Van Gogh a Auvers: ultime visioni di un genio

12 Giugno 2023

Con 30 chili di bagaglio, quel che basta per le cose più preziose, il 16 maggio del 1890 Vincent sale sul treno per tornare al Nord. Ormai ha deciso, andrà a Auvers-sur-Oise, a trenta chilometri da Parigi, non lontano dal fratello; il dottor Gachet, un medico moderno che ama la pittura, amico di tanti pittori, e consigliato a Theo da Camille Pissarro, sembra ispirargli fiducia. Dopo un anno passato a Saint-Rémy non vede l’ora di uscire dalla clinica, dove i malati intorno a lui sono lasciati a vegetare in un “ozio orribile” che gli sembra “semplicemente un crimine”, scrive a Theo, “non un libro, nulla per distrarli”. Si lascia alle spalle un ultimo sole, un sole d’invenzione che inonda la grande tela di giallo, nel suo ritaglio rembrandtiano di La resurrezione di Lazzaro, dipinto due settimane prima di partire. Non dipingerà mai un sole nei cieli di Auvers. Gli rimarranno da vivere poco più di due mesi – con una produzione intensa come mai prima: più di un quadro al giorno, 74 in tutto, oltre a dozzine di disegni, schizzi grandi e piccoli. E, ancora, un nuovo Van Gogh. 

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Vincent van Gogh, Casolare a Auvers-sur-Oise, © Van Gogh Museum, Vincent van Gogh Foundation, Amsterdam.

Van Gogh a Auvers. Gli ultimi mesi è il titolo della nuova mostra che il Museo Van Gogh dedica al grande genio olandese (fino al 3 settembre – e poi a Parigi al Musée d’Orsay, dal 3 ottobre al 4 febbraio 2024). Per la prima volta i curatori presentano riuniti cinquanta dei dipinti della sua produzione di Auvers, con prestigiosi prestiti da oltre trenta musei di tutto il mondo, e da varie collezioni private. È così che scopriamo un periodo cruciale ma poco studiato della vita del pittore. Spettacolari le dieci (delle tredici) tele panoramiche dell’ultimo mese di Vincent, il fiore all’occhiello della mostra. 

Frutto di anni di studi, questa mostra irripetibile celebra il cinquantenario dall’apertura del Museo Van Gogh, inaugurato il 2 giugno del 1973 dalla regina Giuliana; una data significativa ora festeggiata anche all’aperto, sulla verdissima Museumplein, con il Sunflower Art Festival.

“Il cuore della campagna”

Dopo qualche giorno trascorso a Parigi da Theo e la sua nuova famiglia, Vincent parte per Auvers dove il 20 maggio trova alloggio alla locanda Ravoux.

La campagna lo tranquillizza, la confusione di Parigi non fa più per lui, e i capolavori prendono forma. Una Vecchia vigna assume un aspetto fantastico e irreale tra tetti camini e cielo, una donna si mescola nell’insieme. È questo il primo grande disegno che ci accoglie in mostra, e ci dice che in Van Gogh qualcosa sta già cambiando, che i nuovi paesaggi gli ispirano audaci percorsi. Non è solo un disegno, questa volta: Vincent lo ‘riscrive’ a pennello in acquerello e colore a olio diluito, ed è così che pittura e scrittura si fondono, per un risultato inedito nella sua opera. 

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Vincent van Gogh, Vecchie vigne con figura di contadina, © Van Gogh Museum, Vincent van Gogh Foundation, Amsterdam.

“Auvers è bellissima, molti vecchi tetti di paglia tra le altre cose, che stanno diventando rari”, scrive a Theo appena arrivato. Questo lo affascina, “siamo abbastanza lontani da Parigi perché sia una vera campagna, eppure come è cambiata da Daubigny. Ma non è cambiata in modo spiacevole”, nota, perché “una nuova società si è sviluppata nella vecchia”. 

Dalla metà dell’Ottocento Auvers era diventata meta di tanti pittori, e con la nuova stazione ferroviaria aperta nel 1846, “il bacino del fiume Oise, con i suoi villaggi pittoreschi e una grande varietà di natura, aveva catturato l’attenzione di molti artisti”, come racconta Teio Meedendorp nel suo saggio per il catalogo. A quel tempo Jean-François Daubigny era l’artista più fortemente associato a Auvers, ma anche prima di avere una seconda casa – resa famosa da Van Gogh – navigava su e giù per il fiume con il suo studio galleggiante Le Botin per cogliere i riflessi del giorno e della sera, i suoi soggetti preferiti. 

Ma in Van Gogh sono le case ad attirare il suo sguardo – la casa che non ha mai avuto. Forse questi tetti un po’ gli ricordano l’Olanda, e le case della Drenthe che aveva dipinto al crepuscolo, al freddo, o le case dei contadini di Nuenen che aveva paragonato a dei nidi, “i nidi abitati dagli uomini”.

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Vincent van Gogh, Case rurali a Auvers-sur-Oise, © Finnish National Gallery, Ateneum Art Museum, Helsinki, Antell Collection.

Ed ecco che i tetti di questa campagna “pittoresca” paiono sciogliersi e animarsi, nei disegni e nei dipinti, con una forza espressiva nuova – ben diversa dalla solare staticità della Casa Gialla che tutti conosciamo. Grande sperimentatore come sempre, in Case rurali a Auvers-sur-Oise Van Gogh azzarda una nuova soluzione per le nuvole che trae tutti in inganno. Stende una mano di bianco puro nella parte alta della tela e poi la ‘sporca’ di blu, con pennellate secche e brevi che si interrompono ad arte per lasciar posto alle nuvole. Allora dobbiamo tornare a guardare questo cielo, spesso male interpretato; non si tratta di un lavoro incompiuto, tra gli ultimi suoi, come alcuni autori hanno scritto, ma di un nuovo esperimento. Anche gli alberi sono trattati con la stessa decisione, e paiono muoversi nelle fronde più alte. I luoghi di questi dipinti sono stati meticolosamente identificati da Wouter van der Veen, che nel suo saggio presenta la mappa di Auvers illustrata con i quadri di Vincent. In questo caso siamo in una traversa di Rue Daubigny, verso il numero 67. 

Nel giardino del dottor Gachet

Lontano dalle “cose parigine alla Baudelaire”, le stradine nel cuore del villaggio gli offrono tanti scorci caratteristici. Il suo raggio d’azione rimane dapprima nei pressi della locanda Ravoux o della casa del dottor Gachet – che andava a trovare, dipingendo angoli di verde pieni di vita con dei contrasti inaspettati. Un tetto rosso intenso che si intravede dal giardino sopraelevato del dottore taglia diagonalmente la composizione, un arbusto a sinistra in primo piano avvicina lo spettatore, un vasetto in basso pare cadere fuori dal quadro, qualche piccolo tetto in lontananza finalmente ci orienta. Il giardino del Dottor Gachet colpisce subito anche per le proporzioni inusuali, un grande paesaggio ravvicinato, ‘verticale’, 73 × 52 centimetri. 

Lo descrive solo così: “Un’aloe con calendule e cipressi”.

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Vincent van Gogh, Il giardino del dottor Gachet, © Musée d’Orsay, Parigi. Dono Paul Gachet figlio, 1954, © Musée d’Orsay, Dist. RMN-Grand Palais / Patrice Schmidt.

La sua finestra sul mondo ormai Vincent se la costruisce da sé, e sperimenta proporzioni ispirate alle stampe degli artisti giapponesi, grandi maestri nel concertare paesaggi verticali. Le pennellate cobalto del cielo si susseguono veloci, e si addentrano nei cipressi portando lo sfondo in primo piano, annullando così il senso di profondità che ci è dato dai piccoli tetti. 

La stessa tavolozza la troviamo nella sezione dei ritratti, nel celebre Ritratto al dottor Gachet, che appoggia il suo gomito sul tavolo laccato di rosso, il volto solcato dal tempo e dalla tristezza. Gli occhi paiono di vetro. La posa, nell’atteggiamento tradizionale della Melanconia, è accentuata a tal punto da farlo sembrare in bilico. 

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Vincent van Gogh, Ritratto del dottor Gachet, © Musée d’Orsay, Parigi. Dono Paul e Marguerite Gachet, 1949, © Musée d’Orsay, Dist. RMN-Grand Palais / Patrice Schmidt.

Nella prima versione  del ritratto (non in mostra), questa instabilità è messa ancor più in risalto, l’uomo sembra reggersi a mala pena, il busto è collocato in modo deciso nella diagonale del quadro, pennellate orizzontali e ondulate creano movimento. 

Non abbiamo notizie di nuove letture o scoperte letterarie di Vincent nel periodo di Auvers, la ritrovata libertà esplode nel lavoro. Ma qualche libro doveva esserci in quei trenta chili di bagaglio, perché nella prima versione del ritratto al dottor Gachet, sullo stesso tavolo rosso risaltano due romanzi, Germinie Lacerteux e Manette Salomon dei fratelli Goncourt. Glieli aveva “portati da leggere”, scriverà nei suoi ricordi il figlio Paul nel 1928. Germinie Lacerteux era uno dei suoi libri preferiti, amaro specchio del suo tempo – all’ospedale di Arles l’aveva prestato anche al reverendo Salles. Vincent, che dapprima considera il dottore “piuttosto eccentrico”, “malato almeno quanto me”, finisce poi per vedere in lui “un amico bell’e fatto”. E come con altri amici in passato, nulla di meglio di un libro per rompere il ghiaccio. Questa era una delle sue strategie comunicative – è singolare infatti che nella prima lettera giunta noi, sia a Van Rappard (1881) che a Bernard (1887), egli abbia esordito parlando di un libro. Purtroppo non abbiamo commenti sulle conversazioni letterarie con il dottore.

Gachet lo incoraggia a lavorare, la cosa migliore da fare in questi “casi”. 

Adeline Ravoux

“Questa settimana ho fatto un ritratto di una ragazza di circa 16 anni, in blu su uno sfondo blu, la figlia delle persone dove alloggio. Le ho dato il ritratto, ma ne ho fatto una variante per te, una tela da 15”, scrive Vincent al fratello il 24 giugno. Il primo ritratto è Adeline Ravoux, che a quel tempo aveva dodici anni. Molti anni dopo, nei suoi ricordi Adeline descriverà Vincent come “un uomo di buona corporatura, la spalla leggermente inclinata dalla parte dell’orecchio ferito, lo sguardo molto vivace, dolce e calmo, ma di carattere poco comunicativo. […] Non beveva mai alcool”. Vincent la ritrae di profilo, ma lei sbircia… tiene d’occhio l’artista all’opera – e anche questo piccolo particolare è registrato magistralmente. Le sue mani paiono nervose, tradiscono una certa impazienza. “Una posa en profil che ricorda i ritratti rinascimentali, inusuale per Van Gogh” osserva Nienke Bakker. Vincent prosegue qui la sperimentazione blu-su-blu iniziata con il dottore, “una sinfonia in blu” nei ricordi di Adeline. Lo firma per lei, in rosso, in basso a sinistra. È l’unico quadro firmato del periodo di Auvers. Parte di una collezione privata, è dal 1955 che questo bellissimo ritratto non viene esposto al pubblico.

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Vincent van Gogh, Adeline Ravoux, collezione privata – courtesy Home Art.

Mentre i giorni passano con una produzione eccezionale – ben 60 quadri in sei settimane, ci dicono le ultime ricerche per questa mostra – le nuvole all’orizzonte si fanno sempre più fitte. La storia è nota. Vincent è assalito da pensieri cupi, si sente un peso per il fratello, che ormai ha una moglie, Jo, e un bimbo di quattro mesi a cui pensare. Inoltre Theo è ai ferri corti con Boussod & Valadon, vorrebbe mettersi da solo e aprire una sua galleria, i dissapori non mancano. Vincent è molto preoccupato. Il 5 luglio trascorre una giornata a Parigi, la sera torna a Auvers, la tristezza invade la sua mente: “ritornato qui mi sono sentito molto triste e ho continuato a sentire su di me il peso della tempesta che vi minaccia”, scrive qualche giorno dopo. Alti e bassi si alternano nei suoi pensieri.

I grandi orizzonti. Le ultime settimane  

A cavallo tra giugno e luglio Vincent si mette all’opera con grandi dipinti, tutti lavori di un metro per cinquanta, per un progetto che rimarrà un mistero: visioni di grandi orizzonti. Taglia ordinatamente ciò che serve dal rotolo di tela alto due metri e 14, e lungo dieci, che ha ricevuto da Theo, per tredici nuove tele. “Il pennello mi cascava tra le mani e – ben sapendo quello che volevo ho già dipinto tre grandi tele. Sono immense distese di grano sotto cieli nuvolosi e non ho faticato per cercare di esprimere la tristezza, la solitudine estrema”. 

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Vincent van Gogh, Campi di grano sotto un cielo nuvoloso, © Van Gogh Museum, Vincent van Gogh Foundation, Amsterdam.

Non cerca più il sole nei nuovi orizzonti, cerca l’essenza delle cose del mondo, l’infinito in una sinfonia di verde e di giallo.

 “Spero di portarvele a Parigi al più presto perché queste tele vi diranno quello che non so dire a parole, quello che vedo di sano e fortificante nella campagna”, scrive il 10 luglio, a Theo e Jo. 

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Vincent van Gogh, Campi vicino a Auvers, © Belvedere Museum, Vienna. 

L’Analisi Computerizzata dei fili della trama e dell’ordito di ben 52 dipinti del periodo di Auvers, ha permesso ai ricercatori di ricostruire anche il verso e la sequenza dei tagli dal rotolo di tela ‘Tasset et Lhote’ che Vincent aveva ricevuto da Theo. Con questi dati, combinati alle notizie dalle lettere, ai ricordi del figlio del dottor Gachet, e ai bollettini metereologici del periodo, i curatori sono riusciti a datare in modo preciso (giorno dopo giorno) anche le tredici tele di un metro per cinquanta o “doppi quadrati” (double-square). “Un formato che non aveva ancora sperimentato con questa precisione”, osserva Nienke Bakker “deve essere stata una decisione ben meditata”. Vincent a Parigi era rimasto colpito dall’opera monumentale di Puvis de Chavannes Inter Artes et Naturam, che forse lo ispirò. Già in Olanda aveva realizzato alcuni dipinti e disegni di formato un po’ allungato (sulle orme di Daubigny o dei maestri della pittura olandese), ma mai niente di così sistematico.  

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Ricostruzione dei dipinti ‘double square’ di Van Gogh, da un rotolo di tela Tasset et Lhote, in: Van Gogh at Work 2013, p. 217, courtesy e © Van Gogh Museum, Vincent van Gogh Foundation, Amsterdam.

Il risultato è spettacolare, il grande panorama di Vincent è per la prima volta riunito. Dieci di queste tele sono qui esposte una accanto all’altra nella sequenza che rispecchia l’evoluzione del misterioso progetto. Tanti trittici? Forse. Nelle sue lettere qualche indizio c’è, Vincent per esempio scrive che Marguerite Gachet al pianoforte “starebbe bene con un’altra orizzontale dei campi di grano”, ne fa uno schizzo sulla lettera del 28 giugno (purtroppo smarrita, ne resta una fotografia). 

Sin dall’inizio della sua carriera d’artista Vincent aveva realizzato dittici e trittici – ne abbiamo un bellissimo esempio ad Arles, nella primavera del 1888. Incantato dai frutteti in fiore, aveva infatti disegnato lo schizzo di un trittico in una lettera a Theo, specificando che aveva già dipinto “6 tele” dello stesso tema – e che cercava “di completarle un po’ ogni giorno per fare in modo che vadano bene insieme”. L’anno prima, a Parigi, aveva invece dedicato un gruppo di ben nove quadri alle rive della Senna, che aveva tutti bordati di rosso

Ora però siamo di fronte a tante tele dal formato identico, con soggetti molto diversi tra loro, e possiamo solo ripercorrere avanti e indietro questa parete di visioni di un genio. E così rivediamo il Campo di grano con i corvi che il mito ha voluto legare al suicidio, presentato in mezzo ai Campi vicino a Auvers e a Campi di grano sotto un cielo nuvoloso (illustrati sopra) – l’effetto che ne deriva fa riflettere, vanno “bene insieme”. 

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Vincent van Gogh, Pioggia – Auvers-sur-Oise, ©  National Museum Wales, Cardiff.

Seguono altri panorami straordinari, come Pioggia a Auvers, o Fattorie vicino a Auvers-sur-Oise. Ne emerge una solitudine davvero “estrema”, poetica tristezza. Un nuovo linguaggio che Vincent riesce a esprimere, tela dopo tela. Non c’è nessuno. 

Il trattamento dello spazio degli ultimi dipinti va ben oltre le forme che ha fin qui frequentato. L’opera sulla pioggia è come tessuta in campiture piatte orizzontali, linee verticali l’attraversano, la prospettiva è abbandonata – reinventando la lezione giapponese. Eppure, nei suoi quadri, Vincent parte da motivi reali, come ci confermano le fotografie dell’epoca. Ma la nuova partita che ha ingaggiato con la Pittura si fa sempre più audace.

L’ultima tela, Radici di alberi, dipinta domenica 27 luglio, poche ore prima di dire basta alla vita, è una danza della natura, l’armonia colorata di un vecchio amore, “radici contorte”. Anche questa volta Vincent trae ispirazione da un luogo reale. Non è il sottobosco di Auvers, ma il ciglio alto e scosceso che si affaccia su una strada, Rue Daubigny. Il punto preciso è stato recentemente identificato da Van der Veen grazie a una vecchia fotografia. 

Pare impossibile, ma queste grandi radici sono riconoscibili ancora oggi. Vincent aveva messo il suo cavalletto ai bordi di quella strada, non lontano dalla locanda. Forse qualche passante si è fermato, forse tutti l’hanno ignorato…  

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Vincent van Gogh, Radici di alberi, © Van Gogh Museum, Vincent van Gogh Foundation, Amsterdam.

Ma una tale discontinuità, una tale rottura con la sua stessa produzione non s’era vista finora. Rivoluzione da vertigine, un incontro con il nuovo assoluto.

Le lettere degli amici

Non leggiamo citazioni dalle lettere accanto ai quadri questa volta, i curatori hanno scelto di lasciar parlare le opere. Ma nell’ultima sala della mostra, sono gli amici di Vincent a dirci qualcosa, in tanti scritti commoventi, a Theo o ai famigliari. Ecco per esempio le righe di Albert Aurier a Theo, “Non c’è bisogno che le dica – lei lo sa – quanta ammirazione provavo per le qualità artistiche dell’uomo che piangiamo oggi. Aggiungerò solo una parola: uomini come lui non muoiono completamente. Lascia dietro di sé un’opera che è parte di lui e che, un giorno, lei ed io possiamo esserne certi, farà rivivere il suo nome per l’eternità”. 

Negli ultimi mesi della sua vita Vincent ha realizzato un corpus di opere eccezionale, vederle oggi insieme è un’esperienza che ha lasciato stupiti gli stessi curatori. Ed è straordinario come, dopo un anno a Saint-Rémy, Vincent abbia ripreso in mano i temi a lui cari – paesaggio, ritratto, e natura morta, in una nuova sfida con la Pittura e con se stesso: sperimentazione serrata sul paesaggio, sui colori e sui formati. 

Non aveva bisogno di nulla, ovunque trovava i soggetti della sua arte.

Van Gogh in Auvers. His Final Months

Van Gogh Museum, Amsterdam
12 maggio – 3 settembre 2023

Van Gogh à Auvers-sur-Oise. Les derniers mois
Musée d’Orsay, Paris
3 ottobre 2023 – 4 febbraio 2024

 

Per saperne di più

Il catalogo Van Gogh in Auvers-sur-Oise è a cura di Nienke Bakker, Teio Meedendorp, Louis van Tilborgh (Van Gogh Museum) e di Emmanuel Coquery (Musée d’Orsay), con contributi anche di Bregje Gerritse, Sara Tas e Wouter van der Veen. Una sezione è dedicata alla catalogazione di tutti i dipinti del periodo, con le date e i luoghi.

• Tra le ultime pubblicazioni si segnala il libro di Massimo Bucciantini, In un altro mondo. Galileo Galilei, Vincent van Gogh, Primo Levi, che racconta tre vite rivoluzionarie, vite in solitudine, impegnate nella ricerca di conoscenza e verità (Il Saggiatore, 2023); Who Shot Van Gogh? Facts and Counterfacts about the World’s Most Famous Artist di Alan Turnbull, mette in luce le contraddizioni sul mito Van Gogh (Thames & Hudson, 2022); Vincent’s Arles di Linda Seidel ci porta invece ad Arles, tra i luoghi di Van Gogh e i resti romani (The University of Chicago Press, 2023). Sulla storia del museo si veda Choosing Vincent. From Family Collection to Van Gogh Museum, a cura di Lisa Smit e Hans Luijten, con contributi di Fleur Roos Rosa de Carvalho, Anita Vriend e Roelie Zwikker.     

In copertina, Vincent van Gogh, Case a Auvers-sur-Oise, Museum of Fine Arts, Boston.

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