Un libro di Oliviero Ponte di Pino / Teatro futuro

31 Luglio 2021

Mentre la curva dei contagi da Covid-19 tende a risalire e, purtroppo, pare ci si avvii oramai verso una quarta ondata pandemica, si fa strada il sospetto che quelli che stiamo vivendo non siano tempi ‘eccezionali’, neanche per il teatro. Il libro del giornalista, critico teatrale e programmatore culturale Oliviero Ponte di Pino Un teatro per il XXI secolo (Franco Angeli, 2021), “scritto di getto durante il lockdown tra il 20 dicembre 2020 e il 6 gennaio 2021” (come spiega l’introduzione), offre uno sguardo accelerato e ‘a mosaico’ sugli ultimi vent’anni di cultura scenica, su pratiche artistiche e riforme di settore, su mutazione dei linguaggi e grandi rivolgimenti socio-politici. Lo fa, appunto, “riavvolgendo il nastro” e scegliendo di illuminare solo alcuni “fotogrammi-chiave”, che possano restituire il senso di un avvicendarsi – nel panorama teatrale italiano e, in minima parte, anche europeo – di differenze e particolarità, tanto dei percorsi individuali quanto degli orizzonti collettivi.

 

Se a dominare il dibattito teatrale durante le chiusure dell’anno scorso sono state riflessioni, polemiche e interrogazioni sulla liveness, ovvero sul valore che potevano avere le arti dal vivo nel momento in cui veniva meno la possibilità di una compresenza fisica, guardando più indietro si ha come la sensazione che sia ormai da tanto che si abbia a che fare con forme sceniche plurime, con una dilatazione e una stratificazione del “qui e ora” che eccede i suoi contorni più usuali e immediati. Schermi, dispositivi scenici “a distanza”, spettacoli per uno spettatore, performance a domicilio… le sperimentazioni nate per fronteggiare la crisi pandemica – cioè, andando per sommi capi, trasposizioni della teatralità in streaming e via web, “esplosione” del podcast, forme di interazione attore-spettatore per via telefonica o via Zoom – non sono, di fatto, filiazioni piuttosto dirette di sperimentazioni che già popolavano la scena dai primi anni 2000, periodo sul quale si apre il libro? Certo, il teatro e le arti dal vivo si trovano ora davanti a domande ultime, che investono il senso stesso della loro funzione pubblica e del loro posto nella società. Eppure, anche da questo punto di vista, il dibattito che si è aperto è un dibattito «antico», per come lo definisce pure Ponte di Pino, che così riassume: “È meglio portare la gente a teatro, o portare il teatro là dove c’è la gente?”.

 

Un teatro per il XXI secolo è il frutto del ventennale lavoro di ateatro.it, sito indipendente di cultura teatrale animato dallo stesso Oliviero Ponte di Pino e dall’organizzatrice teatrale Mimma Gallina, che offre recensioni e interventi con particolare attenzione non solo agli aspetti artistici della scena e ai suoi esiti spettacolari, ma anche ai cambiamenti più istituzionali e politici. In tal senso, è fondamentale l’iniziativa delle “Buone Pratiche”, che si svolge su base annuale dal 2004, e che costituisce una sorta di “stati generali” del teatro italiano in cui vengono invitati centinaia di operatori, critici e artisti a esprimersi sulle possibilità di cambiamento e riforma del settore.

 

 

Nel libro, l’autore dà conto di queste esperienze e dello sguardo che hanno generato nel corso del tempo: ogni capitolo è infatti associato a un’annata specifica, dall’inizio del millennio fino a oggi, e si articola attraverso tre diverse categorie o punti di vista, che di quell’annata indicano “gli spettacoli più significativi” (#In teatro), gli eventi “che hanno avuto un impatto sul mondo dello spettacolo dal vivo, o che lo hanno posto al centro del dibattito pubblico” (#Extra teatro) e, infine, il modo in cui il sito ateatro.it e le Buone Pratiche abbiano di volta in volta seguito l’evoluzione del sistema teatrale italiano, “cercando di individuare le svolte, i momenti di crisi e gli elementi problematici” (#Ateatro).

 

Il risultato è una sorta di “geografia per nodi sensibili” della scena, un almanacco teso a mettere in luce più i punti d’eruzione e di discontinuità che le tendenze sul lungo periodo. Dalla visionarietà perturbante della Tragedia Endogonidia di Romeo Castellucci al “teatro politico” che “va in scena” a Genova durante il G8 del 2001, dai meccanismi di partecipazione e di “etero-direzione” del pubblico messi in campo da Roger Bernat a Santarcangelo, prima, e da Kepler-452, poi, fino all’esplosione del #metoo, dagli ‘scandali’ generati in area teatro-ragazzi con Fa’afine di Giuliano Scarpinato e dalle indagini del rimosso coloniale italiano intessute col filo dell’ironia da Daniele Timpano ed Elvira Frosini in Acqua di colonia alla riforma del Fus del 2014, con tutte le sue conseguenze a livello organizzativo, amministrativo ed economico… In Un teatro per il XXI secolo si legano storia e memoria, teatro e società, locale e globale: maschere “attoriali” e protagonisti della scena come Toni Servillo o Jan Fabre scorrono accanto a figure del panorama politico come quello del leader del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo o dell’attivista per la giustizia climatica Greta Thunberg.

 

Ancora, l’intento non è quello di cercare collegamenti sotterranei o evidenziare analogie, ma giustapporre gli eventi dentro e fuori la scena lungo un orizzonte sincronico e ‘paratattico’. Viene quasi in mente – per fare un paragone azzardato – il metodo analitico del critico Franco Moretti, che nei suoi saggi ha sempre tentato di osservare la letteratura “a distanza” e “da lontano” (La letteratura vista da lontano, 2005, A una certa distanza. Leggere i testi letterari del nuovo millennio, 2013), contrapponendo all’immersione del close reading una comparatistica “a volo d’uccello”, tutta giocata sulle superfici dei contesti più che nelle profondità delle opere. Non che il libro di Ponte di Pino non offra affondi taglienti e scavi critici: gli attraversamenti degli spettacoli contenuti nelle sezioni “#In teatro” di ciascun anno anzi, pur nella loro brevità, colgono con estrema precisione le poetiche messe in campo dai vari autori e dalle varie compagnie. O meglio, colgono il “peso specifico” che certe opere e certi autori hanno avuto nel panorama scenico, per quanto sia ancora troppo presto per una loro ‘storicizzazione’.

 

Si profila così, in Un teatro per il XXI secolo, una ricerca serrata degli elementi di novità e di sorpresa di questi ultimi vent’anni, che – come suggerisce il titolo stesso del libro – possano fungere da stimoli per il futuro, più che registrare “ciò che è stato”. Ma questa ricerca, questo elenco di “ritrovati teatrali” che assume giocoforza la forma di “ipotesi”, non può avvenire solo all’interno della scena. Al contrario, sembra dirci Ponte di Pino con le sue giustapposizioni categoriali (#In teatro, #Extra teatro, #Ateatro), certi esiti spettacolari e certi linguaggi non possono essere compresi se non li si osserva parallelamente ai mutamenti storici e politici, e alle riforme del settore. Il ‘teatro’ del XXI secolo che viene qui indagato, dunque, è innanzitutto un “sistema-teatro”, che probabilmente non ha una compattezza e un’omogeneità tali da poter essere considerato come un ‘organismo’ ma che al tempo stesso è impossibile ridurre a un semplice insieme di voci e performance. Le carriere, i percorsi, le urgenze estetiche si mettono in relazione agli eventi sociali e alle strutture istituzionali, e viceversa (sebbene, ultimamente, sempre più nel segno di una diminuzione delle risorse disponibili per chi fa teatro e di una scarsa lungimiranza da parte della politica, come viene ripetutamente denunciato nel libro). Se si torna alla domanda iniziale (“È meglio portare la gente a teatro, o portare il teatro là dove c’è la gente?”), allora, sembra quasi che non si possa che propendere naturalmente per la seconda opzione.

 

Tanto più se si pensa poi alla “falsa ripartenza” che viviamo oggi, in un paese che – come lo descriveva Massimo Marino proprio qualche giorno fa – “vuole riprendersi senza avere imparato la lezione della necessità della lentezza, di fare meno e fare meglio” e in un contesto teatrale che a sua volta – come lo tratteggia Ponte di Pino nelle ultime pagine del libro, con una punta di amarezza – “riflette, esemplifica e condensa i difetti dell’intero paese: squilibri territoriali, mancato ricambio generazionale, scarsa innovazione, welfare squilibrato a favore dei ‘garantiti’, poca apertura internazionale, ingerenze politiche”.

Un teatro dunque che, se vuole recuperare la propria funzione sociale e reinventarsi nelle sopraggiunte condizioni pandemiche, deve probabilmente ‘uscire’ dai luoghi e dalle forme consuete, immaginando nuovi spazi e nuove dimensioni di compresenza. Sapendo però anche che i segni e le tracce per un suo mutamento non possono che essere rinvenute nel passato prossimo, nella fragilità di quanto – pur dentro a sentieri difficili – si è costruito sinora. 

 

Oliviero Ponte di Pino, Un teatro per il XXI secolo. Lo spettacolo dal vivo nell’era digitale (FrancoAngeli, 2021, 22 euro).

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