Nuovi misteri dei ministeri

28 Gennaio 2023

«La Ministerialità è una forza misteriosa, di cui l’amministrazione pubblica, ed anche quella privata, quando il suo raggio giurisdizionale ecceda il “tiro di schioppo”, è la fenomenologia»: parola di Augusto Frassineti. In qualità di cittadino dello Stato italiano, negli ultimi tempi ho assistito a diversi momenti di generale traboccamento burocratico di fronte ai quali, con un ghigno fra il rassegnato e il sardonico, mi sono ritrovato a sibilare fra me e me: «Puro Frassineti». Queste violente scariche di ministerialità avrebbero dato parecchio su cui lavorare all’umorista di Faenza: torna in mente la gustosa querelle sulla consistenza ontologica dei cosiddetti “congiunti” durante la pandemia o, per cedere alle lusinghe dell’attualità più stringente, il recentissimo rebranding di alcuni ministeri per mano dell’esecutivo da poco insediato.

Dopo decenni di oblio editoriale, a meno di due anni dalla riedizione di Tre bestemmie uguali e distinte per Italo Svevo, ai pochi (ahimè, forse pochissimi) lettori superstiti di Augusto Frassineti tocca stropicciarsi gli occhi, come accade ai tifosi di squadre di bassa classifica dopo un insperato filotto di vittorie: Misteri dei Ministeri, che di Frassineti è il capolavoro, è stato ripubblicato per le cure di Andrea Gialloreto nelle «Letture» Einaudi (384 pp., € 21). Accompagna il testo una prefazione del compianto Paolo Mauri, da poco scomparso, che accosta con la consueta sobrietà le trovate di Frassineti ai capolavori di alcuni maestri della letteratura impiegatizia otto-novecentesca: fra gli altri Balzac, Gogol’, Kafka, Melville, Orwell, ma anche Bersezio, Jahier, Carlo Levi e Paolo Villaggio. Anche in questo caso, però, per raggiungere la agognata “quota salvezza” dopo la fisiologica euforia da ripescaggio sarebbe necessario che Frassineti guadagnasse qualche nuovo lettore e questa riedizione, da tempo caldeggiata dagli aficionados, era il modo migliore, forse l’unico, per propiziare l’auspicio. 

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La nuova edizione ripropone a testo la ne varietur pubblicata nel 1973 da Einaudi con un risvolto di Italo Calvino – qui recuperato –, ma arricchita di alcuni materiali inediti che il curatore ha deciso di inserire per espandere ulteriormente l’universo del libro. Le pagine di accompagnamento di Gialloreto e Mauri assolvono egregiamente al compito, non dei più semplici, di presentare il libro nel quadro della complessa vicenda umana e intellettuale di Frassineti, non meno significativa della sua opera e oggi del tutto ignota ai più. In questo senso, il libro non solo divulga, ma aumenta la conoscenza che abbiamo di questo autore. 

Misteri dei Ministeri è letteralmente l’opera di una vita per Frassineti, e in ogni senso possibile: incubata dalla fine degli anni Quaranta a partire da una serie di pezzi pubblicati su vari quotidiani, il libro conobbe una prima forma editoriale con la smilza edizione Guanda del 1952, poi con la più nutrita edizione Longanesi del 1959, infine con l’edizione Einaudi del 1973, riproposta nel 2004 dall’editore Kami, non più in attività, e oggi finalmente ripresa dallo stesso editore torinese. Per presentare il libro in cinque parole a chi non lo conoscesse, si può ricorrere al blurb firmato da Filippo La Porta scelto per la quarta di copertina: «Immaginate Fantozzi riscritto da Gadda!».

Ha scritto qualcuno che Misteri dei Ministeri ha anticipato certe scorciatoie postmoderniste e in effetti la sua struttura di massima lo lascia presupporre: nella sua edizione definitiva l’opera si presenta come un trattato in tre libri sulla ministerialità, fornito di allegati e materiali documentari, consegnato dal misterioso autore D. K. 55 nelle mani di un secondo autore, sovrapponibile a Frassineti, incaricato della diffusione del malloppo. Misteri dei Ministeri è insomma un trattato inserito in una cornice di finzione, cresciuto di edizione in edizione attraverso l’aggregazione, la sottrazione e il montaggio di frammenti narrativi e pseudo-saggistici. 

Misteri dei Ministeri si presenta come un’opera al contempo sistematica e frammentaria, che si pone, da un lato, come il testo di riferimento sulla fenomenologia del potere burocratico e, dall’altro, giunge a questo risultato attraverso un campionario assai diversificato di generi discorsivi e prosastici, che hanno però nel lacerto la loro minima cellula testuale: il caso studio, l’exemplum, l’epistola, l’etnografia fantastica, la farsa teologica, la supplica, il verbale e molti altri ancora. A questa varietà di generi corrisponde la varietà di metodi sperimentati da Frassineti nel tentativo di avvicinare l’inavvicinabile mistero del potere burocratico italiano, per il quale i numeri di matricola vengono prima degli individui. A buon diritto, infatti, nella lettera a Ernesto Ferrero inserita in appendice, Frassineti ricorda di aver anticipato col suo libro alcune teorizzazioni sull’uomo a una dimensione e il relativo scoppio delle «febbri marcusiane» che avrebbero investito l’Europa in anni successivi. Dal punto di vista storico-letterario, Misteri dei Ministeri rappresenta un esempio di sfrenata sperimentazione prosastica, orbitante nella galassia gaddiana ma estranea, per quanto solidale, alle teorizzazioni della neoavanguardia. È un treno, quello del Gruppo 63, sul quale Frassineti riluttò a salire perché – lo avrebbe confessato alla fine della sua attività – riteneva che dallo stesso concetto di gruppo promanasse un alone di ministerialità. 

Come suggerito dalla nota compilata da Calvino, l’esplorazione satirica del mondo della burocrazia condotta da Frassineti realizza per via mimetica un antidoto all’antilingua burocratico-istituzionale, per vocazione oscura e anti-referenziale, che ancora oggi contraddistingue le nostre istituzioni. Il problema è ancora fra noi, se in alcune linee-guida diramate del Ministero della Salute durante la pandemia sul modo corretto di lavarsi le mani, i traduttori hanno deciso di tradurre l’inglese rotational rubbing con l’ingegneristico sintagma frizione rotazionale, oscurando con un ambiguo burocratese scientifico un principio igienico elementare, che in quanto tale dovrebbe essere espresso in un linguaggio comprensibile anche ai bambini.

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1951, Roma, Augusto Frassineti con la moglie Enrichetta Giorgi a Villa Borghese

Solo ai laureati, preferibilmente in ingegneria, sarà dato di lavarsi, anzi di frizionare le mani in modo linguisticamente ineccepibile, gli altri dovranno accontentarsi di guardare le figure. Me ne rendo conto, una digressione innecessaria, ma questo è esattamente il genere di rigidità verbale al quale l’orecchio di Frassineti, abilissimo maneggiatore dei registri della lingua, era interessato. E non è un caso, credo, che un autore così sensibile agli “incravattamenti” del linguaggio abbia vinto un Premio Monselice nel 1981 per la sua traduzione del Gargantua e Pantagruel di Rabelais, notoriamente il libro più scravattato mai scritto in occidente. 

Per altri versi, le suppliche con cui Frassineti si cala nella lingua dei “senzatutto” che si rivolgono all’autorità per vedere i propri torti raddrizzati o per chiedere una qualche intercessione rappresentano un caso molto interessante di incursione, effettuata fuori dai territori del romanzo, nella lingua parlata da quella massa di dimenticati da Dio e dallo Stato – in Misteri dei Ministeri le due cose coincidono – ai quali l’autore restituisce cittadinanza letteraria e voce in capitolo, a prescindere dall’esito (inconcludente) delle loro preghiere. I prodotti di queste verbigerazioni da ansia burocratica sono certamente comici ma mai ironici, nel senso che la pietas di Frassineti gli impedisce di prendersi gioco di coloro che prendono la parola, anche sgangheratamente, per esporre il proprio caso, dal momento che l’autore riconosce in ognuno di loro qualcosa di sé. 

Non si scoraggi chi fosse assalito nel procedere della lettura da una certa impressione di discontinuità, perché si tratta di un’impressione legittima: il secondo libro, infatti, è certamente troppo lungo e in generale la natura dissipativa dell’opera è apertamente tematizzata sin dalla cornice. Contro la mitologia della lettura continua, arrivo a suggerire un percorso di lettura eretico a uso dei neofiti: leggere per intero il primo libro e poi saltare direttamente al terzo, riservandosi di piluccare a piacimento dal libro secondo, la cosiddetta Summa Ministerialis, privilegiando i “Frammenti” ai “Documenti”. 

Qualche penna in cerca di materiali per un libro di biofiction su un autore negletto del Novecento, genere editoriale molto di tendenza, troverebbe pane per i suoi denti nella movimentata vita di Frassineti, da leggere in parallelo alla sua opera (e qualcosa del genere aveva tentato, da par suo, Ermanno Cavazzoni alla fine degli anni Ottanta). Fuor di celia, le traversie e le vicissitudini della biografia di Frassineti testimoniano come, quando lo sguardo strabico dell’umorista incrocia una certa sensibilità per la prosa della vita, sia possibile cavare ottima letteratura anche dai grigiori deprimenti della fenomenologia burocratica. Nel suo testo Gialloreto ha sunteggiato questo percorso in un modo che non mi sento di parafrasare: 

«Il divertimento nelle pagine del suo libro d’esordio conserva una solennità cerimoniale che vela di commozione la trasposizione in chiave satirica dei problemi sociali del secondo dopoguerra – il disagio dei reduci, la collocazione degli invalidi, la necessità di potenziare l’istruzione dei ragazzi non abbienti – che l’intellettuale prestato al lavoro ministeriale avvertiva come un dovere civico. […] Scampato all’idiozia della catena di comando militare, che l’aveva condannato al “sacrificio” per presidiare un treno blindato esposto alle incursioni degli Alleati, fatto poi prigioniero e investito della missione di rieducare i commilitoni dopo l’abbruttimento del ventennio nero, nel 1946 lo scrittore fu chiamato da Emilio Lussu, titolare del dicastero dell’Assistenza Postbellica, come dirigente responsabile delle politiche per il reinserimento lavorativo dei reduci; ma ben presto, subentrato il governo De Gasperi, Frassineti venne destituito dalle mansioni e dal ruolo mediante lo stratagemma di una “promozione al grado inferiore”». 

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Non ricordo un altro umorista del nostro Novecento in cui un’ossessione, tanto civile quanto privata, riesca poi così ben trasfigurata sulla pagina letteraria senza venir meno alla dimensione schiettamente sociopolitica delle proprie ragioni di fondo. E in effetti, non mi viene in mente nemmeno il nome di un altro scrittore che sia riuscito nel miracolo di mettere d’accordo autori di galassie intellettuali distantissime: da Celati e Fofi, da Manganelli a Pasolini. Nella sua prefazione alla riedizione di Tre bestemmie uguali e distinte, Guido Vitiello ha ricordato come il “bestemmiatore civico” Frassineti, membro fondatore del «Movimento di collaborazione civica», si fosse ben acclimatato nella civiltà del malumore orbitante intorno al «Mondo» di Mario Pannunzio, in dialogo con interlocutori come Aldo Capitini, Guido Calogero, Ennio Flaiano, Ernesto Rossi e Ignazio Silone. 

Mi rendo conto che al lettore di oggi sia richiesto uno sforzo notevole per calarsi nell’universo descritto da Frassineti e nella lingua utilizzata per descriverlo. Cinquant’anni sono passati dal 1973, più di settanta dal 1952: tanta acqua è passata sotto i ponti in termini di sensibilità linguistica e letteraria. Tuttavia, se nessuno discute più la centralità di Gadda nel nostro Novecento e per un autore come Manganelli si può parlare addirittura di fortuna postuma, penso che possa ancora esistere un nuovo pubblico, anche ristretto, per il libro di Frassineti. 

Nel mio piccolo, ho cercato di fornire qualche elemento per incoraggiare alla lettura di questo strambo e dimenticato oggetto letterario che è Misteri dei Ministeri: chi decidesse di cimentarvisi proverà la sensazione lenitiva e liberatoria che deriva dal riconoscersi nella sintomatologia burocratica descritta nel libro in modo acutissimo e divertente. A chi, seduto in qualche sala d’attesa con in mano il suo onesto numerino, non è capitato di sentirsi in una sorta di antinferno, reso apatico e rassegnato dall’influsso di una forza ignota? Se è successo anche a voi, Frassineti è il vostro negletto Omero. 

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