancora oggi frena l’ascesa delle nuove costruzioni e tutela il verde delle piante ad alto fusto e delle essenze pregiate.
Oggi, però, non arrivo fino al monumento, giro prima, in via Costanza, una piccola strada con marciapiedi d’erba che costeggia la scuola e il suo cortile. Qui, durante un'altra passeggiata, una signora era uscita dall’ombra del suo giardino per salutare il mio cane e mi aveva raccontato di essere caduta, mentre era sola, e di essersi ferita. Un po’ per formalità, un po’ per sincera preoccupazione, le avevo suggerito di fare attenzione, ma lei non mi aveva ascoltata e aveva continuato a parlare dei suoi cani, che non la finivano più di abbaiare. Quel giorno non lo sapevo ancora, ma nella casa accanto alla sua era solita trascorrere le vacanze Amalia Moretti Foggia, la prima donna in Italia a essersi specializzata in pediatria nel 1899 – un altro primato – conosciuta dai più con l’alias del “Dottor Amal”, con cui firmava articoli di divulgazione su “malucci e malanni e su piante alimentari e medicinali” sulle pagine della Domenica del Corriere, o come “Petronilla”, pseudonimo con cui, sulla stessa rivista, proponeva ricette in tempo di guerra, insegnando alle amiche lettrici “la cucina del senza”.
I marciapiedi erbosi di via Costanza, lambiti da arbusti di oleandro e ibisco e dai rami bassi delle robinie che a luglio straripano dai cortili ed erompono nella calura feroce del pomeriggio, conducono in via dei Tigli, dove titani nodosi ombreggiano le dimore storiche dei tempi della fondazione e le costruzioni più recenti e intrecciano le chiome in una volta verde scuro, tremolante e bucherellata da sottili raggi di sole. Qui bastano pochi metri per incontrare la casa in cui è vissuto Isidoro Bianchi, ragioniere e agronomo che nei primi anni Venti del secolo scorso allestì in questo giardino il suo pollaio ideale e selezionò il Pollo Milanino, razza sintetica dal piumaggio candido e soffice, scomparsa e poi recuperata nel 2009, grazie a un progetto dell’Università degli Studi di Milano.
Abbandono l’ombra gentile dei tigli, che in questo periodo, in certe ore del pomeriggio, saturano l'aria con il loro profumo dolciastro e giro a sinistra in via Ligustro e poi di nuovo a sinistra prendendo via delle Rose, con i suoi giardini colorati di lavanda, roseti e aceri giapponesi. Proseguendo tra palme, sempreverdi e profumate siepi di falso gelsomino, si trova una casa squadrata color ocra chiaro. Qui ha trascorso la vecchiaia Alfredo Gallo, avventuriero esperto di ghiacci polari che prese parte alla spedizione artica guidata da Umberto Nobile nel 1928. A villa Evelina, che porta il nome di sua moglie, e nel suo diario, donato dagli eredi alla biblioteca comunale, narrava le sue avventure tra “Giganti e pigmei alla King’s Bay”, di quando dalla nave posacavi ancorata alle Svalbard manteneva i collegamenti radio con il campo base di Ny Aalesund, dove si trovava l’hangar del Dirigibile Italia.

Superata villa Evelina, mi affaccio su via Ginestra, che porta verso Cusano e si ferma davanti alla Casa di comunità. Attraversando via Sormani, trafficato spartiacque che taglia il Comune a metà, abbandono quindi il Milanino per entrare a Cusano, l’altra anima e l’altro volto del paese, quello con le vecchie corti e le antiche cascine e i palazzi tirati su dalla Cooperativa edificatrice per far fronte all’emergenza abitativa nel Nord Milano e all’ondata di immigrazione operaia agli inizi del Novecento.
Ritrovo ombra e quiete in via Monte Bianco, che sfocia all’ingresso del Cimitero. Qui sono sepolti Luigi Buffoli e Petronilla, ma anche Gian Rinaldo Carli, letterato e filosofo che nella seconda metà del Settecento fu tra le firme di Il Caffè, la rivista illuminista fondata a Milano dai fratelli Verri, insieme a Cesare Beccaria e al gruppo di intellettuali dell'Accademia dei Pugni.
E sotto i cipressi e la ghiaia bianca riposano anche Ugo de Rosa, maestro telaista, uno dei più grandi nomi dell’industria ciclistica italiana e Alfonsina Strada, altro personaggio pioneristico del ciclismo in Italia, prima e unica donna a gareggiare al Giro d’Italia, nel 1924.
Se dal Cimitero prendo viale delle Rimembranze verso via XXIV Maggio e costeggio le Poste e il Municipio progettato da Vico Magistretti, finisco in viale Matteotti, la via centrale del passeggio, orlata dai tigli e dalle vetrine e, poco più avanti, dentro un’altra storia di biciclette.
Nello slargo che fu la Cort di Bagn, che fino agli anni Cinquanta ospitava l’edificio con i bagni pubblici, viveva nel primo Novecento Luigi Oriani, operaio meccanico e cicloamatore che nel 1909, dopo aver seguito con trepidazione ed entusiasmo il primo Giro d’Italia, aveva speso le sue ferie per replicarlo quasi interamente da solo, a cavallo della sua bicicletta.

Sullo stesso lato, lungo viale Matteotti, trovo la biblioteca comunale, il primo luogo in cui ho lavorato, arrivata da poco a Cusano, altro prezioso rifugio di storie, e, poco dopo, affacciata sul torrente Seveso, Villa Alemanni. Da qui si diceva fosse passato Guglielmo l’armato, capitano di ventura, a cui, secondo lo storico cusanese Vittorio Ansaloni, faceva capo una delle compagnie di ladri e masnadieri nate nella seconda metà del 1300, che predava la Romagna “forte di tremila cavalli e di numerosa fanteria, tutta gente dedita al saccheggio, agli incendi ed alle ladrerie” e che consentì a Guglielmo di trascorrere qui una più che agiata vecchiaia.
Subito dopo il ponte sul Seveso, si apre un’area verde da poco realizzata sull’antica strada che costeggiava il torrente, oggi accompagnato da una fila alternata di tamerici e salici piangenti nel tratto che termina in piazza Cavour, animata da voci allegre di bambini. Vengono dalla scuola dell’infanzia che occupa oggi villa Venini, che a fine Ottocento diede i natali a Paolo Venini, fondatore a Murano di una vetreria d'arte di successo mondiale, di cui il MOMA ospita ancora alcuni pezzi.
Sull’altro lato della piazza si staglia il fianco orientale di Palazzo Omodei, recentemente ristrutturato.
Della storia di questo gioiello barocco, del suo fastoso passato seicentesco, del suo più turbolento destino nei secoli successivi, prima di essere dimenticato nel Novecento, così come del suo possibile futuro e delle altre storie che racchiude tra gli stucchi e le pareti affrescate, ho provato a raccontare negli ultimi anni, fuori e dentro il palazzo, insieme ad altre voci appassionate, fondando un’associazione con il preciso scopo di farle rivivere.
Perché quando un luogo ti accoglie è giusto ricambiare facendosi carico di un po’ della sua storia. E mettersi in ascolto delle storie che li abitano è un modo di stare nei luoghi, di appartenervi, soprattutto se li si è scelti o ci si è capitati. È anche un modo, credo, di comprendere il loro presente e di immaginare il loro futuro.

È arrivato il momento di rincasare, riprendo viale Matteotti tornando sui miei passi e svolto in via Tagliabue. Qui ha sede l’Archivio Storico di Cusano Milanino, a cui devo le storie tratteggiate in queste righe e molte altre di cui mi ha fatto dono, alcune vere, altre plausibili, molte suffragate da fonti certe, altre tramandate di bocca in bocca, di casa in casa, almeno una ufficialmente smentita.
L’Archivio le registra, le cataloga, le digitalizza, ma soprattutto le racconta. Che forse non è il più accurato tra i modi per conservarle, ma è sicuramente il modo migliore per non farle morire.
Di recente, l’Archivio Storico ha collaborato, tra gli altri, a un progetto realizzato insieme alle scuole e ad altre associazioni locali e condotto dall’Associazione Sorriso, che si propone di rispondere alle necessità e ai bisogni delle persone con disabilità e delle loro famiglie.
Si tratta di un progetto ambizioso: realizzare un atlante della Città Giardino.
Lo hanno chiamato “Atlante” come le raccolte di carte geografiche e nautiche che nel Rinascimento ereditarono figurativamente il destino del mitologico titano condannato a sostenere sulle spalle la volta celeste, perché destinate, loro, a reggere e contenere la conoscenza del mondo.
Come a ribadire che la conoscenza, la vita e il destino di un luogo si reggano sulle sue storie, sulla capacità di raccontarle e sulla disponibilità ad ascoltarle, custodirle e non farle finire. O almeno così mi piace pensare.
Da qualche giorno, quindi, dietro il monumento in viale Buffoli si trova una mattonella dipinta, con un QR code che apre ad altri itinerari e ad altre storie, disseminate tra le vie del Comune, recuperate e narrate dalle voci dei ragazzi dell’associazione. Si clicca sullo schermo dello smartphone e le loro voci si liberano nell’aria e viaggiano insieme a quella del vento e ai suoi racconti, che ancora non riesco ad afferrare.
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