50 anni di cronache e leggende / Paola Agosti. Elogio della discrezione

14 Novembre 2019

Con la spiazzante saggezza dell’incoscienza, Forrest Gump ripeteva spesso che “la vita è come una scatola di cioccolatini: non sai mai quello che ti capita”. Vero. Lo stesso si potrebbe dire delle evoluzioni artistiche di stili e linguaggi, di scrittori, artisti e fotografi. Ai suoi esordi con la macchina fotografica, Paola Agosti non sapeva cosa le avrebbero riservato i sali d’argento. All’epoca frequentava i teatri d’Italia, come fotografa di scena. Dietro le quinte. Attenta a non disturbare lo spettacolo: a non oscurare l’immagine degli attori. Aveva iniziato al Piccolo di Milano, introdotta da Augusta Conchiglia. 

 

Era la fine degli anni sessanta e Paola Agosti era una giovane ragazza cresciuta a Torino. A casa sua era facile incontrare personalità del mondo politico e della cultura. Il padre Giorgio era stato partigiano e magistrato. Questore di Torino all’indomani della liberazione, poi dirigente d’azienda. La madre, Ninì Castellani Agosti, era la storica traduttrice di Jane Austen in Italia. Tra le più apprezzate, tanto da esserle poi intitolato un prestigioso riconoscimento. Primo Levi era un amico di famiglia. 

Forse è stato proprio nell’ambiente domestico che ha sviluppato il suo sguardo preciso e attento. Capace di cogliere la cronaca dal punto di vista di chi la osserva e di chi la vive, di proiettare chi si ritrova per le mani una sua foto hic et nunc proprio in quella stanza e in quel tempo. Con disinvoltura e senza soggezione, né impazienze.

 

Primo Levi, Canale (Langhe, Piemonte) 1978.


Trovarsi al momento giusto e nel posto giusto. Saper cogliere l’occasione con la dovuta discrezione. Questo è a mio giudizio il fil rouge dell’attività di una donna che oggi festeggia i suoi primi 50 anni con la macchina fotografica. Una carriera caleidoscopica, che come in un’antologia di fiabe e racconti è esposta in mostra a Roma, fino al 7 dicembre alla Galleria s.t. con il titolo: “Cronache e leggende”. Curata da Matteo di Castro, la mostra è una selezione di cinquanta opere che coprono un periodo di circa 25 anni fino ai primi anni '90. Ma è solo un’idea. Più propriamente è la raccolta visiva del diario di una ragazza che ancora oggi continua a guardare la scena davanti a sé, muovendo il suo sguardo in più direzioni: le lotte degli operai, delle femministe, degli studenti, ma anche le foto di animali o di oggetti quotidiani. In una scena dominata dallo sguardo e dalla fisicità maschile, la sua fotografia non ha nulla di muscolare, ma un sublime esercizio di discrezione. La sua determinazione appare scandita da un controcanto di compostezza.

 

È nei ritratti che si compie con maggiore evidenza questa sua cifra. Ritratti che non sempre considera tali, ma preferisce chiamare scatti di cronaca. Non ha mai portato nessuno in uno studio di posa, ci tiene a sottolineare. Magari nelle loro case, nei loro studi, a un comizio, o casualmente per strada. La naturalezza del suo approccio è fuori dal comune.

Fu forse senza farsi vedere che Paola Agosti, fermò il viso bianco e tondo di Orson Welles fuori dal Sistina. Siamo a Roma nel 1969. Amalia Rodriguez si esibiva nel teatro romano, racconta, e Orson Welles si era affacciato a vederla durante le prove. Lo vide passare. Sfruttò l’occasione e scattò rapida, fissando per sempre il suo sguardo laterale e assorto. Illuminato per intero come da un riflettore sulla scena, il suo volto spunta da una massa scura, pieno come la luna. 

Da quel giorno in cui ha intercettato il regista di Citizen Kane, Paola Agosti non ha mai smesso di rubare con gli occhi: di cogliere la pausa di artisti, scrittrici, attori, registi e politici. Tra i primi ritratti politici quello di Salvador Allende con il cane (1970). Molti gli scatti fatti a Enrico Berlinguer, quindi quelli a Bruno Trentin. Come la foto che lo ritrae a Torino Mirafiori nel 1973, mentre parla agli operai. Lo scatto ce lo racconta come se fossimo là in mezzo alla folla. Trentin è lontano. Mentre parla con enfasi, con una mano tiene il microfono e con l’altra agita un foglio. Forse sono appunti. Il punto di vista è tra la folla. La figura di Trentin al centro dell’immagine è piccola. In primo piano ci sono le teste dei “compagni” tra cui l’occhio si fa spazio. Lo stesso anno, Paola Agosti è ad Algeri. Alla conferenza dei paesi non allineati sfilano tra gli altri: Yasser Arafat, Muammar Gheddafi, Fidel Castro, Indira Gandhi. 

 

Bruno Trentin, Fiat Mirafiori, Torino, 1973.


Dalla politica all’arte, nel 1972 Andy Warhol è a Roma per una serie di iniziative promosse da Graziella Lonardi Bontempo, mecenate indiscussa della scena artistica romana di quegli anni. Spesso ripreso dal basso, il suo Warhol è freddo come una statua di cera.

Molto diversa da questa è la foto che avrebbe scattato circa un decennio dopo a Buenos Aires a un altro gigante mondiale, questa volta della letteratura. È il 1980 e Paola Agosti è nella capitale argentina. Come ha raccontato di recente in un’intervista rilasciata a Francesca Bolina per le cronache torinesi di Repubblica, cerca Jorge Luis Borges sulla rubrica del telefono. Lo trova. Compone il numero e chiama. Dall’altro lato della cornetta una voce risponde: “Venga. La aspetto tra venti minuti”. Il bibliotecario più famoso d’Argentina, le dedica un intero pomeriggio. Lo fissa con uno scatto dall’alto. Lo scrittore è seduto comodo sulla sua poltrona. Il suo sguardo si gira lateralmente come se cercasse il gatto, senza però muoversi troppo. Inclina appena la testa. Di traverso. Le due figure, il poeta e l’animale, sembrano fluttuare, l’uno alter ego dell’altro. La scena è in penombra. La macchia bianca del gatto che gongola in terra sulla schiena è un colpo di luce. Borges è già cieco, eppure sembra guardarlo con complicità. La composizione è tagliata in due da una linea verticale che corre al centro dell’inquadratura, attraversando il volto, la cravatta, il ginocchio, la gamba e il piede di Borges. Sullo sfondo, oltre la poltrona il buio. La linea della poltrona e del bastone sul lato destro e quella del gatto sul lato sinistro della foto chiudono una piramide magica. La sola illuminata dalla luce. L’immagine sembra ritrarre il confine tra il reale e magico.

 

Jorge Luis Borges. Buenos Aires, 1980


Nel 1984 l’occasione è data dal libro che sta scrivendo Sandra Petrignani: Le signore della scrittura (La Tartaruga). Una serie di interviste a protagoniste della scena letteraria, come Anna Maria Ortese, Maria Bellonci, Elsa Morante, Lalla Romano, e molte altre. A dare corpo a un nuovo filone nel lavoro di Paola Agosti, quello della ritrattistica femminile, si aggiungono figure come Dacia Maraini o Natalia Ginzburg. Antecedente di questo filone era stato lo scatto fortuito rubato con permesso a Venezia nel 1982. Protagonista: la scrittrice Marguerite Yourcenar. Paola Agosti camminava per le calli della laguna. Osserva un’anziana signora mangiare una pizza in un bar. Non riesce a smettere di fissarla fino a quando non riconosce la scrittrice. La avvicina: “Mi scusi, posso fotografarla?” Senza scomporsi troppo la signora accetta. Chiede solo del tempo per tornare in albergo e ricomporsi. Possibilmente senza essere ritratta in strada. La foto è scattata da lontano. Ancora una volta lo sguardo è laterale. Uno scialle copre il capo e la gola di Yourcenar. Immagini di un altro tempo. Sembra quasi una contadina invece che una scrittrice in una delle kermesse più esclusive di sempre. Questo scialle, in contrasto con l’eleganza delle poltrone su cui si siede, la dolcezza del suo sorriso e la sincerità della sua pelle sono la sua bellezza e la sua forza.

 

A metà tra il piano della cronaca e la ritrattistica ci sono due lavori, due album potremmo dire, simili tra loro e distanti al tempo stesso. Sono le due facce dell’Italia del XX secolo. Il primo, alla fine degli anni settanta si chiama Immagini dal mondo dei vinti (Mazzotta 1979). È ispirato alle testimonianze raccolte da Nuto Revelli. Un diario di immagini che raccontano l’Italia immersa nella miseria, quella che fatica ad emergere. Sempre più sradicata dalle sue abitudini e dagli stili di vita. I residui di un’Italia che svuota le sue montagne e le sue campagne per riempire le città. 

 

Orson Welles. Roma, 1969


Poco più di dieci anni dopo, affianca Giovanna Borgese e pubblica Mi pare un secolo (Einaudi, 1992). Il libro nasce sul crinale del secolo e vuole essere un album di storie e ritratti di personaggi illustri. Qui si ritrovano alcuni scatti tra quelli fatti in precedenza e altri fatti proprio per l’occasione. Tra i ritratti un altro celebre regista: Federico Fellini. Ripreso sul suo set, mentre si diverte, scherzando con un cerchio riflettente come se fosse un’aureola. Anche Fellini è ripreso di tre quarti, come se stesse facendo altro che stare in posa.

 

Paola Agosti scatta senza esibirsi, né al suo soggetto, né dentro la foto. Restando sempre dietro le quinte. Perché è da dietro le quinte che si tiene lo spettacolo, che si regge il palcoscenico. È dietro le quinte che si svolge il lavoro senza il quale il pubblico non potrebbe vedere gli attori in scena. 

E chissà se questo modo di guardare lo ha conosciuto a casa da bambina o piuttosto in teatro. Primo Levi era un amico di famiglia. Passava spesso a casa sua a trovare i genitori. Tanto spesso che lo ritrasse molto poco. “Avrò occasione” si ripeteva. Fino a quell’aprile del 1987 quando una telefonata la smentì.

 

Paola Agosti. Cronache e leggende A cura di Matteo Di Castro - s.t. foto libreria galleria, Roma. Fino al 7 dicembre

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